La dieta migliore

Insomma è stata dura. Per molti inanellare pranzi e cene luculliane tra la vigilia di Natale, il Natale, Santo Stefano e Capodanno è stato estenuante. Destreggiarsi tra cappelletti in brodo, cotechini, aragoste, zamponi, capitoni, panettoni e champagne è stata una prova di resistenza. È stato un lavoro di mascelle che hanno diligentemente sminuzzato, tritato, frantumato e sbriciolato. Ora che le feste sono scivolate altrove e già si avvertono nell’aria le prime avvisaglie di quaresima, si devono far i conti con i chili di troppo, la glicemia satellitare e il colesterolo troposferico. E giù di dieta. Quella dell’astronauta, quella a punti, della top model, della casalinga insoddisfatta. Ma la migliore, alla faccia degli esperti e dei tuttologi tronisti, resta una sola, quella classica. L’unica capace di rifinire e avvitare, scolpire e asciugare spendendo peraltro pochissimo: la dieta del barbone. Sì, proprio di chi si nutre di birra scadente e dei resti dei cenoni della media borghesia spendacciona, il clochard nostrano che sopravvive ai margini del consumismo incosciente, la persona cui durante queste feste ci siamo rivolti per una elemosina distratta, giusto per sentirci buoni, in linea con il buonismo del periodo, subito pronti però, a partire dal sei gennaio, a cambiar marciapiede appena se ne incontra uno (soprattutto se extracomunitario o anziano). Bisognerebbe brevettarla la loro dieta, per riconoscere loro il diritto paternità. Perché almeno una cosa a loro appartenga davvero.

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