Era una giornata spaventosamente uggiosa.
Gli abitanti di Lamarmora, che pur avevano potuto osservare, sin dalle prime ore del mattino, che il fiume Bu, ad un tratto, aveva invertito il flusso della propria corrente, non si erano preoccupati eccessivamente di tale stranezza, almeno fino a quando non si accorsero che l’Eroe Sigismondo Pagnotta, dismessa la consueta postura da monumento alla memoria, aveva calzato una maschera da sub con tanto di boccaglio e stringinaso, impugnando, con aria indomita, un fucile armato di fiocina.
Ciò fu ritenuto di malaugurio e si temette il peggio.
Nel frattempo, sulla Collina dei Tresospiri (la più suggestiva delle Colline Terse), una persona, con passo lento e pesante, rientrava in casa trascinando un secchio colmo di pesciolini rossi. La vecchia signora, sedutasi comoda, predispose con risolutezza, sulla tovaglia tombolata, la nota pettorina dispiegandola come poté con le dita inlegnite. Presa una manciata di pesciolini brulicanti, ne scelse uno, più rosso e più cicciotto degli altri che adagiò sul tavolo.
Poi la donna, con ritmo sincopato, gonfiando e sgonfiando le gote, emise un gorgoglìo sommesso che ricordava l’acqua nel gargarozzo intasato di un’anitra, rumore che, qualche attimo dopo, sfogò in una cantilena monotona e stonata.
Pauper, il felino bigio, non potendone più di quell’insopportabile lamento, decise di nascondersi nel pendolo antico che, a sua volta, con mossa astuta, scivolò nella stanza vicina.
Intanto l’animaletto branchiato, saltando e risaltando terrorizzato e mezzo asfittico (come previsto del resto nella celebrazione del rito ) capitò sulla pettorina intrappolandosi nelle sue pieghe.
Poi il pesciolino si agitò sempre meno fino a che, con un tremore convulso e imprecazioni irripetibili, se ne ristette immobile con la pupilla opaca e innaturalmente dilatata .
Esalato l’ultimo respiro, sotto lo sguardo attento della donna compiaciuta, le imposte si spalancarono e il cielo, come un enorme parabrezza infranto dal macigno del Male lanciato dal viadotto dell’Universo, si frantumò con una detonazione agghiacciante.
Cominciò così a piovere a secchiate (ma unicamente nella Villa di Anaspasio).
E piovve, piovve… a secchiate.… a secchiate.
Ma quella che veniva giù non era affatto acqua. Erano pesci. Merluzzi, scorfani, sgombri e naselli, ma anche cozze, patelle e polpi.
Un gruppo consistente di lamarmoresi formatosi spontaneamente nella piazza principale del paese (gruppo nel quale si potevano contare anche, purtroppo, gli amici più cari del Presidente) dopo l’iniziale comprensibile indigestione a base di frittino mistomare e di cefali alla griglia, come orchestrato da una sola regia, marciò risoluto in direzione del Ponte Ovale (il più caratteristico fra i ponti sul fiume Bu). Quivi, prelevato di peso il Sommo (Lui piangente), resistendo al condiviso desiderio di tirarGli il nobile collo manco fosse un cappone, dopo una settimana di cammino, fu trascinato in vetta al Monte Perduto ove, con pochi generi di conforto (un cuscino in seta con le Sue cifre ricamate, una fotografia di Primo Fante con la gallina Padovina in testa e un barattolo di marmellata di albicocche e acciughe), fu abbandonato colà senza ritegno.
Neppure Pamela Melapà se la sentì questa volta, nel ludibrio e nel disdoro generali, di seguirlo. Così Anaspasio, sprofondato in una cupa prostrazione morale, rimase desolantemente solo.
Nonostante il perpetrato ostracismo , il diluvio di pesci non accennò a diminuire. Dalle finestre della Villa presidenziale continuò a rovesciarsi, infatti, una quantità incredibile di pinne, chele, squame rosse e occhi sbarrati che si dibattevano nell’ineluttabilità di una sorte infausta.
L’avvilimento della gente si tramutò ben presto, però, in un cieco furore collettivo di talché, per arginare la calamità che stava assumendo proporzioni bibliche, si pensò unanimemente di abbattere la casa di Anaspasio; a tal fine, prima si cominciò con incerte picconate, successivamente, man mano che la folla acquistava coraggio, si passò alle ruspe dei caterpillar, quindi alle bombe al napalm, per terminare con nitroglicerina corretta con dinamite e C2.
Fu rasa al suolo.
