La lancia avvelenata

Banco si mise allora a rovistare nel suo zainetto alla ricerca di qualcosa che potesse servire alla necessità del momento. Fece un po’ di inventario: aveva portato con sé: un ultrasuoni scacciaiguana, un paio di occhialiperiscopio, un scovafunghi porcini ed altre cose che sarebbero servite in frangenti del tutto diversi da quello. Nella fretta di farsi traghettare nell’Immagine dell’Oceano soprapposto non aveva fatto una buona scelta. Tago si era messo a osservare l’amico mentre riponeva sul pavimento del rifugio quegli strani oggetti e chiese: «Cosa sono?» «Mie invenzioni… che, come vedi ora, non servono a risolvere il nostro problema». «E quello che cos’è?» «È un refrigeratore istantaneo per matite…» «Cioè?» «Si inserisce in questo astuccio, a forma di matita, dell’acqua, e in mezzo la mina. Si preme poi questo pulsante e, in una frazione di secondo, si crea una matita di ghiaccio con cui puoi scrivere». «Ma a cosa ti può servire una matita di ghiaccio che non puoi tenere neppure in mano tanto è fredda?» «Non lo so, però mi piaceva l’idea». «E quell’altra cosa lì?» «È una normalissima torcia…» «Mi sembrava una torcia, appunto! Ma magari ho pensato nascondesse qualche diavoleria». Poi a Banco venne un’idea: «E se noi usassimo i collegamenti della lampada per creare una scintilla?» «Una scintilla?» ripeté Tago che forse stava per capire. «Io conservo sempre della paglia in quello scatolone» disse indicando un angolo del rifugio. «La uso a volte per rifare il pavimento, quando piove e voglio stare all’asciutto». «Tirala fuori, presto!» fece Banco eccitato. Mentre Tago metteva della paglia in una scodella di pietra, lui aveva già smontato la torcia e scoperto i fili. «Aspetta!» fu perentorio Banco «dammi tutte le lance che hai e metti sulle punte qualcosa che possa bruciare». «Ho del muschio secco», «Andrà benissimo». Tago seguì le istruzioni alla lettera. Staccò anche dei legacci fibrosi che tenevano uniti alcuni pali del rifugio e li usò per assicurare il muschio alle estremità delle lance. Banco, unendo i fili della torcia, scoccò più di una scintilla finché una di queste si propagò alla paglia nella scodella dandole fuoco. L’amico bruno subito buttò altra paglia e del legno asciutto. Quando il fuoco ebbe preso bene, vi avvicinò due lance finché non prese fuoco la punta. Banco si aprì quindi un varco nel tetto del rifugio e, senza pensarci due volte, tirò la lancia con quanta più forza poté contro la ragnatela più vicina. Ma la lancia s’impennò finendo in acqua. «Siamo troppo lontani!» deplorò. «Facciamo così: io ora mi butto in acqua e tu poi mi passi le lance accese». «D’accordo!» fece Tago che ormai si sentiva di far parte di un commando militare. Banco si gettò nel fiume e, vincendo la forza della corrente, cercò di rimanere accanto al rifugio; afferrò la lancia che l’amico gli aveva passato e, badando bene di non bagnarla, si avvicinò quanto più gli fu possibile alla sponda del fiume e diede fuoco alla ragnatela più vicina che subito s’incendiò. La vibrazione su quella parete appiccicosa fu sufficiente a far accorrere immediatamente due Ragni Giganti che, alla vista del fuoco, gemettero e retrocessero. Un Ragno Peloso ad una decina di metri dal punto in cui era stato appiccato il fuoco subito accorse e tagliò, con il lungo corno affilato, la barriera bianca lasciando cadere la parte incendiata. Altrettanto fece un altro Ragno della stessa razza, dalla parte opposta isolando la tela che stava bruciando e salvando così il resto della trappola. Non appena la porzione tagliata e abbandonata sulla riva, ebbe finito di consumarsi, una decina di Ragni uscirono dalla boscaglia e subito si misero a ricostituire la ragnatela nella parte distrutta. Era impressionante