«Perché ho l’impressione che questi scogli si stiano muovendo?» chiese ad un certo punto Tessa allarmandosi. «Sì, anch’io avevo avuto questa sgradevole sensazione…» confermò Banco guardando il punto in cui le rocce emergevano dall’acqua come se si trattasse di un gommone che stava per sgonfiarsi. «Temevo che questo potesse accadere. Non ho voluto parlarvene prima per non allarmarvi» confessò Tago in modo pacato. «Cos’altro c’è ora?» sospirò la ragazza. «Questi scogli non fanno parte dell’Immagine originaria. È una soluzione di sicurezza provvisoria». «Come provvisoria?» fece Tessa sempre più preoccupata. «Sì, come vi ho detto prima, sono disegni creati lì per lì dal Gator per darci un supporto su cui stare in questo mare d’acqua, ma dopo un po’ possono cancellarsi». «Possono? Ma di buone notizie, ne dai mai?» lo rimproverò l’amico. «Mi spiace» si scusò Tago «ma non è colpa mia». «Stiamo sprofondando! Finiremo annegati!» gridò Tessa sbarrando gli occhi e cominciando a saltellare sul posto presa dal panico. Tago si sporse anche lui dagli scogli a osservare meglio il mare. «L’apposizione integrativa digitale degli scogli cra una sorta di instabilità digitale che l’Immagine non può reggere a lungo. È per questo che la tensione della struttura tende a ristabilire l’equilibrio violato e cancellare il superfluo. E cioè gli scogli su cui siamo noi». «A parte questi preziosissimi dettagli tecnici …» fece Banco ironico «ti viene in mente qualche idea brillante per non finire in acqua?» «Direi di no… spero che sappiate nuotare…» e guardò i suoi due amici. «Io sì» rispose Banco «è lei che…» E infatti Tessa stava guardando con terrore il liquido nero che si spandeva sugli scogli in liquefazione. «Non ti preoccupare Tessa, ti terremo noi a galla » cercò di rassicurarla il fratello. Ma la ragazza aveva preso a girare su se stessa, su quello che rimaneva dell’isoletta. «Certo, ci penseremo noi» fece presente Tago corrugando la fronte «speriamo però che non ci siano altri pericoli in questo mare». «Perché? Credi che ci possano essere degli squali in quest’acqua?» chiese con un po’ d’ansia Banco. «Se pensi che questo Oceano è stato creato da un Gator in mano alla Banda dei Malvagi, non mi stupirei se gli squali fossero i pesci più innocui». «A volte sai essere davvero rassicurante, Tago!» gli disse Banco abbracciando la sorella terrorizzata. «Non ci posso fare niente, è la verità». «Il bello è che ne parli come se stessimo al telefono e tu ti trovassi a casa tua in poltrona… perdi mai la calma?» «Di tanto in tanto. Sono sostanzialmente un fatalista». Le caviglie dei ragazzi erano già nell’acqua. Poi fu il turno delle ginocchia e via via di tutto il resto del corpo fino a quando dovettero tuffarsi. Subito i ragazzi afferrarono Tessa che aveva già cominciato a sbattere in modo scomposto le mani nell’acqua come un uccellino agonizzante. «Rilassati» le sussurrava Banco nell’orecchio «finché ci siamo noi, non hai nulla da temere». Sentendo quelle parole, la ragazza, che si fidava del fratello, si lasciò andare a pancia in su facendosi sorreggere dalle braccia dei due ragazzi. Rimasero così in quella distesa blu per un tempo incalcolabile. Il sole, intanto, era implacabile per quanto picchiava. Banco, ad un certo momento, notò che Tago dava segni di stanchezza e che ogni tanto il mento gli scivolava sotto il pelo dell’acqua costringendolo quasi a bere. Tessa invece non parlava neppure più, aveva gli occhi chiusi tanto che sembrava dormisse. L’unico che diceva qualcosa era lui che non mancava di rincuorarla e di farle dimenticare la situazione in cui si trovava. Passò altro tempo: Tago faceva visibilmente sempre più