Il telefono senza fili è il quinto libro che leggo di Marco Malvaldi (dopo Argento vivo, Il gioco delle tre carte, La briscola in cinque, Milioni di milioni) ed è il terzo della serie BarLume.
Mi sento quindi qui di confermare, trattandosi dell’ultimo lavoro in ordine di tempo della menzionata serie, l’impressione riportata tempo fa: si sta concludendo quel processo trasformativo che avevo notato crescere via via nelle precedenti opere, secondo cui il focus narrativo è sempre meno rivolto alla costruzione di una trama (secondo i canoni tipici del romanzo giallo) e sempre più assorbito dalle vicissitudini dei quattro vecchietti del BarLume (Ampelio, Gino, Pilade e il Rimediotti), la cui sinergia corrosiva e simpatica, spiega ampiamente le ragioni del meritato successo di Malvaldi.
Gli arzillli vegliardi sono personaggi a tutto tondo, senza dubbio molto ben delineati e pieni di sostanza, capaci spesso, anzi, sempre più spesso, di rubare la scena non solo a Tiziana e alla bella commissaria Alice, ma allo stesso ‘barrista’ Massimo, che è poi colui che risolve l’enigma per la sua perspicua capacità di ‘insight’. Il dialetto toscano funziona poi a meraviglia nel renderli vivi e veri ed è giusto che l’Autore vi faccia sovente ricorso visto che sull’utilizzo del vernacolo, Camilleri e Niffoi, per citarne solo alcuni, e per altri dialetti ben più complicati, hanno sul punto fatto scuola.
Tutto ciò, replicando anche in questo libro la stessa formula, (dopo l’amplificazione della, a dir la verità, assai sbiadita trasposizione televisiva de ‘I delitti del BarLume’) finisce tuttavia per andare del tutto a scapito della trama del romanzo che rimane esile, semplice, poco originale, in alcuni momenti persino un po’ ‘tirata’, come per farla ‘tornare’ a tutti i costi, a quadrare il libro. La vera ‘trama’ sono e rimangono i vecchietti che interagiscono tra loro e con l’ambiente circostante, costituendo il vero punto trainante, la storia, a prescindere dalle storie che via via ruotano e si succedono intorno a loro e che, tutto sommato, sono irrilevanti. Come se la vicenda di turno fosse solo la scusa per vedere in azione il quartetto, a prescindere.
Pervade peraltro in questo libro anche un po’ di stanchezza, di usura per l’utilizzo di questo canovaccio che sta diventando, nel tempo, frustro e uguale a se stesso.
Sicuramente mi sento di consigliare il libro, perché è leggero e scivola via senza impegno. Se fosse un vino, potrebbe fregiarsi dell’appellativo di ‘beverino’. Ci sono colpi d’ala, momenti molto godibili, ma nel complesso è sottotono.
Su una scala da 1 a 5, per i pregi e difetti riscontrati, merita tre mucchine.
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di Marco Malvaldi
Sellerio editore Palermo
collana ‘La memoria’
2014, 208 pagine, brossura
EAN 9788838932281
finito di leggere oggi, 26 novembre 2014 in formato cartaceo
valutazione 3/5 mucchine
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