vedere in quel punto una così elevata concentrazione di creature mostruose, che lavoravano senza posa in perfetto accordo fra loro. Tessevano in fretta e in modo accurato: in un attimo il recinto era di nuovo formato e perfettamente tirato. «Non serve a niente…» si lamentò Banco tornando avvilito al rifugio «sono troppo furbi… sembrano orchestrati da una mente diabolica…» «Che si fa, allora?» fece Tago, anche lui deluso. In quel preciso istante si sentì un tonfo nell’acqua. «Cos’è stato?» domandò concitato Banco. «Non ne ho idea, non si vede niente: però non era distante». Seguì un altro tonfo, ancora più vicino a Banco tanto che avvertì gli spruzzi sulla faccia. Passarono pochi secondi, poi il ragazzo vide una sagoma scura galleggiare sull’acqua. Ma fu solo quando gli passò accanto che provò orrore. Era una parte della zampa di un ragno. Si muoveva ancora ed emanava un fumo denso e scuro, mentre, tutt’attorno, l’acqua ribolliva. «Che cosa sta succedendo?» domandò inquieto Tago «stai bene?». Banco si issò all’interno del rifugio, con la faccia scura. Nel mentre si udivano altri sonori tonfi, disse: «Dobbiamo andarcene il più presto possibile. Quelle bestiacce stanno gettando nel fiume parti del loro corpo, che, non so per quale strano processo fisico, riscaldano l’acqua. Ben presto potrebbe essere impossibile immergersi nel fiume. Voglio stanarci da qui». «Ma è incredibile» si limitò a commentare l’amico «ma che razza di bestiacce sono?». Poi Banco sibilò: «Il tuo rifugio può essere smontato?» Tago non si aspettava una domanda del genere. Ci pensò un po’ su e poi rispose: «Credo proprio di sì, ma che ci vuoi fare?» Banco, senza dare spiegazioni, aggiunse: «Aiutami allora a ‘sganciarlo’ da qui». Il riparo era un parallelepipedo che da un lato poggiava su di un’isoletta di sabbia nata nel fiume e dall’altro, sul davanti, da dove si entrava sott’acqua, su due pali conficcati da Tago sul fondo del fiume. Sopra, per mascherarlo, erano stati collocati degli arbusti e dei tronchi che fungevano anche da tetto. Quando tutto alla fine fu pronto Banco chiarì: «L’idea è quella di incendiare il rifugio e di lasciarlo andare lungo la corrente del fiume contro la barriera di ragnatele che sta a valle e che lo attraversa trasversalmente. Cerchiamo di sfondare da quella parte del fiume. Al contatto con il fuoco il muro di ragnatele si incendierà, ma in quel punto i Ragni, anche per via dell’acqua, non faranno in tempo, come sulla riva, a ricostruirle velocemente. Faremo prima noi a passare». «E noi dove ci metteremo?» «Nuoteremo sotto il rifugio, a pelo d’acqua, riemergendo ogni tanto per respirare, ma stando il più possibile sotto per ripararci dal calore. Ma è un’operazione che dobbiamo fare subito, prima che l’acqua diventi bollente». «Mi sembra un’ottima idea…» fece Tago sistemando meglio la paglia dentro al capanno. «Ma questo fiume dove va a finire?» chiese Banco che ci teneva ad avere tutte le informazioni utili prima di tentare l’impresa. «Fa un lungo giro della Immagine, ma poi ritorna qui. La struttura a cilindro dell’Immagine rende circolare anche il percorso del fiume. Lo so perché, costruendo questo riparo, mi è sfuggito in acqua un pilone di legno che mi sarebbe servito per ancorarlo. Dopo un po’ di tempo, pur essendo sceso a valle con la corrente, è ritornato da monte, alle mie spalle». «Questo significa che se riusciamo a superare lo sbarramento» concluse Banco «dovremo, ad un certo punto, approdare a riva per non correre il rischio di ritornare in mezzo ai Ragni». «Certamente!» annuì Tago «un duecento metri da qui il fiume fa un’ansa verso destra. C’è anche una spiaggetta e credo che quello sia il luogo migliore per scendere a terra». «Allora sei pronto?» domandò Banco con un po’ di