«Glielo assicuro, dottore, mi hanno incastrato.»
«L’hanno incastrata…» ripeté meccanicamente il PM Sbarbaro guardando un punto imprecisato tra l’uomo seduto davanti a lui e la parete di fronte. L’avvocato, un uomo corpulento spremuto sottovuoto nel suo spigato che aveva bisogno di una urgente stirata, stava pensando a cosa dire di intelligente, ma non gli veniva in mente nulla. Un agente penitenziario si avvicinò senza far rumore e allungò un foglio dattiloscritto al PM. Lui lo lesse con calma, spostando sulla punta del naso i suoi improbabili occhiali dalla montatura rosa. Riemerse quindi dalla lettura e disse al detenuto:
«Prosegua, prosegua pure…»
«Vede, dottore, stando qui in cella, nelle ultime ore, ho potuto riflettere molto su quanto è successo e ho capito come ha fatto.»
«Come ha fatto, chi?» domandò il PM posando il foglio.
«Il maresciallo Roversi. Non può che essere lui l’amante di mia moglie ed è lui che ha architettato tutto questo. Marina, mia moglie, l’ha evidentemente lasciato, forse per un altro ancora, e lui, per vendetta, l’ha uccisa; e, per farla franca, ha pensato bene di coinvolgere me.»
«Sa per certo che Roversi era l’amante di sua moglie?» chiese il magistrato osservando la punta della stilografica come se avesse trovato un difetto.
«In verità no, ho ricollegato il tutto, dopo. Ma non può essere che lui. Adesso le spiego: mia moglie Marina, dopo cinque anni di matrimonio, all’improvviso, mi ha messo alla porta. Mi dice che non mi ama più, che pensava fossi diverso, si era sbagliata, e che tutto era finito. Sa, le solite cose che dicono le mogli per sbarazzarsi dei loro mariti divenuti ingombranti. E dopo cinque anni! E per giunta con un figlio di mezzo!»
«E cosa gli ha fatto pensare al maresciallo?»
«Quando ancora mi faceva vedere mio figlio ho notato in casa un calendario dei Carabinieri, che lei non ha modo di frequentare altrimenti, e, una volta, anche dei guanti sulla console del corridoio, sa quelli di ordinanza, con tanto di cifre, AR… e ogni tanto Marina, con noncuranza, mi chiedeva di lui; insomma a quel tempo non ci badai più di tanto. Poi, un giorno, Roversi, che conoscevo bene perché frequentava il mio ufficio in comune (ancora non sospettavo di lui), mi invitò alla sagra delle ciliegie di Collefili, dove mi fece consegnare una cassetta di ‘duroni’, sa, quelle ciliegie grosse e nere…»
«Le conosco bene, vada avanti…»
«Sì, certo, e con l’occasione facemmo due passi su per la collina. Mi disse che voleva andare via da Collefili e se potevo parlare con quel mio parente al Ministero. Siamo quindi arrivati, camminando, a un laghetto. Ha gettato nell’acqua un ramo e mi ha fatto sparare con la sua pistola: una cosa così, per divertirsi un po’. Alla sagra, peraltro, mi hanno visto decine di persone…»
«E poi?»
«E poi mio cugino è riuscito a farlo trasferire ad Alvona. Nel frattempo i miei rapporti con Marina sono peggiorati. Ho cercato di capire cosa le stesse succedendo. Diceva che era depressa per una dieta sbagliata che le aveva rovinato il metabolismo. Insomma era diventata isterica. Le consigliavo sempre di andare da uno specialista, ma lei si fidava solo delle sue amiche e non mi stava mai a sentire. Divenne intrattabile e smise di farmi vedere persino mio figlio. Ma io avevo già capito il perché: aveva un amante e voleva rifarsi una vita. Poi è arrivato il giorno del fatto.»
«È sicuro che vuole proseguire?» mormorò l’avvocato avvicinando il suo testone a quello del cliente.
«Certo che ne è sicuro!» fece il PM spazientito per quella interruzione.
«Rientrando a casa, quella dei miei genitori, che nel frattempo mi avevano ospitato, ho trovato un pacchettino a me indirizzato nella cassetta delle lettere» continuò il marito senza neppure voltarsi verso il legale. «L’ho aperto e dentro c’era della polvere scura e un biglietto con la grafia di mia moglie. Diceva testualmente: ‘Volevi tuo figlio? Eccotelo. L’ho bruciato e queste sono le sue ceneri’. Sono corso da mia moglie, impazzito dal dolore. Ultimamente mia moglie era così fuori di sé, come le ho detto, che avrebbe potuto persino fare una cosa tanto orribile. Dal momento che nessuno rispondeva al citofono, sono salito su al piano. La porta era aperta e… e…»
«E?» fece il PM che aveva assunto l’espressione come di chi ascolta una voce in lontananza.
