La sorella e la cognata di Bastiano ogni tanto uscivano in giardino e, dopo averlo guardato in faccia, si mettevano a ridere facendo finta di trattenersi.
«Si può sapere cos’è che hanno?» chiesi a Bastiano incuriosito da quel comportamento.
«Ma niente! Mi prendono in giro perché ieri, girando sulle colline di Cangiàni, mi sono perso.»
«Perso? Tu? Stai scherzando? Ci sei praticamente nato da quelle parti.»
«Già! Non so cosa mi stia succedendo. Sto perdendo il senso dell’orientamento anche se si tratta di posti dove dovrei sapermi muovere ad occhi chiusi.»
«Da non credere…»
«Sto diventando vecchio amico mio… è questa la verità.» Bastiano prendeva nervose boccate dalla sigaretta soffiando via il fumo, con una strana smorfia della bocca, dalla parte opposta a dove mi trovavo io, non accorgendosi che, per un gioco di correnti d’aria, il fumo mi finiva ugualmente in faccia. «A volte gli amici mi parlano di giornate passate insieme e di cose che io avrei detto e fatto e di cui invece non mi ricordo proprio nulla… è sconsolante, credimi.»
«Guarda che capita anche a me.»
«Aver vissuto e non ricordare di averlo fatto non è come non aver vissuto?»
«No, per niente. Le nostre parole e le nostre azioni sono un po’ come i semini nell’aria. A volte cadono sul cemento o sul marciapiede dove muoiono, ma tante altre volte trovano un po’ di terra fertile dove radicano e producono buoni frutti.»
«Tu dici?» mi domandò lui con uno sguardo che mi trasmise tristezza.
«Ti ricordi di quando ci siamo incontrati la prima volta?»
«No, e tu?»
«Neanch’io. È passato così tanto tempo… Ma forse è meno bella la nostra amicizia?
Archivi tag: Bastiano
Barattolo di vetro
Il barattolo era di vetro, senza etichetta, con uno di quei tappi di sicurezza dorati che luccicavano alla luce indiretta dell’alogena.
«Questa mou l’ho preparata ieri apposta per te: so che ti piace, devi assaggiarla» e così dicendo, Bastiano me l’allungò spingendolo verso di me con due dita, con un gesto che aveva un non so che di divertito. Sapeva che avrei lottato per non aprirlo.
«Guarda, Bastiano, che non ne posso più. È tutta la sera che porti in tavola ogni ben di dio.»
Lui sorrise appena: forse sapeva di aver esagerato con le portate, ma, come spesso dice, aveva voluto far bella figura e le due dita di passito di Pantelleria che mi versò in un bicchierino colorato, avrebbero dovuto servire da viatico per l’ultimo peccato di gola. Poi, come se ci fosse una qualche attinenza, guardando in trasparenza la bottiglia, mi fece:
«È strano come ci si svegli una mattina e ci si accorga di aver finito i sogni, di aver esaurito tutti progetti che ti eri portato dietro da ragazzo. Alcuni li ho scordati, altri hanno perso di significato strada facendo e per altri ancora ho capito che sono davvero irraggiungibili.»
Bevve un goccio, anche lui, asciugandosi una goccia di quel nettare che gli era rimasto tra le pieghe della labbra e, con un cenno un po’ stanco del capo, indicò la finestra del salotto, là dove il buio freddo della notte si era fermato contro i vetri appannati.
«Hai mai visto, qui giù dalla collina, come il profilo delle colline, al tramonto, sia a volte di un bel color viola? Sembra una bella donna adagiata nell’erba…»
Trasse un sospiro pesante soppesando il bicchierino oramai vuoto:
«Pensi che un giorno si potranno comprare i sogni da qualcuno che ne ha troppi?»
Non riuscii a rispondere, presi solo il barattolo di mou che avevo di fronte: lo stappai con un colpo secco, affondandoci subito dopo un generoso cucchiaio da cucina.