emozione. «Sì, prontissimo!» Si sentirono altri tonfi e schizzi d’acqua calda colpirono entrambi i giovani. «Lo sai, vero, che potremmo non farcela!?!» si chiese Tago con amarezza. «Lo so perfettamente, amico mio, però ci potremmo sempre consolare con l’idea che ci abbiamo provato…» Mentre Tago si tuffava nell’acqua pronto a sganciare il rifugio tenuto oramai ancorato all’isoletta di sabbia solo da una corda, Banco si collocò, con i contatti dei fili scoperti della torcia, sopra a della paglia per appiccare di nuovo la scintilla. «Avevi ragione» sbottò Tago cercando di asciugarsi gli occhi «l’acqua è già molto calda». Banco assentì con la testa pur sapendo che l’amico non l’avrebbe visto. Era teso: sapeva che poteva essere questione ormai di minuti. Fece alcuni tentativi di accensione a vuoto, ma poi ci riuscì. Le fiamme divorarono in un attimo la paglia secca per poi propagarsi al resto della struttura. Banco quindi si buttò in acqua e dopo aver afferrato un paio di lance, raggiunse Tago che stava già tagliando la fune di ancoraggio all’isola. Il rifugio, ormai preda del fuoco, cominciò a muoversi seguendo la corrente. I due giovani venivano trascinati dal peso della struttura, riuscendo ugualmente però, nuotando, a tenerla in mezzo al corso d’acqua. La notte, di solito buia, era stranamente illuminata da quel fuoco colorato e crepitante, la cui luce era amplificata dal riflesso sull’acqua. Sembrava una di quelle scene di attacco ad una roccaforte di assediati, anche se, in quella circostanza, gli assediati erano proprio loro. Dopo pochi metri avvenne l’impatto con la ragnatela che attraversava il fiume: come previsto prese subito fuoco. Banco aveva immaginato bene: la ragnatela in quel punto era molto spessa e penetrava nell’acqua per un buon metro. Il momento era molto critico, anche perché i Ragni, avvertiti dalle forti vibrazioni sui fili collegati alla tela, erano accorsi sulla riva agitando le loro mandibole e le protuberanze a lancia. Tago e Banco sentivano fin nell’acqua il rumore delle loro zampe e delle loro cesoie: correvano in su e in giù emettendo grida stridule, allarmati forse dal fatto che le loro prede stessero riuscendo a scappare. Il riparo, benché infuocato, faceva fatica ad aver ragione della barriera compatta. Ma alla fine cedette strappandosi. La parte sott’acqua tuttavia si impigliò ai due ragazzi, che ne rimasero invischiati. La struttura di legno o quel che rimaneva di essa, libera dalla trappola, cominciò a roteare su se stessa nella corrente trascinandosi i due fuggitivi che ne avevano perso il controllo. Tago e Banco erano rimasti infatti incollati al pezzo di tela sommersa che si era sì squarciata, ma non bruciata, stringendosi su di loro come il bozzolo di una grossa crisalide. I due non riuscivano nemmeno più a riemergere per respirare e nuotavano disperatamente con un annaspare confuso e disarticolato. L’acqua si era fatta oltretutto caldissima, ai limiti dell’ustione. Passarono diversi, interminabili minuti fino a quando la carcassa del rifugio prese il filo della corrente trascinandosi dietro anche Tago e Banco rimasti impigliati con il loro bozzolo ad uno spuntone di legno dell’ex rifugio. Poi, finalmente si arenò da solo nell’ansa di cui parlava Tago. I due giovani in quel punto toccavano con i piedi e, seppur a fatica, ripresero a respirare riuscendo a togliersi i pezzi di ragnatela appiccicosa che ancora li bloccava al legno. Erano sfiniti e la loro pelle era come lessata. «Ma bravi, veramente bravi!» esordì una voce mielosa vicino alla boscaglia. Banco, che era arrivato per primo a riva barcollando, chiese: «Cosa hai detto, Tago?» «Non sono stato io a parlare, ma quello là!» Banco alzò la testa e vide IT con un enorme Ragno Verde che lo sovrastava