Tuttavia, da sotto le macerie ancora fumanti, seguitarono a fuoriuscire per giorni e giorni tonnellate di pesce, come fosse quella una fonte inesauribile ed inestinguibile di odio, un pertugio insaziabile attraverso cui il Lato Oscuro dell’Ignoto diffondeva il suo Castigo.
Pure Anaspasio continuava ad essere martirizzato sul Monte Perduto dalla medesima maledizione, essendosi creata, a poca distanza dalla Sua regale testa, una nube color pece bollita che Gli vomitava addosso, senza interruzione, prodotti ittici freschissimi e di ottima qualità. Inizialmente cercò di ripararsi con le mani poi, arresosi quindi all’ineluttabile, se ne stette accucciato semisvenuto in un naturale avvallamento nel terreno. Se ne rimase in tale posizione, senza nutrirsi, né dormire per parecchio tempo aspettando unicamente che l’incubo avesse termine o che una pietosa Morte sopraggiungesse a liberarLo.
E all’improvviso, uno stordente gong mise fine all’estenuante pioggia.
Per settimane, gatti di ogni razza e religione, giunti anche dall’estero in tour organizzati, si dettero appuntamento a Lamarmora per banchettare lautamente.
Il paese, come era accaduto in passato, faticò a raggiungere la normalità, ma il pensiero che il Radioso fosse stato bandito per sempre fu di comune consolazione.
«Si svegli, signor Presidente, si svegli…!» disse una voce viscerale scuotendoLo come un olivo.
«Chi è lei? Do-Dove sono?» chiese il Sommo piuttosto confuso, non rinunciando tuttavia, ad assumere un atteggiamento patrizio e distaccato.
«Le dirò chi sono io, se Lei mi spiega come birillo ha fatto a trasportare fin qua questi pesci puzzolenti» rimproverò l’omone che, visto dal basso, sembrava un paio di querce una accanto all’altra con fronde e ghiande, giusti i capelli folti e boccolosi.
«Sa-Sarebbe una storia lunga…» rispose Anaspasio tirandosi su «… gliela racconterei vo-volentieri, ma ci vorrebbe una se-settimana di tempo.»
«Quassù ho tutto il tempo che voglio…» ribatté il Gigante Buono, spaziando lo sguardo saggio e rassicurante oltre la linea verde liquirizia dei monti lontani. Alcune centinaia di abeti, coricatisi per il riposino quotidiano, si rialzarono di buona volontà per far bella figura.
«Ma… lei chi-chi è…?» balbettò Anaspasio facendo fatica a muovere gli arti rattrappiti e deboli per il digiuno protratto e il fresco pungente dell’altitudine «pensavo che que-questo fosse un posto selvaggio e di-disabitato…»
«Sì lo è di certo… e se anche Lei ha una settimana a disposizione Le spiegherei le mie traversie… io sono l’ex-Ispettore Scelto Efisio Cabras, in ritiro spirituale.»
Un levigato profumo di sassofrasso si diffuse all’intorno.
I due allora si abbandonarono ad un sorriso di complicità, avendo capito di essere entrambi dei reietti.
Anaspasio, assistito sia da Ash, un invisibile Gnomo del clan dei Bracaloni , che, come si sa, pullulano sul Monte Perduto che dal possente Cabras, il quale, credendo di sorreggere il Magistrato per le ascelle per farlo camminare, in realtà, lo stava tenendo, senza sforzo, sollevato da terra di diversi centimetri, fece ingresso nella catapecchia sbilenca.
La luce rossastra e soffusa delle fiamme scoppiettanti nell’ampio caminetto in pietra ed un lacrimevole odor di incenso accolsero di sorpresa l’Eccelso. Ai muri facevano mostra di sé giganteschi poster di uomini nudi e ammiccanti che lo squadravano con voluttà; ovunque, quali artistici soprammobili, troneggiavano simboli fallici di ogni foggia e dimensione alternati da robusti e muscolosi fondoschiena. La musica da night contribuiva a creare, all’intorno, una clima da bordello tailandese.
Anaspasio esitò. Un’amichevole pacca sulla spalla del Cabras lo sparò in mezzo alla stanza.
Lo Gnomo Bracalone dal canto suo, non potendo, com’è risaputo, entrare nella casa dell’Uomo, in forza del settimo Ceppo del Regolamento della Foresta Rovesciata, si limitò a spiare la scena dalla toppa della serratura.
«Si accomodi!» invitò il Cabras indicando un pouf seminascosto nella velata penombra.