fatica a stare a galla. Le forze lo stavano abbandonando. Banco allora gli disse: «La tengo per un po’ io da solo mia sorella, non preoccuparti». Anche se sapeva che, così facendo, avrebbe esaurito ben presto anche le sue energie. Tago si staccò da loro di qualche metro, facendo un sorriso come per ringraziare. Le labbra però erano tese, il volto pallido. ‘La fine è vicina’, pensò Banco. ‘Fra un po’ saprò come si fa a morire in un’Immagine senza mai morire’. La loro bocca era riarsa dalla sete. Anche lo stomaco era insopportabilmente vuoto. ‘Nessuno saprà mai dove siamo finiti… Chi cercherebbe mai una persona in un’Immagine? In un qualcosa che non esiste per chi vive nella Realtà?’ Rifletté Banco amareggiato e oramai esausto. Poi, all’improvviso, i piedi di Banco sembrarono toccare qualcosa di solido. «C’è qualcosa qui sotto, che si muove…» mormorò Banco tra l’impaurito e il sorpreso. «Davvero?» fece Tago gorgogliando nell’acqua. «Sì, e mi sta spingendo in su…» «Cos’è, cos’è?» chiese ansiosa Tessa che sembrava essersi ripresa da quella sorta di sopore che si era impadronita di lei. «È forse uno squalo? È forse uno squalo? Faremo tutti una morte orribile. Me lo sento!» «Non lo so…» le rispose il fratello «si muove lentamente sotto di me… ecco sì, sì, ora posso anche distinguerne la sagoma è… è…» A quel punto una grossa testuggine con un guscio largo come un piccolo canotto emerse dal mare. Tessa e Banco si ritrovarono all’improvviso fuori dall’acqua e poterono sedersi comodamente sul guscio godendosi il lento procedere dell’animale. «Monta su, presto, Tago!» gli dissero i fratelli con rinnovato entusiasmo. L’amico fece appello alle sue residue energie. Fece alcune larghe bracciate e fu subito a ridosso di quell’inaspettata boa di salvataggio. Banco lo afferrò per le braccia e lo issò a bordo. La testuggine non si scompose per quel carico un po’ particolare e continuò a muoversi nuotando. I ragazzi si guardavano l’un l’altro sorridendo. Non osavano parlare. Si abbracciarono. Erano felici per lo scampato pericolo, proprio nel momento in cui non ci speravano più. Si distribuirono tutto attorno al carapace per dare equilibrio al pacifico rettile e non farlo pendere da un lato piuttosto che da un altro. La risacca s’infrangeva dolcemente sul muso e i bordi del vasto guscio dell’animale. Era elegante, docile e pieno di una sua sobrietà antica. «Chissà dove sta andando?!?» se ne uscì Banco, che sentiva a poco a poco ritornargli le forze. «Sta andando ad est» rispose Tago «ammesso che ci sia l’est in un’Immagine e che questo possa comunque voler dire qualcosa. «Il tuo rilevatore di Gator segnala qualcosa?» gli chiese Tessa pettinandosi i capelli con le dita. Tago lo tirò fuori dalla tasca. «Per fortuna, non patisce l’acqua» commentò cercando in qualche modo di asciugarlo. Poi fece un po’ di controlli e di calcoli, ma scosse la testa. «Mi dice solamente che i Gator della Sede si stanno allontanando. E non ne vedo altri in questa Immagine». Così dicendo posò il rilevatore sul guscio, esattamente sul rombo più scuro al centro del carapace della testuggine, in modo che non corresse il rischio di cadere in mare. «Questo è un incubo da cui non ci sveglieremo più» si lamentò sconfortata la ragazza la cui pelle si stava screpolando sotto il sole. I suoi capelli rossi, che sentiva stopposi per la salsedine sotto le dita rese gonfie dalla troppa permanenza in acqua, si stagliavano sul blu di quell’oceano. «Ehi, ma dove è andato a finire il tuo rilevatore?» fece Banco, ad un certo punto, scrutando con aria interrogativa il suo compagno di disavventure. «Hai ragione! Era qui appena adesso! L’ho posato qui in centro. Non