Nel precedente articolo si è parlato di come abbozzare un blogtale (cioè un racconto molto breve,–> per saperne di più sul blogtale –> Cos’è il blogtale?) a livello di pensiero, di astrazione, partendo da un’idea iniziale e portandola poi a sviluppo e compimento.
Tralasciando la problematica (non fisiologica) di cosa fare quando non viene in mente un bel nulla (–> Come farsi venire in mente una buona idea per un racconto), nonostante gli sforzi in questo senso, parliamo ora della ‘gestione ordinaria’ della buona idea e come porsi nelle migliori condizioni per poterla maturare dal suo nascere.
Spesso lo spunto, quello che io chiamo immagine-starter, la cellula del racconto (–> Come allenare il muscolo della fantasia), quel qualcosa da cui iniziare arriva senza doverla sollecitare. Se si è allenati alla creatività (non si deve dimenticare che la fantasia è come un muscolo di cui occorre prendersi cura) si inserisce nella mente nei momenti più impensati.
Può nascere dalla lettura di una rivista, da una frase sentita per strada, dalla visione di un film. Il processo può non essere immediato: l’idea può annidarsi infatti in fase di latenza nel nostro cervello o emergere dal subconscio attingendo dal materiale inesauribile dei sogni, diventando all’improvviso una specie di fotogramma fisso, forse anche un po’ sfuocato, che aspetta di mettersi in movimento e raccontare la storia.
Altre volte (forse la maggior parte, a dire il vero, ma varia da persona a persona) trascorrono lunghi periodi in cui non viene in mente niente di valido e se non abbiamo termini temporali con cui confrontarci siamo propensi a credere che se non c’è un’idea valida da cui partire non valga neppure la pena di mettersi a tavolino.
Questo atteggiamento è sicuramente sbagliato. L’immagine romantica di chi si siede a rimirare il mare o il tramonto aspettando di essere visitato dalla musa ispiratrice è anacronistica e poco pratica. Si potrebbe infatti correre il rischio di non scrivere mai.
Molti grandi scrittori lavorano come degli impiegati, secondo orari da loro prefissati, in certi momenti della giornata e in determinati luoghi a loro congeniali, provando e riprovando, togliendo e aggiungendo, correggendo e limando.
L’importante è allora trovare innanzitutto quello che io chiamo il proprio luogo dell’anima, un ‘pensatoio’, un luogo facile da raggiungere e dunque disponibile, tranquillo, sereno, lontano da tutto ciò che potrebbe assorbire l’attenzione distraendola dal compito che ci siamo prefissati.
Può essere la propria stanza o lo studio o quell’angolino di spiaggia che solo noi conosciamo. Inoltre niente televisione/stereo/radio se sono motivi di deconcentrazione, oppure vanno accese se sono proprio loro che stimolano l’ideatività. Staccare quindi il cellulare o il telefono o internet che ci può avvisare della posta in arrivo o far venir voglia di navigare o andare su Facebook.
Il secondo passo è entrare in sintonia con se stessi, magari eseguendo inizialmente un rituale tutto nostro che solo noi conosciamo (–> La routine di lavoro per favorire la creatività). Mettere in ordine la scrivania, dar da mangiare al pappagallo, temperare le matite o cose simili. Un qualcosa che non riguardi ancora la scrittura, ma che la preluda, quasi la invochi.
Questa parentesi di ingresso serve da cuscinetto per svuotare la mente dai pensieri, dagli affanni, dai problemi (una specie di tao della scrittura) onde allinearsi alla propria dimensione spirituale. La razionalità, intesa come presenza logica in un altrove quotidiano, va azzerata per far sì che sia possibile mettersi in ascolto della propria emotività, della propria creatività, delle proprie vibrazioni.
Occorre insomma sentirsi bene, rilassati ma reattivi, sospesi ma recettivi. Questo significa che bisogna assumere anche la postura fisica della comodità.
Va bene quindi anche appollaiarsi sul ramo di un albero se siamo in grado di starci tre o quattro ore di fila senza stancarci e va bene anche il letto se non cediamo alla tentazione, tra rilassamenti e vuoti di mente, di addormentarci profondamente.
Ambiente e predisposizione mentale ecco dunque le buone basi da cui partire. Il resto verrà di conseguenza.
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IN CONCLUSIONE
Dunque, ricapitolando, di cosa si è parlato in questa pagina:
della necessità di ritagliarsi un luogo tranquillo dove poter scrivere a proprio agio in modo da trovarsi in ascolto di se stessi e per mettersi agevolmente in contatto con la propria immaginazione e la propria sensibilità.
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<– L’approccio modulare al racconto prima di scriverlo
–-> La pluridimensionalità del tempo nel racconto