Togliendosi l’ingombrante giaccone di pelli di bufalo, l’ex-Ispettore restò in guêpière di pizzo nero e in calze autoreggenti. Acceso un grosso sigaro, che pareva uno stuzzicadenti in rapporto al volto, si levò pure la parrucca bionda e si sedette. Anaspasio cercò di volger l’attenzione altrove sforzandosi di non scoppiare a ridere.
«Mi perdoni se mi metto un po’ in libertà, ma qui dentro fa molto caldo: si spogli anche Lei, se vuole…»
«No, no, grazie… sto bene così…» rintuzzò il Presidente un po’ inquieto sia per l’ambiente che per l’indecifrabile ammiccamento un po’ troppo ombrettato dell’ex-Ispettore.
«Le posso offrire il numero di marzo di Playgay?» domandò cortese Cabras.
«Non si disturbi, la prego…»
«Allora, magari Le faccio vedere una rivista introvabile di Spermula oppure la serie completa di Sesso di sasso o potrebbe essere interessato ad un filmino hard danese, in versione originale: ‘Tripli canali selvaggi’, per esempio…»
«Grazie… come accettato… forse più tardi.»
«Positivo… ma faccia pure come se fosse nel suo sexy shop preferito…»
A parte alcune altre eccentricità dell’ex-Ispettore, quali laccarsi le unghie di arancione ed andare a riposare con i bigodini tra i capelli, i due, seppelliti sotto alcune spanne di terriccio i branzini, le orate e le aragoste (era piovuto persino un marling blue di otto metri di lunghezza) e mandati via a colpi di vanga stormi di pellicani provenienti dal golfo della Norvegia, trascorsero nella catapecchia del Monte, una decina di giorni tranquilli, parlando quasi esclusivamente delle loro storie, delle terribili vicissitudini che avevano travagliato le rispettive esistenze e delle beffe giocate loro dal Destino .
Anaspasio, tra una confessione e l’altra, fu, in quel periodo, rifocillato e accudito amorevolmente dall’Ispettore che, spesso, con una graziosa crestina ed il grembiule impaperettato sul davanti, si era brillantemente esibito ai fornelli.
Il Presidente non ci mise molto, così, a riprendere il florido ed aristocratico portamento.
Un pomeriggio, sul tardi, mentre si ritrovavano seduti di fronte al caminetto, galeotti gli effluvi sonori di un blues che spandeva a piene mani note sanguigne e sensuali, calò, tra loro un’atmosfera intima e surreale.
L’imperturbabile Sommo, dal pouf di comando, allora chiese:
«Perché non mi aiuta a risolvere il mistero che c’è intorno alla sparizione della pettorina, signor Cabras, la sua esperienza potrebbe rivelarsi determinante per le indagini.»
(Seguì una pausa di silenzio).
Un tarlo, che stava lavorando di mascelle nel tavolo da pranzo, smise di mangiare, mentre un ragno, approfittando del momento di calma, iniziò i preparativi per andare a dormire arrotolandosi una zanzara per lo spuntino di mezzanotte.
«Ti prego chiamami Efisio… mi farebbe piacere mi dessi del tu.»
Il Radioso tacque.
«Ho maturato ormai la mia scelta!» si sfogò l’ex-Ispettore assicurandosi che il ciuffo, appena cotonato, fosse ancora tenuto fermo dal becco d’oca «… con quello che ho combinato, non potrei più riprendere il lavoro! Il Tuo collega, il dr. Mezzapassera è una persona squisita e valida. Lui è l’unico che io conosca in grado di poterTi aiutare sul serio. Quanto a me, non mi resta che concludere la mia esistenza da queste parti tra gli orsi e i daini…» e terminò la frase accompagnandosi con un ampio gesto del braccio come per esibire gli animali testé nominati; senonché gli orsi e i daini sparsi sui monti vicini, per nulla contenti di quella decisione, brontolarono rumorosamente.
«Non bisogna mai mollare, Ispettore, prenda Me per esempio! Ho motivi più che sufficienti per farla finita seduta stante! Eppure lotterò, lotterò con tutte le Mie forze… anche a costo di rimetterMi a studiare.»
«Come dici?»
«Uhm… niente, niente… volevo dire… comunque, Cabras, lei è fortunato può, tutto sommato, trarre giovamento dalla Mia stessa esperienza e scoprire nuovi stimoli per poter ricominciare daccapo.»
«Ti prego chiamami Efisio…»
Il Sommo ritacque.
«Hai ragione, Anaspasio, hai perfettamente ragione, purtroppo io non sono Te, bensì solo una persona normale, Tu invece sei il Radioso! Il Sapiente.»
«Beh, messa in questi termini, non ha tutti i torti!»