l’ho visto scivolare in acqua» ribadì Tago che non sapeva capacitarsi. I ragazzi si girarono a cercare il dispositivo caso mai si fosse impigliato da qualche parte sotto di loro. Niente. Sembrava proprio svanito. «Eppure l’ho sistemato proprio qui» insistette Tago indicando la parte centrale del guscio della testuggine. Lo sciabordio dell’animale nell’acqua aveva qualcosa di cadenzato e di ipnotico, rendendo ancora più solenne quella frase. «Ma come è possibile?» si domandò ancora Banco. E toccando la porzione del carapace, su cui aveva visto l’ultima volta quel dispositivo, si accorse che parte della sua mano sprofondava all’interno del guscio stesso. «E questo che cosa significa?» chiese sbalordito Banco ripetendo il gesto di inserire le dita nel carapace ritraendole. «È… è… un Varco… una Via di Fuga dall’Immagine!» esclamò Tago, entusiasta per questa scoperta. «Vuoi forse dire…» sorrise Banco, cui era sparita di colpo la stanchezza «che se passassimo attraverso la testuggine arriveremmo all’interno di una nuova Immagine?» «Sì, proprio così, dentro all’Immagine creata immediatamente immediatamente dopo questo oceano, quella insomma che ha un numero di creazione successivo, come ti ho detto prima». «Questo significa che siamo salvi?» fece Tessa che come al solito sembrava essersi svegliata solo in quel momento. «No» affermò grave Tago, sicuro di riferire qualcosa che non sarebbe stato facilmente accettato» significa solo che potremmo uscire da questa situazione, dove probabilmente non abbiamo scampo, per entrare in un’altra di cui non sappiamo niente. Non solo, ma la nuova Immagine potrebbe anche essere priva di un Gator e dunque senza una concreta possibilità di tornare nel mondo reale! E neppure di tornare indietro». «Ma non è possibile!» sbottò Tessa sempre più avvilita. «Bisogna scegliere, a questo punto, cosa è meno peggio fare» sospirò Banco «o andare alla deriva per sempre in questo Oceano Sovrapposto o affrontare una nuova situazione dove magari possiamo sopravvivere». «Io dentro a quell’animale non ci vado» sbottò Tessa disgustata «mi fa schifo questa cosa». «Non c’è via di uscita» cercò di convincerla Tago «dobbiamo farlo per forza!». «Ma che ne sai?» si lamentò la ragazza «prima o poi, navigando con questa testuggine potremmo anche incontrare qualcuno con una barca che ci salva o potremmo anche imbatterci in un’isola con tanti alberi da frutto e…» «Assolutamente impossibile» fu categorico Tago sforzandosi di sorridere anche se in modo amaro. «A parte il fatto che se anche trovassimo qualcuno o un’isoletta felice, come dici tu, siamo pur sempre prigionieri a vita di questa Immagine, visto che i navigatori abilitati a trasferirci altrove sono iraggiungibili, l’ennesima non buona notizia è che siamo purtroppo già passati di qui». «Come sarebbe a dire siamo passati già di qui?» si stupì Banco. «Ma se siamo andati sempre diritti!» «Dovete sapere che l’Immagine non ha la forma di un rettangolo per cui prima o poi si finisce contro un margine e ci si arresta. O meglio, l’Immagine ha sì la forma di un rettangolo ma è piegata a cilindro tanto che il bordo destro e quello sinistro sono uniti fra loro da una giuntura a creare una continuità di tratto. Anche se si procede in modo lineare, quindi, l’Immagine non ha tecnicamente una fine proprio perché i lati estremi sono attaccati insieme: chi dovesse pertanto percorrerla da ovest ad est, come stiamo facendo noi, o all’inverso, da est verso ovest, pur non avendone l’impressione, non farebbe che girare in tondo». «E tu come fai a sapere che siamo già passati di qui?» gli chiese ansiosa la ragazza. «Per quella nuvoletta a forma di testa di