I tempi verbali praticabili

I tempi verbali (di base) utilizzabili sono essenzialmente quattro: il passato prossimo, il passato remoto, l’imperfetto e il presente storico.

Faccio qui ovviamente riferimento ai tempi di base, quelli cioè che sono di ‘struttura’, condut-tori, veicolari delle argomentazioni delle varie parti di cui la sentenza si forma; nello sviluppo argomentativo giocoforza potranno essere usati dallo scrivente anche tanti altri tempi verbali (dal condizionale al congiuntivo, dal trapassato prossimo al futuro) che fossero richiesti o utili nella stesura del provvedimento.

Ciò posto, occorre anche chiarire che l’uso dei tempi verbali non è dettato, come si potrebbe credere, dalla distanza temporale ad oggi dell’evento narrato. Se un evento è lontano nel tempo non si usa necessariamente il passato remoto così come non si utilizza necessariamente il passato prossimo se il fatto è appena accaduto ieri. Il ripiegare sull’uno o sull’altro tempo è una questione invece di ‘percezione’ dell’accadimento del fatto da parte dello scrivente e più esattamente della percezione degli effetti dell’accadimento in sé nell’economia della sentenza da redigere. Cercherò di spiegarmi meglio.

Il passato diventa ‘remoto’ o ‘prossimo’, a seconda della sensibilità del narrante in riferimento a ciò che sta raccontando e dunque a seconda se egli intenda far evidenziare a chi leggerà l’atto, che le conseguenze di quella determinata situazione accaduta in un momento antecedente all’adesso hanno ancora una qualche rilevanza nel momento presente in cui sta decidendo.

In altri termini, ciò che rileva nella scelta del tempo della narrazione (perché anche qui di narrazione si tratta anche se a essere scritta è “solo” una sentenza) è il momento soggettivo dell’evento e non il suo dato obbiettivo di accadimento; ciò che rileva è il punto di vista di chi riporta i fatti rilevanti per il giudizio e non la sua separatezza o meno dal passato.

Il tempo della narrazione è dunque un valore che riguarda chi narra, che involge le sue valutazioni e valorizza ciò che in realtà vuole comunicare. Chi racconta, chi argomenta, esprime una scelta rappresentativa che si sovrappone all’accadimento obbiettivo di quanto accaduto. È il momento di fare qualche esempio concreto.

Se uso il passato remoto e scrivo che ‘Tizio eseguì dei lavori di ristrutturazione che…’ evidenzio in realtà che l’evento passato (i lavori eseguiti) è non solo accaduto in un tempo antecedente come è ovvio, ma anche che i suoi effetti, le sue conseguenze non sono ad oggi persistenti non incidendo a sua volta sulle specifiche situazioni contingenti di cui mi sto occupando. Tizio compì i lavori sicché la complessa fenomenologia che tali attività hanno comportato (in positivo o negativo) proprio perché utilizzo il passato remoto, è incapsulata (e isolata) nel passato, in un tempo del tutto diverso dal presente, e riguarda ormai solo il profilo storico del fatto stesso.

Se invece uso il passato prossimo e scrivo ‘Tizio ha eseguito dei lavori di ristrutturazione che…’ sottolineo che l’evento passato (sempre i lavori di ristrutturazione) è, non solo accaduto in un tempo antecedente, ma i suoi effetti, le sue conseguenze sono ad oggi rilevanti incidendo a sua volta sulle specifiche situazioni contingenti di cui mi sto occupando (“hanno determinato uno sversamento di olio nel piano sottostante creando un danno richiesto da Caio che è stato quantificato in euro…”).

Tizio ha compiuto un’azione nel passato e la sua azione ha una sua ricaduta narrativa nel presente (e per quanto rileva anche giuridica costituendo l’antecedente di fatto di ciò che mi sto occupando mentre decido) tant’è che ne parlo in sentenza per far comprendere al lettore che l’evento costituisce, appunto, un presupposto logico-argomentativo della decisione.
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