L’idea per il racconto mi è venuta una mattina andando al lavoro.
Come accade a gennaio, al mattino presto, è ancora buio fitto. Svoltando nella via che mi avrebbe portato al mio bus ho visto per un attimo un signore che, all’interno di una macchina, stava probabilmente aspettando qualcuno. Nell’attesa aveva acceso il telefonino sicché nel buio della strada ho visto solo il suo viso illuminato dal basso verso l’alto con un’inclinazione della luce che lo ha fatto sembrare, anche per la distanza che mi separava da lui, irreale, senza volto, come un fantoccio o un manichino.
In un attimo, anche per il mio passo svelto, sono passato oltre, ma la mente ha continuato a lavorare su quella fuggevole impressione fino a imbastire la trama del post.
Ho voluto mantenere nel testo l’assenza di espressioni facciali nei manichini della città sognata dai protagonisti della storia, per dare un tocco di impersonalità alle persone che normalmente incontriamo per strada e altrove, tutti i giorni.
Se ci si pensa, infatti, con le persone che incrociamo quotidianamente, ci sfioriamo, ci intravvediamo appena, occupiamo per motivi contingenti spazi comuni, persino a volte ci scambiamo in modo fuggevole alcune parole, ma loro per noi rimangono pur sempre soggetti senza volto, senza una storia, senza un’identità o un ricordo più stabile che li possa estrapolare dall’anonimato in cui sono confinati; un passante allora vale l’altro, e se l’uno fosse sostituito dall’altro non lo potremmo neppure sapere né giocoforza ce ne potremmo accorgere, perché non siamo in grado di poter distinguere una persona dall’altra.
Martha e Graham, nel racconto Se l’era immaginata così, fanno lo stesso sogno ma non si tratta di un sogno qualunque; nel sottile diaframma tra ciò che è reale e ciò che non lo è, Martha rimane imprigionata nel mondo da lei stesso creato con la sua immaginazione a causa del contatto da lei voluto toccando per curiosità il manichino (con il ‘borsalino’ in testa) del bar.
E Graham, che intravede la donna, sognando lo stesso sogno (chissà quante volte viviamo sogni di sconosciuti senza saperlo), la ritrova in quel bar ormai diventata manichino tra i manichini e destinata a vivere per sempre il sogno di qualcun altro. Perché tutto questo avviene non è dato saperlo e, dopotutto, non è poi neppure così importante.
Dunque un racconto onirico, persino metafisico, alla De Chirico, se si vuole cercare un precedente nella pittura o alla Saramago, come acutamente osservato, se si vuol pensare alla letteratura; una storia che apre però a un interrogativo di fondo che vorrei evidenziare, questa volta alla Hitchcock: e se qualcuno di noi vivesse in realtà solo il sogno di qualcun altro?
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