Bridgetown

chiatta«Va a Bridgetown?» l’uomo sulla banchina del fiume aveva il palmo della mano sulla fronte per schermirsi dal sole basso sull’orizzonte. La sua voce era ferma ma dubbiosa. Un soprabito elegante mascherava quasi tutta la sua figura.
Il Comandante della “Celestine” stava trafficando a bordo della chiatta mettendo in ordine le sartie: stava per salpare e non alzò neppure lo sguardo.
«Ho bisogno urgentemente di andare a Bridgetown, la pago bene. Oggi c’è sciopero dei taxi e comunque in città c’è un traffico infernale a quest’ora. Ho un importante affare da concludere in centro…»
Il Comandante azionò l’argano dell’ancora che si mise in moto con un rumore di catene rugginose. Poi controllò la corrente placida del fiume come per accertarsi che fosse ancora lì. Il senso di pace che gli dava quella poderosa massa d’acqua in movimento lo meravigliava sempre.
«Mi paga bene, quanto?» buttò lì all’improvviso il Comandante all’indirizzo di quello strano individuo che si agitava nervoso sul pontile.
«500 sterline, subito, e altre 500 all’arrivo…» rispose l’altro che non si aspettava più una risposta.
«Ci deve tenere molto, allora… va bene, salga…» gli disse fissandolo finalmente negli occhi e tendendogli la mano per portarlo a bordo.
«Mi chiamo George, George Logan…» gli fece l’uomo mettendo un piede incerto sulla barca e accennando a un sorriso. Aveva indosso un completo sartoriale su misura e le scarpe erano così lucide da potersi abbronzare anche solo a guardarle. Matt G. Harper sapeva riconoscere un guru della City quando ne vedeva uno.
«Non mi interessa come si chiama» rimbrottò di rimando il Comandante sovrastando il passeggero di almeno mezzo piede. Poi si mise davanti a lui, a gambe divaricate e braccia conserte, in un eloquente atteggiamento di attesa impaziente.
«Ah già, scusi…» fece Logan mettendo mano al portafoglio e dandogli il denaro.
«Bene» fece Harper riprendendo le manovre per la partenza «si sieda su quella panca lì; ci vorranno quaranta minuti circa… non tocchi niente, per favore.»
Logan si accomodò. La panca era umida e scomoda, ma era sollevato. Dopotutto, l’acquisizione della Fish & Cooper si sarebbe fatta.
La “Celestine” si staccò docilmente dal pontile mentre la sirena emise un suono breve ma intenso che rimbalzò sugli argini; fece un’inversione di rotta di 180° gradi a dritta e poi prese a infilarsi nella corrente del fiume.
«Se le raccontassi come mi sono ridotto a chiederle un passaggio non ci crederebbe davvero» confessò Logan accendendosi un sigaro. «È stata una giornata incredibile…»
«Se dobbiamo fare conversazione il passaggio le costerà di più» fece secco il Comandante che accese alcune spie sul cruscotto davanti a lui. «E spenga subito quel sigaro: trasporto materiale infiammabile.»
Rimasero in silenzio per un quarto d’ora. Una coppia di germani reali fece in tempo a risalire il corso d’acqua per poi piegare verso la chiesetta romanica di Chesterwale. Una brezza leggera e profumata accarezzò i meleti prima di stendersi sull’acqua.
«Come mai una chiatta per il trasporto fluviale ha un pennone così alto? Cosa le serve?» ruppe dopo un po’ il silenzio Logan.
Harper, dal castello di prua, si voltò verso di lui cercando di fulminarlo con lo sguardo. E non rispose.
«Lo sa che con quel pennone così alto non ci passa dal ponte di Bridgetown, vero?»
«Ci passo sempre e non è mai stato un problema…» rispose quello, scorbutico, facendo spallucce. «E non sarebbe neppure un problema se lei scendesse subito dalla mia barca e se la facesse a nuoto.»
«Sì, ma allora addio a 500 sterline facili facili…» rispose pronto Logan che aveva capito come prenderlo.
Il Comandante grugnì.
Le prime casette unifamiliari di Bridgetown apparvero appena dietro l’ansa di Hazelwood e così anche il bel ponte che collegava l’isola al continente. Ci vollero appena cinque minuti perché la barca fosse a ridosso delle arcate in stile liberty.
Quando pensò fosse il momento giusto, Harper premette un pulsante sul cruscotto. Il pennone cominciò a ritirarsi a cannocchiale senza far alcun rumore. Si ridusse di qualche metro poi si bloccò. Premette ancora il pulsante e poi ancora e ancora, cercando, nel contempo, di rallentare la velocità della chiatta. Per un po’ il pennone riprese a rientrare poi si inceppò nuovamente. La barca, oramai a motore spento, fu catturata dalla corrente al centro del fiume dove, nei pressi dell’arcata principale, era molto forte. Il Comandante riaccese il motore facendo indietro tutta ma era troppo tardi. Logan, dal suo canto, si alzò in piedi per vedere meglio. Agitava le mani davanti a sé come se stesse affrontando un avversario sul ring. Gli scappò un’imprecazione. L’asta prima si incastrò sotto l’impalcato del ponte poi si flesse ad arco facendo impennare “Celestine” che si sollevò dal pelo dell’acqua come avesse voluto oltrepassare il ponte volando. Seguì lo schianto del pennone che si spezzò in più parti facendole sfrecciare in tutte le direzioni. La chiatta, finalmente libera da ciò che la tratteneva come un amante geloso, ripiombò pesantemente sull’acqua alzando ondate di spruzzi di diversi metri. Harper faticò a governarla ma poi le fece riprendere l’assetto ordinario.
«È andata bene, dopotutto…» sbottò tutto sudato Harper volgendosi verso poppa «non trova?».
Una porzione di pennone era fiondato là ove era seduto Logan; la panchina era stata sradicata dal ponte trascinando gran parte del parapetto nel fiume. Logan non c’era più.
Per un po’ il Comandante rimase a bocca aperta. Si portò verso la zona poppiera a scrutare il fiume melmoso. Non c’era nulla sulla sua superficie se non le venature dell’acqua che si accavallavano confuse sulla scia della chiatta.
Guardò l’orologio.
«Però sono in orario…» sospirò. E si aggiustò il berretto tornando al timone.