Se la curiosità è la qualità ‘killer’ del giornalista, lo spirito di osservazione lo è sicuramente per un buon scrittore.
Lo scrisse con chiarezza Antoine de Saint-Exupéry (–> Una vita tra nuvole e scrivania) e Leonardo Sciascia (–> Una storia siciliana) ne aveva fatto un suo motto:
«Non bisogna imparare a scrivere ma a vedere. Scrivere è una conseguenza».
Alla base di un testo non c’è solo infatti l’approfondita ricerca a monte di quel tal argomento che si vuol affrontare nel racconto, non c’è solo lo studio dell’ambiente culturale e storico in cui si vogliono calare storia e personaggi, c’è anche l’analisi della realtà di cui né la storia né i personaggi, in generale, possono fare a meno.
E per realtà intendo far riferimento al vivere di tutti i giorni, al sapere cioè come sono fatte le persone (sia fisicamente che dal punto di vista personologico) cosa pensano nella varie situazioni in cui si trovano, come si atteggiano, ma anche come sono costruiti gli oggetti che ci circondano, come accadono gli eventi naturali, come si comportano gli animali (da quelli domestici agli insetti) e via discorrendo.
In altre parole è importante per poter ben scrivere sapere per esempio come si comporta un bambino quando si annoia, come è fatto un tramonto in montagna d’inverno, che profumo ha la terra dopo che è piovuto, come si siede un contadino alla fine di una giornata lavorativa, e così per migliaia di altre informazioni descrittive simili che, inserite nel testo o nel contesto, se ‘reali’ lo ‘inverano’, lo rendono vivo, oltre che conoscibile e riconoscibile al lettore.
Il ‘segreto’, per acquisire questo enorme patrimonio nozionistico che, è bene non dimenticarlo, è sotto gli occhi di tutti, è stare a guardare la gente, guardare attentamente le cose, osservare gli avvenimenti, memorizzare ciò che si vede dal punto di vista qualitativo, quantitativo nonché di sequenza di compimento (“Il piacere baudelairiano di perdersi tra la folla della metropoli; la gioia profonda e silenziosa di osservare, inosservati..” Pierre Zaoui –> L’arte di scomparire. Vivere con discrezione, Ed. Il Saggiatore).
Lo si può fare mentre si passeggia o si aspetta in fila il proprio turno alla posta o nella sala d’attesa del dentista o ci si trova fermi alla fermata del tram o si viaggia in treno e in tantissime altre occasioni.
Ogni momento è insomma buono per ‘studiare’ il mondo che ci circonda e soprattutto la gente, per comprendere quanto reale essa sia e in che modo (con il vestire, il linguaggio, verbale o non verbale che sia) si esprime nella sua quotidianità proponendo e imponendo se stessa.
Ci si accorgerà che normalmente ci si limita a guardare chi o cosa ci attornia senza ‘vedere’ veramente la sostanza di quanto succede, venendo noi infatti a cogliere, di solito, solo una minima parte delle informazioni che cadono sotto la nostra attenzione dando per scontate tutte le altre.
Bisogna invece essere in ascolto del proprio ambiente, viverlo consapevolmente con tutti i sensi, recepire come una spugna la vita, decodificandola per i nostri fini di apprendimento scritturale.
Il passo successivo è cercare di descrivere a se stessi ciò che si sta vedendo; per esempio posso raccontarmi com’è esattamente l’attaccatura dei capelli di quella tal persona, com’è il taglio della bocca di quella donna che ha l’aria tanto triste o il colore improbabile della cravatta di quel tizio che mi è passato accanto e via via tutti gli altri particolari che entrano nel mio raggio di osservazione.
E la ricerca delle parole appropriate (che definiscono nel modo più preciso possibile quella tal persona o quel tal accadimento) consentiranno ben presto non solo di essere consapevoli di ciò che si scrive, ma anche di impadronirsi dei vocaboli narrativi utili per caratterizzare personaggi e dar loro profondità, per introdurre situazioni di ogni tipo, anticipare passaggi di trama, per dare respiro alla frase, per far procedere la narrazione.
L’amore per il dettaglio preserva il racconto dall’artificio, come fosse la realtà a raccontare se stessa autoreferenziandosi, sicché il racconto diventa plausibile e credibile perché agganciato a ciò che realmente accade.
Bisogna però stare attenti a non limitarsi a operare un ‘copia e incolla’ della realtà osservata riportandola cioè nel testo così com’è o effettuare una verifica meramente ricognitiva dei fatti oggettivi, perché ciò potrebbe portare a banalizzare la nostra scrittura rendendola freddamente fotografica o piatta o peggio ancora stereotipata.
Ciò che si vede nella realtà, nell’atto della trasmigrazione nello scritto, deve essere sempre filtrato dalla nostra sensibilità, dalla capacità espositiva ed espressiva affinché non sia notarile e suggestioni il lettore con la scelta corretta di aggettivi e verbi e magari di metafore.
Il ‘vero’ deve entrare nel testo in modo drammaturgico, funzionale al racconto, coinvolgendo e interessando il lettore, come se quest’ultimo attraverso ciò che legge riscoprisse una realtà dimenticata ma che ha già vissuto e pensasse: “accidenti, questa cosa qui è accaduta anche a me”. È un po’ quello che fanno gli aspiranti pittori quando disegnano dal vivo: osservano, copiano, ma reinterpretano.
Non si deve quindi mai dimenticare di essere originali, di sforzarsi di cercare l’accostamento inusuale di parole, di evocare immagini mentali nuove, di reinventare la realtà senza sconvolgerla rendendo nel contempo reale l’invenzione fantastica.
Scrivere (a meno che non si scriva di un fatto realmente accaduto o una biografia) è il risultato di un sforzo tensivo continuo tra il vero e ciò che vero non è senza mai dover naufragare né nell’uno né nell’altro.
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IN CONCLUSIONE
Dunque, ricapitolando, di cosa si è parlato in questa pagina:
che l’osservazione è alla base della buona scrittura perché la realtà può fornire infiniti spunti per sempre nuove trame e idee; la realtà è sorprendente, nel bene e nel male, e la necessità di verosimiglianza del racconto, oltre tutto, ne fa un punto di riferimento solido e sicuro.
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