Ebbene sì, il cosiddetto Giglio di Firenze non è propriamente un giglio (famiglia Liliacee) ma è piuttosto un iris (famiglia Iridacee).
Si assomigliano, è vero, ma è indubbiamente sono due fiori diversi, con proprie peculiarità (a cominciare dal fatto che i gigli nascono da un bulbo e gli iris da un rizoma, –> Bulbi, tuberi, rizomi… che differenza c’è?).
Non è molto chiaro per quale motivo, pur riferendosi all’iris, i fiorentini l’abbiano sempre chiamato giglio; si dice che potrebbe essere dovuto a un sentito culto mariano dell’epoca medioevale (che aveva scelto proprio il giglio come fiore che incarnava la purezza della Madonna) ma non è certo.
Un po’ di storia
Al fiore (ma non si sa a quale, forse sempre al giglio) è intitolata del resto anche la cattedrale di Firenze, Santa Maria del Fiore, (la dedica alla Madonna avvenne in corso di costruzione della chiesa, nel 1412) visto anche che la prima pietra della nuova basilica fu posta durante la festa della Natività della Madonna nel 1296 (l’8 settembre, più esattamente) proprio a sottolineare che quest’ultima è la gemma più preziosa dell’Albero di Jesse (–> Albero di Jesse).
Altri storici, forse con più veridicità, fanno presente che il fiore di cui alla denominazione della cattedrale fa invece riferimento all’incarnazione di Cristo, essendo la Madonna la madre (–> Perché la Cattedrale di Firenze fu intitolata a “Santa Maria del Fiore”).
Ecco i due fiori a confronto. A sinistra è l’iris, a destra il giglio.
Tutto ciò premesso, i motivi per i quali l’iris è (strettamente) legato alla città di Firenze andrebbero ricercati, tra le diverse ipotesi storiche (e le varie leggende della tradizione popolare) che si sono affacciate nel tempo; per esempio nel fatto che anticamente, sul terreno ove furono tracciati i primi confini del castrum romano (–> pomerio) ove sarebbe poi sorta Firenze vi fosse una distesa di iris (bianchi), che, visto il periodo in cui fu fondata la città (aprile/maggio), dovevano anche essere in fiore; da qui a chiamare la città Florentia, il passo dovette essere davvero breve.
Un’altra spiegazione (molto meno romantica) è quella che “sgancia” il nome della città dal fiore (in questo caso l’iris) e ricollega il nome Florentia a quello meramente beneaugurale: “che tu sia florida“, “città della floridezza”(–> Florentia), origine di recente validata anche dall’Accademia della Crusca (–> Accademia della Crusca).
Per un approfondimento delle altre ipotesi storiche sull’adozione da parte di Firenze del Giglio, –> Il Giglio iris florentia.
Va peraltro ricordato che l’iris che più era presente anticamente era di color bianco (iris fiorentina) tanto che i toscani ebbero a prendere a chiamarlo ghiacciolo, da cui deriverebbe, per corruzione, il nome stesso di giaggiolo, inteso poi come sinonimo di iris.
Di ciò ne abbiamo traccia nell’antico stemma della città dove il Giglio bianco era rappresentato in campo rosso (ma dal 1251 i colori sono stati invertiti per differenziare il simbolo di Firenze, allora in mano alla fazione Guelfa vincitrice, da quella perdente Ghibellina che ancora ne faceva indebitamente uso; ancora oggi lo stemma di Firenze è rappresentato dal giglio rosso, stilizzato, in campo bianco).
Oltre all’iris florentia (bianco) e all’iris pallida (violetta) comune è anche l’iris germanica di un viola più scuro.
Cosa si produce dall’iris
I rizomi neri dell’iris pallida (la pianta deve avere almeno tre anni per la sua sradicatura), mondati delle radici (con la tecnica della sbarbucciatura) vengono tagliati in pezzi e lasciati essiccati per 6 giorni su apposite stuoie. Ridotti in polvere vengono successivamente spediti a Grasse, vicino a Nizza, per la manipolazione ulteriore in cosmetica.
Fu peraltro Caterina de’ Medici, consorte di Enrico II, che per prima “esportò” il profumo alla Corte di Francia, nella seconda metà del ‘500, mentre l’impiego usuale del rizoma in cosmetica risale al ‘700, ai Lorena (che allora regnavano nel Granducato di Toscana) che ne incentivò la produzione con il supporto dell’Accademia dei Georgofili (–> Accademia dei Georgofili) che ne avevano compresa tutta l’utilità.
Dalla lavorazione dei rizomi si ricava infatti il burro d’Ireos o concreta di Ireos che contiene una sostanza inodore, l’acido miristico, per circa l’80-90% e gli ironi da cui deriva la componente profumata all’odor di violetta e di mammola. Con una tonnellata di rizoma fresco si ottengono 250 Kg di prodotto essiccato e, dopo la macinazione e distillazione, si ricavano 2 litri di olio essenziale.
Si tratta di un olio essenziale che si trova alla base di prodotti anche di grandi marche come Dior, Erbolario, Chanel n° 5, Armani, oppure anche più semplicemente di talchi e ciprie, oltre che di dentifrici e sacchetti per la biancheria. L’olio è impiegato anche (ma direi soprattutto) come “fissativo” di profumo più complessi e strutturati riducendo il grado di volatilità di un’essenza e rendendola persistente.
Il rizoma viene utilizzato anche nelle bevande per aromatizzare liquori dolci (ma in questo caso vengono utilizzati i rizomi bianchi, più pregiati) come il gin Bombay, Bacardi, Gin Magellan e il Martini.
La zona del Chianti e quella del Pratomagno (Valdarno) sono gli areali di elezione (fin dal ‘600) per la coltivazione degli iris, coltivazione che necessita di uno specifico terreno, il galestro, uno scisto argilloso che, bagnandosi con acqua, si disfa, mentre riprende la propria durezza asciugandosi (ideale anche per le terrecotte di Impruneta e per il vitigno omonimo, –> galestro).
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