Lo human-like

L’intuizione di Jobs è sicuramente corretta. Se il minimalismo e l’estetica si sposano con la praticità del prodotto, sempre che quest’ultimo sia tecnicamente valido, non solo farà vendere di più, ma farà diventare il prodotto stesso un prodotto di massa. L’evoluzione tecnologica è piena di esempi in questo senso: l’automobile, la televisione, il telefono e tantissimi altri dispositivi di cui oggi la nostra vita non può più fare a meno.

In altre parole vi è uno stretto collegamento tra facilità d’impiego e ampia diffusibilità del prodotto e questo a parità di utilità. Fino a quando per esempio il computer è stato di complesso utilizzo, per il sistema operativo, per la mancanza di mouse e di un’interfaccia amica, nonostante che fosse uno strumento indubbiamente utile, di pc se ne vendettero percentualmente molto pochi. Occorrevano di fondo, infatti, nozioni tecniche e competenze specifiche che ne impedivano la divulgazione per essere ad appannaggio di un numero ristretto di persone. Stesso discorso è valso per Internet. Nonostante ne fosse stata compresa l’enorme potenzialità, il suo uso rimase confinato per parecchio tempo a una limitata cerchia di utenza (per lo più legata all’ambiente universitario) fino a quando Tim Berners-Lee non pensò di inventare l’HTML, il linguaggio necessario per la formattazione grafica delle pagine basato sulla tecnologia dell’ipertesto, ottenendo così quella veste friendly e accattivante che siamo abituati a vedere oggi.

È stato ancora una volta l’abbattimento della difficoltà d’impiego, l’azzeramento di qualunque difficoltà pratica nel suo utilizzo, quasi l’oggetto avesse un comportamento human-like, che ne ha decretato (anche se con un processo graduale) la sua massificazione.

Sbagliano pertanto tutti quei produttori che non puntano da subito sulla semplicità di impiego di un dispositivo o di un servizio, vale a dire sulla sua essenzialità con eliminazione di qualsiasi passaggio che possa indurre l’utente in equivoco o in errore facendolo a volte desistere. Tra due dispositivi che assicurano più o meno il medesimo risultato, quello più semplice trionferà sull’altro.

Ben inteso, la facilità d’uso implica necessariamente, a monte, una difficoltà di ingegnerizzazione della macchina posto che il gap con l’utente (la difficoltà cioè che l’individuo ha, naturalmente, nell’utilizzare un dispositivo, elettronico o meno che sia) deve essere coperto non dall’utente ma dalla macchina stessa; è il dispositivo cioè che deve venire incontro a chi lo usa e, spesso, questo fatto (di essere facile ‘fuori’) implica che sia complicato ‘dentro’.

L’utente deve in altri termini limitarsi a ‘godersi il viaggio’, avvalendosi di tutte le potenzialità che il device può offrirgli, lasciandosi guidare dalla intuitività stupidproof (a prova di stupido) del dispositivo. Il produttore impazzirà per cercare di trasformare una macchina complicata in qualcosa di veramente semplice da impiegare, ma sarà ampiamente ripagato nella estrema vendibilità del prodotto.

Questo non toglie che il dispositivo non possa avere di per sé anche un suo più sofisticato livello di impiego. L’importante è che questo non interferisca con quello principale e che i livelli operino in modo del tutto autonomo e indipendente tra loro affinché l’utente basic non senta neppure la necessità di far ricorso ad altro.

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