dietro alle spalle. «Siete una bella coppia, voi due, non c’è che dire…» sghignazzò, al suo solito modo, sguaiatamente e reclinando la testa all’indietro. Il Ragno Verde stava già tirando fuori la sua protuberanza a uncino assumendo un atteggiamento ancor più minaccioso di quello che già aveva. «Me l’ero immaginato che c’eri tu, IT, a orchestrare i Ragni, mi sembravano troppo organizzati…» fece Banco, che aveva assunto una espressione furibonda. «Beh… volevo vedere come ve la cavavate…» ribatté lui beffardo «e poi non ti avevo forse promesso qualcosa di speciale, Banco? Il mio cucciolo, qui, ha una voglia matta di assaggiarvi. L’ho tenuto senza cibo per diverso tempo in vista di questa ghiotta occasione. E adesso non riesco proprio più a trattenerlo». Nel frattempo Banco sentì che Tago, rimasto dietro di lui, coperto dalle sue spalle, stava armeggiando, senza farsi troppo vedere, all’interno del suo zainetto. «Bene» fece IT «la vostra avventura mi pare sia durata anche troppo e io non ho poi così tanto tempo da dedicarvi…». Così blaterando, si voltò verso il Ragno dandogli l’ordine di attaccare. «Ma noi non vogliamo trattenerti…» ironizzò Tago uscendo da dietro la sagoma di Banco: stava bilanciando nella mano sinistra una lancia un po’ bruciacchiata che si era salvata dal rogo. IT non si avvide di quella mossa brusca perché era voltato per parlare con la sua Creatura. Poi, appena si rigirò, fece appena in tempo a dire: «Cosa credi di fare…?» che la lancia era già stata gettata con forza dal ragazzo nella sua direzione. Ma anziché colpirlo al torace, dove sarebbe stata in realtà diretta, la lancia piegò all’ultimo momento davanti a lui conficcandosi in un piede. IT stava per lasciarsi andare ad una delle sue fragorose risate quando il suo viso da allegro divenne sofferente. «CCosa ci hai messo in questa lancia…!?!» urlò il clown inginocchiandosi nel tentativo di estrarsela. Pochi attimi dopo il piede prese fuoco e le fiamme si propagarono subito dopo anche al polpaccio e al resto della gamba. IT saltellava in modo ridicolo cercando di spegnere quelle fiamme che stavano prendendo il braccio e tutto il corpo. Il pagliaccio gridava in modo straziante come fosse stato un cinghiale ferito: le sue urla riempirono la notte immobile di quell’Immagine. Ben presto IT fu una torcia umana. Il trucco del viso, sciogliendosi, mostrò un volto spaventoso: occhi color di lava, pelle nera solcata da rughe profonde. IT cadde a terra agonizzante mentre una bava giallastra fuoriusciva impetuosa da una bocca enorme colma di denti acuminati. Il Ragno Verde fuggì letteralmente alla vista di quella scena. I ragazzi rimasero come impietriti. L’accaduto andava molto al di là delle loro aspettative. «Ma cosa c’era sulla punta di quella lancia?» chiese Banco senza neppure guardare l’amico: non riusciva a distogliere l’occhio dalla melma grigiastra e fumante che una volta era stato il suo nemico. «Ho preso il tuo refrigeratore istantaneo dallo zaino dove ho inserito la lancia imbevuta del sangue di Ragno che avevi raccolto…» «Cosa ci sarà mai in quel sangue?» fece Banco. «È una fine che si è proprio meritato!» mormorò Tago con soddisfazione «ora il conto che avevo in sospeso con lui, è definitivamente chiuso!» «Direi…» fece l’altro. «Vieni, andiamo, non possiamo stare qui: è troppo pericoloso» esortò Tago tirando a sé l’amico come per svegliarlo. Controllando il rivelatore di Gator che aveva tirato fuori dalla tasca aggiunse: «Il Numeratore che contiene l’NPI dell’Immagine che vogliamo modificare è in quella direzione!» e indicò un punto lontano. «Sì, hai ragione, amico mio,» rispose Banco «è ora di lasciarci alle spalle questa Immagine maledetta. Andiamo».

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