gatto lassù. Era la stessa che abbiamo visto quando ci trovavamo sugli scogli che poi si sono sciolti. Inoltre, una mezz’ora fa, abbiamo superato una sottilissima linea zigrinata…» «Oh sì… quella l’ho vista anch’io» assentì Banco «pensavo mi fosse andato un capello davanti agli occhi… e invece cos’era?» «È il punto di giuntura dei due lembi estremi dell’Immagine piegata a cilindro». Tessa sembrò afflosciarsi a quella notizia. Poi ribadì irremovibile: «Tanto è inutile: io dentro a quell’animale non ci vado!» «Potrei andarci allora solo io» disse Tago. «Potrei andare in avanscoperta per accertarmi cosa c’è e poi rientrare per la Via di Fuga, cioè sempre attraverso questa testuggine, e dirvi se è meglio o peggio di qui. Così tu, Banco, puoi rimanere con tua sorella. E poi io devo andare a riprendere il mio rilevatore: ne sono responsabile: non posso tornare senza». «E se poi il Varco termina in un punto che non ti permette di ritornare? Non sapremo mai che cosa hai visto… né che cosa ti è capitato» disse sconsolato Banco. «Del resto potrebbe anche darsi che questa testuggine, per cercare cibo prima o poi s’inabissi, facendoci perdere l’unica speranza di fuga» fece di rimando Tago. «In questo caso saremmo costretti a raggiungerti, in un modo o nell’altro, passando per questo stesso pertugio» considerò Banco. «Va bene… allora è deciso» concluse Tago poco convinto «andrò da solo…» I tre si abbracciarono consapevoli che avrebbero potuto anche non vedersi più. A Tessa scese anche una lacrimuccia che subito cercò di lavar via con un po’ d’acqua di mare. Quindi Tago si accostò al centro del carapace che pagaiava con ritmo regolare senza mai smettere. «Vedrete che tornerò presto» sospirò Tago con un sorriso spento e poco convinto. «Come facciamo a sapere che non ci lasci qui?» chiese Banco tenendo fermo per un attimo il polso dell’amico. «Non potete saperlo, dovete fidarvi» fu la risposta. Quindi Tago si tolse la striscia di stoffa azzurra che aveva sulla fronte e la consegnò a Banco. «Questa me l’ha regalata mio padre prima di morire: non me ne separerei mai in modo definitivo per niente al mondo. Verrò a riprenderla…» Banco prese in consegna la fascia. La esaminò come non aveva mai fatto prima. Era tutta ricamata. Aveva l’aria di essere una cosa preziosa. «Ma cosa raffigura questo simbolo in mezzo alla fascia?» s’informò curioso Banco. Tago infilò lentamente i piedi dentro al carapace della testuggine guardando se l’animale desse segno di nervosismo o di dolore. Quindi spinse anche le ginocchia tenendosi ai bordi del guscio con i gomiti. Guardò i due amici e disse a Banco: «Mio padre era uno degli ultimi discendenti dei Druidi celtici irlandesi. Questa è una fascia Oonabhat che i Druidi indossano nelle cerimonie religiose per ottenere la benevolenza e la protezione degli Dei Bianchi contro le forze del Male. Il simbolo che è al centro del cerchio è un Nodo Celtico e simboleggia la Forza e l’Onore…» A quel punto Tago chiuse gli occhi. Sembrava tutt’altro che persuaso che quella che stava compiendo fosse la scelta migliore. Ma sorrise ugualmente ancora una volta ai due amici, mentre Tessa si tappava la bocca per l’emozione e Banco era in procinto di dire qualcos’altro. Ma non ce ne fu il tempo. Il ragazzo bruno dai lunghi capelli si lasciò scivolare nella testuggine fino a quando non fu del tutto sparito all’interno di quel varco. Ora il guscio della testuggine sembrava enorme senza il terzo passeggero. I due fratelli erano tristi. Si sentiva tra loro solo il lento sciabordio del mare sul guscio che fendeva le onde. Passò un minuto, ne passarono dieci. Trascorse anche un’ora e di Tago non si seppe più nulla.