«E ho visto mia moglie, sul pavimento della sala, in un lago di sangue. La testa, quasi non c’era più. Si era suicidata. Neppure mio figlio c’era. E ho chiamato voi. Oh, la mia povera Marina!»
«Solo che noi abbiamo trovato le sue impronte sull’arma del delitto e facendo lo stub, per la rilevazione dei residui da sparo sulle sue mani, abbiamo rinvenuto le relative tracce… E facendo due più due…» concluse il PM alzando un poco il naso come se avesse voluto vedere dentro a uno scatolone.
«È per questo che le dico che sono stato incastrato, dottore. Lo so, non mi crederà mai. Ma l’arma trovata accanto al corpo di mia moglie non può che essere quella che mi diede Roversi quel giorno in cui sparai al laghetto, a Collefili, lui l’ha fatto apposta; lo stub è risultato poi positivo perché la polvere che mi sono fatto cadere addosso, aprendo il pacchettino a casa mia, non era la cenere di mio figlio, ma polvere da sparo; capisce? Roversi si è fatto pure trasferire da me in modo da procurarsi per tempo un alibi: insomma, un piano congegnato nei minimi particolari, ma sono innocente» e l’uomo nascose il viso tra le mani come volesse piangere. L’avvocato gli mise un braccio sulla spalla per solidarietà. Era poco professionale, ma era un gesto che si sentiva di fare.
«Ha ragione, un piano ben congegnato. Per fortuna ci ha aiutato Caterina» fece il PM dopo aver fatto decantare per la tensione.
«Chi?» fece il marito alzando il viso e cambiando espressione.
«Caterina.»
«Non capisco.»
«Abbiamo sentito le amiche di sua moglie. Sa, le donne parlano poco con noi uomini, probabilmente perché non le ascoltiamo abbastanza. Ma si confidano molto tra di loro. È vero: è risultato che la vittima era molto angosciata per la propria salute. Non era però per motivi di dieta, come dice lei. Aveva un brutto male, sua moglie, al seno…»
«E perché non me l’ha mai detto?»
«Perché lei la picchiava e la maltrattava, la sua ‘povera’ Marina. Per i motivi più insignificanti, in verità, ma soprattutto per gelosia. Lei si era convinto che avesse un amante, il maresciallo Roversi, appunto, ma non era vero; erano solo conoscenti, perché lui è il fratello della sua più cara amica, come probabilmente le aveva detto: probabilmente non erano neppure amici; insomma la convivenza fra di voi era divenuta, come dire?, insopportabile e sua moglie, piuttosto che denunciarla, ha fatto una scelta coraggiosa, nonostante il figlio piccolo. E qui entra in gioco Caterina.»
«Già, Caterina…» fece l’avvocato che interrogava con un’espressione dubitativa il proprio cliente.
«Caterina era la donna di servizio di sua moglie» proseguì il PM che aveva letto sul viso del suo interlocutore uno stupore genuino. «Se si fosse occupato di più delle sue cose, forse ora lo ricorderebbe. La vittima si era lamentata anche con lei dei continui furti in casa e lei le aveva consigliato…»
«Ah sì, è vero, ora mi viene in mente, avevo consigliata di licenziarla… o di parlarne con le sue amatissime amiche, che sanno sempre tutto, loro…» interruppe con sarcasmo.
«Esatto, e sua moglie, perdurando i furti, così ha fatto: ne ha parlato con le sue amiche. Non è vero dunque che sua moglie non le desse mai retta.»
L’uomo si incupì.
«La vittima, in altre parole, non se l’era sentita di licenziare Caterina, dopo tanti anni che era a servizio, e comunque senza avere le prove dei furti. E allora l’abbiamo cercata per ogni dove, facendo fatica a trovarla: era nascosta davvero bene.»
«Nascosta, chi? Caterina?»
«Ma no, che dice? La webcam! Era sistemata propria in sala, dove abbiamo trovato il corpo di sua moglie. Era stata piazzata tra due statuine di ceramica sul trave del caminetto proprio per controllare la sua colf. Ha ripreso tutto: da quando lei è entrato all’improvviso in casa con la pistola in mano e sua moglie le ha chiesto: ‘e tu che ci fai qui?’. Devo continuare?»
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