E’ il luogo che fa il monaco

Qualche giorno fa ho subìto un piccolo intervento chirurgico (è andato tutto bene, sì, grazie per l’interessamento). E ho scoperto che non è solo l’abito che fa il monaco, ma anche il luogo. Quando lunedì scorso ho fatto ingresso in reparto per il ricovero, sono entrato con la mentalità del sano. Non mi sentivo ovviamente ‘malato’ sicché l’impatto con infermieri, pazienti emaciati stesi sul letto a lamentarsi o male deambulanti nel corridoio trascinandosi un portaflebo è stato uno shock, come entrare in un girone dantesco. Poi, sono passate le ore e i giorni. Cominci a essere circondato da persone che ti chiedono come stai, che ti trattano da malato, trovandoti a poco a poco al centro di un’attenzione anomala per le persone sane, bersaglio di prelievi, terapie, misurazioni che si tramutano in tracciati, diagrammi e annotazioni. Così ti accorgi che, quando arriva l’ora del ‘passo’, è la gente che entra in reparto che guarda te in ‘quel modo strano lì’: perché sono ‘loro’ quelli sani, ‘loro’ che, sbrigate le formalità di visita del parente, se ne torneranno a casa mentre tu rimarrai lì contento solo perché sei passato dalla dieta liquida a quella leggera o perché vorresti raccontare a tutti di non avere più l’agocannulla conficcata nel braccio. Capisci anche che l’ospedale ti metterà in condizione di guarire sì, ma che spetterà pur sempre a te farlo veramente: tornando a casa e prendendo da capo l’abito mentale della persona sana. Perché il miglioramento, fisico o spirituale che sia, resta pur sempre un processo personale tutto interiore.

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