«Eppoi… io… io sono gay.»
«E allora? Che c’è di male?»
«Dici?!?» sospirò il Biondo ringalluzzito e speranzoso.
«Ma certo! Persino IO ho dei difetti! Non Mi piacciono gli Avvocati. E allora? E’ forse motivo bastevole per rattristarsi? Bisogna sapersi accettare! Se ci riflette bene, signor Cabras, converrà con me che non c’è nulla di davvero irrimediabile a questo mondo!» sentenziò Anaspasio mostrandosi convincente, pur conscio di aver detto una mortale banalità.
«Negativo! Credo, al contrario, che sia davvero finita…» riprese l’ex-Ispettore scuotendo il capoccione «ho perso la stima dei colleghi, il calore degli amici, l’affetto della famiglia… tutti gli ultimi numeri di Blek Macigno, sì, non c’è rimedio.»
Tali parole furono pronunciate dal Carro Armato con profonda tristezza, con un tono venato di un doloroso rimpianto. Il viso largo e zeppo di spigoli, colpito dai raggi obliqui del fuoco che si alimentava con entusiasmo tra i legni profumati del caminetto (che si interrogava perché mai di quell’entusiasmo e di quell’obliquità) sembrava il ponte incendiato di una portaerei. Ma ridestatosi, con una nuova intensa espressione sotto l’unico sopracciglio cistoso che gli sottolineava la fronte, micionò:
«A meno che…»
«A meno che…???» s’incuriosì il Predestinato che, occhieggiando attraverso i vetri, era stato distratto da uno scoiattolo blu che Gli aveva fatto le boccacce.
«A meno che… Tu non desideri rimanere al mio fianco…» guaì d’un fiato Cabras buttandosi, con i suoi centocinquanta chili di muscoli, sul corpicino del Presidente:
«Baciami stupidone… tanto ho capito che Ti piaccio!»
Anaspasio ebbe appena il tempo di intravedere, con terrore, il bestione voglioso volarGli addosso, che questi già Lo stava sbaciucchiando sul naso; il pouf, assai meno resistente del Sommo, dopo un gemito sordo e pietoso, cedette di schianto, cosicché si ritrovò sommerso dal mastodontico corpo dell’ex-Ispettore che Gli si dimenava sopra in preda ad una eccitazione furiosa.
«Ana… lupacchiotto mio… è da sempre che aspetto un Uomo come Te…» sussurrava quello fremente, succhiandoGli un lobo dell’orecchio «sapessi come mi sento solo… potremmo essere felici insieme, con la Tua intelligenza ed il mio vigore… osa… osa pure… lasciaTi andare… scatena il Tuo ardore.»
«Ci deve essere un equivoco…» si lamentò garbatamente il Sommo nel tentativo sovrumano di evitare quelle labbra lussuriose aspiratutto «non si permetta, ascolti signor ex-Ispettore Scelto, ci deve essere uno sbaglio… Mi scusi… per favore… si levi di dosso… Mi sta stritolando… SI LEVIIII!!!…»
Il pavimento della casupola, per la veemenza di Cabras, oramai divorato dalla passione, si sfondò con fragore sicché i due rotolarono tra le assi spezzate dell’impiantito, affossandosi nel terreno sottostante reso molle dall’umidità.
Tutto sembrava oramai perduto per il Presidente che si vedeva sedotto e multideflorato da quell’Elefante imbizzarrito quando, prima ancora che la polvere si diradasse del tutto, attraverso un varco apertoGli nella parete di legno con pochi e sapienti colpi di Selce Aguzza manovrata dall’abile Ash , riuscì, non visto, a gattonare silenziosamente (anche se in modo assai poco decoroso, a dire il vero), fin verso il non vicino orlo della Selva Spinosa proprio mentre poteva ancora udirsi nel vento l’ululato in falsetto del Cabras:
«Ana, colombina mia… non fare questo al Tuo Efisiuccio… Ana… Ana… dove Ti sei cacciato… torna indietro… vedrai che staremo bene insieme Tu ed io… vedrai… vedrai…»
«E dire…» ansimò Anaspasio, tra Sé e Sé, mentre correva all’impazzata, nei cespugli di rovo che Gli laceravano le fiere carni «… che non è neanche il mio tipo!»
Ash per meglio proteggere la Sua fuga, svelto come una goccia di pioggia caduta dall’alto di un pino scosso dalla tempesta , alzò dietro alle loro spalle la Zip della Soglia del Tempo chiudendo così, ermeticamente, anche il profondo della Foresta.
E fu salvo.
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