Spaccando la legna
Era davvero curioso osservare Bastiano spaccare la legna. A dispetto della sua corporatura grassoccia e budinosa, era molto abile ed energico nel dividere, con un colpo solo d’ascia, i tronchetti di quercia, facendo cadere arrendevoli, di lato, le parti spaccate. Ma ciò che era più divertente è che indossasse una semplice maglietta semiestiva, nonostante il freddo pungente, e una vistosa sciarpa di lana attorno al collo.
«Cosa ci fai vestito così?» gli chiesi trattenendomi dal ridere.
«Oh ciao…» mi rispose dandomi un’occhiata fuggevole. «Quando spacco la legna, sudo: così mi metto qualcosa di leggero.»
«E la sciarpa allora?»
Bastiano sorrise e, dopo aver sistemato un altro tronchetto sul ceppo pronto al gesto atletico, mi disse:
«Ho la gola d’Achille. Se la tengo al caldo non mi ammalo.»
«La gola di chi?»
«D’Achille» fece lui candidamente. «Quello del tallone…»
«Ho capito, Bastiano… ma se cambi parte del corpo… non funziona più come battuta.»
«E perché? Achille non era quello che aveva punti deboli un po’ dappertutto nel corpo?»
«No, non direi… solo nel tallone.»
«Ah… va be’… però hai capito. E senti…» mi fece appoggiandosi al manico dell’ascia. «È tutto pronto per la cena di domani?»
«Sì, però mi han detto che potrebbero non arrivare in tempo i galletti che abbiamo ordinato.»
«Accidenti, non ci voleva… come si fa adesso a vivere con questo spiedo di Damocle sulla testa…?»
Più vuoto del vuoto
Oggi mi sento vuoto. Come una bottiglia appena scolata, come una zucca secca, come una casa svaligiata…»
«Guarda che ho capito il concetto, Bastiano.»
«Sì, scusa. Mi stavo solo sfogando.»
«Ma non potrebbe essere lo stress o piuttosto questo primo fastidioso caldo?» gli feci io allungandogli un braccio sulla spalla.
Bastiano si era fermato a guardare un punto oltre la piazza. Pareva assente, un po’ sospeso tra i suoi pensieri e la calura del pomeriggio.
«O forse più semplicemente è la vita che non ha più niente da dirmi» rispose lui tutto d’un fiato, tirando su con il naso. «Non potrebbe darsi invece che la clessidra avesse un buco e che la sabbia, anziché finire tutta sul fondo dell’ampolla, sia caduta silenziosamente a terra? Magari il film è semplicemente finito e si sono dimenticati di accendere la luce in sala.»
Non riuscivo a capire se Bastiano stava prendendomi in giro o se parlava sul serio. Certo il tono della sua voce era molto triste e, contrariamente al suo solito, evitava di guardarmi. Poi all’improvviso si alzò dalla sedia, che scostò in modo rumoroso.
«È meglio che me ne vada. Oggi sono proprio una pessima compagnia.»
E prima ancora che potessi convincerlo del contrario, lo vidi allontanarsi da me quasi curvo, sotto un peso che si sarebbe detto insopportabile.
Riflessi
Come succede spesso, quando passo davanti al forno di Bastiano, la sosta diventa obbligatoria. Così è capitato l’altro giorno, anche se era un’ora insolita: le due del pomeriggio.
Posteggiai la macchina sotto il tiglio dell’entrata e mi inoltrai. Lo stanzone era vuoto, il forno spento, gli scaffali, dove di solito stanno a raffreddare le teglie, vuoti. E soprattutto non c’era Bastiano. Vedere quel luogo, fonte inesauribile di sopraffine delizie, senza il suo artefice era come vedere un teatro pieno di orchestrali pronti a suonare Mozart, ma senza il loro direttore. Mi venne il magone.
