Sopravvissuto – The Martian, film diretto da Ridley Scott e tratto dal romanzo L’uomo di Marte di Andy Weir, è l’ennesima ‘storia’ ambientata su Marte anche se dubito fortemente che, per ricreare l’atmosfera di questo pianeta, basti davvero, come accade in queste opere di genere, prendere un paesaggio assolato e desolato (quello del film è dalle parti di Uadi Rum in Giordania) e mettere un filtro rossastro alla cinepresa.
La trama è piuttosto esile (e, a partire dalla fine del primo tempo, scontata) ed è, in buona sostanza, la versione marziana di Robinson Crusoe con punte di inverosimiglianza che minano quel patto generoso di accettazione che l’appassionato di fantascienza (come me) stipula con il regista all’inizio del film (pensare di coltivare patate sul suolo di Marte con acqua creata chimicamente e alla luce di un sole lontanissimo forse è troppo anche per me).
È sicuramente tutto incentrato sulla bravura indubbia di Matt Damon, attore tutto sommato ancora giovane ma duttilissimo, con un curriculum invidiabile di notevole caratura, tanto da potersi permettere di ‘occupare’ gran parte dei 130 minuti di durata della pellicola che scorrono via, tutto sommato, in modo abbastanza gradevole.
Gli effetti speciali sono buoni (ma sono i soliti) anche se Ridley Scott, in altri suoi lavori (si pensi ad Alien, Blade Runner e Prometheus) ci aveva abituato in passato a scene molto più sapientemente costruite e di maggior presa.
Non ho trovato del tutto indovinato il lavoro di casting con la scelta per esempio di Jeff Daniels nel ruolo del Direttore (cattivo) della NASA (sembra sul punto di mettersi a ridere da un momento all’altro) o di Sean Bean (il Boromir della trilogia del Signore degli anelli) nella parte di un poco credibile di un altro Direttore, ma questa volta buono e comprensivo, della missione spaziale Ares 3. Gli altri personaggi sono addirittura incolori e scialbi.
Mi è piaciuto invece Aksel Hennie nella parte del chimico Alex Vogel. È un attore a mio avviso molto interessante per il suo forte impatto scenografico anche se gli è stato riservato un ruolo marginale; lo avevo già notato in Hercules nel ruolo di Tideo: a mio avviso troverà in futuro una maggior affermazione.
Ciò che a mio avviso dà comunque fastidio è che sovente i film americani indulgano all’autocelebrazione sbandierando enfaticamente quelli che loro ritengono essere i principi e i fondamenti cui il loro grande Paese si inspira: lealtà, amicizia, tenacia, senso del dovere e del sacrificio. Sarebbe bello fosse davvero così e comunque non trovo necessario, nell’economia di un discreto film, far sapere a tutto il mondo quanto siano bravi gli astronauti e gli scienziati della NASA e quanto un semplice botanico (qual è il protagonista della pellicola Mark Watney) possa trasformarsi, all’occorrenza, in un sorprendente MacGyver.
Film da vedere, senza aspettarsi troppo, però.
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