Uscii in fretta e mi diressi verso l’orto dove a volte Bastiano, che come agricoltore invece non è granché, litiga con patate, pomodori e fagiolini. La verità è che con la vita che fa, si dimentica di innaffiare o di togliere le erbacce o di dare l’antiparassitari per le dorifere, sicché il suo orticello spesso si trasforma in un supermercato per ogni tipo di insetto di passaggio dove, anzi, sembrano darsi convegno quando sono in fuga dagli altri campi intossicati come sono dagli anticrittogamici.
Ma lui non era neppure lì.
Visto che ero sul retro della casa feci allora un salto nella cantinotta: la porta era socchiusa. Aprendola un’ondata di fresco e di odor di tufo misto ad un vago sentore di vinaccia mi investì. Quel posto sembrava più piccolo visto da fuori, mentre in realtà doveva avere una notevole capacità a giudicare dal numero cospicuo di bottiglie religiosamente reclinate che vi erano stipate. Richiusi la porta, non era bene che il caldo entrasse là dentro e mi diressi verso la casa: cominciavo ad essere preoccupato anche perché la vitalità di Bastiano è sempre tale che è impossibile che vi sia a lungo silenzio attorno a lui.
Trassi a me la porta che come al solito non era chiusa a chiave ed entrai. Superai la sala, lo studiolo… e poi lo vidi là, in cucina. Era seduto, da solo, sulla panca del tavolo proprio di fronte alla finestra incendiata dalla luce del sole. Aveva le braccia incrociate sul tavolo e il mento appoggiato ai polsi. Pareva dormisse mentre in realtà stava guardando intensamente, in trasparenza, una bottiglia di vino che sembrava essersi accesa al chiarore che filtrava prepotente dai vetri: ovunque, per la stanza, c’erano riflessi e bagliori rosati. Mi dava le spalle, Bastiano, e dunque non mi poteva vedere. Ogni tanto, senza abbandonare quella curiosa posizione di semisdraiato con il busto sul tavolo, muoveva con la mano sinistra la bottiglia di vino ponendola in obliquo ora a sinistra ora in avanti, ora a destra ora indietro.
Poi arrivò un rumore alle mie spalle, forse proveniva dalla strada. Sta di fatto che Bastiano si girò nella mia direzione accorgendosi di me.
“Oh ciao… è da molto che sei lì?”
“No, sono appena arrivato. Ero preoccupato perché non ti trovavo da nessuna parte.”
Credo che sorrise, Bastiano, ma non vidi bene perché, nonostante si fosse tirato su, la sua faccia era sempre rivolta verso il vino.
“Vedi questa bottiglia?” mi disse con un’intonazione piuttosto malinconica “è una delle ultime confezionate da mio padre. E’ dell’ottimo chiaretto qui delle colline di Lughi. Dopo la sua morte, non ne ho più bevute, le ho conservate tutte.”
“Sì, capisco, Bastiano, è un ottimo vino, me lo ricordo, l’abbiamo bevuto insieme tante volte, ma è giusto così, conservarle…”
“Già” fece alzando le sopracciglia, ma tenendo sempre gli occhi sul vino. “Non è l’unico motivo, però, per conservarle. Mio padre diceva sempre che con la luce giusta e con un’inclinazione particolare della bottiglia, lui ci vedeva il viso di mia madre. Ma io non riesco a vederci proprio niente.”
Mi avvicinai e mi sedetti accanto a lui sulla panca.
“Mio padre diceva anche che la mamma era bellissima. L’aveva conosciuta al mercato che erano giovani giovani e si innamorarono subito.”
Ora il suo sguardo spaziava fuori, in un punto non focalizzato della memoria dove tutti i ricordi si addolciscono e si stemperano.
“Mi sarebbe piaciuto vederla almeno per una volta, la mia mamma, anche se solo in riflesso. Così le conservo tutte queste bottiglie, magari un giorno o l’altro riesco a vederla.”
Si passò la mano grande e rugosa sul viso, Bastiano, come per cancellare tutte le nubi nere che gli si erano addensate nel cuore. Quindi mi mise la mano sulla spalla e disse:
“Andiamo, che oggi mi aiuti a fare il pane.”