Il reato di sostituzione di persona, ovviamente, non si realizza quando si usa un proprio nickname (che, in fondo, è un modo di sostituire al proprio nome e cognome, un nome di fantasia), bensì quando si usa il nickname di un altro per le finalità indebite già dette. Del resto non è reato neppure usare, nella vita di tutti giorni, un soprannome.
Anzi di recente la Corte di Cassazione ha dato un’interpretazione estensiva del reato di sostituzione di persona, imposta proprio dalla rivoluzione tecnologica, onde evitare pericolosi fenomeni quali molestie ed aggressioni online. Il Supremo Collegio (Cass., Sez. 5, 28 novembre 2012, n. 18826, Celotti, rv. 255086) ha incluso infatti gli pseudonimi cibernetici tra i contrassegni identitari sfruttati per attribuire “a sé o ad altri un falso nome, o un falso stato, ovvero una qualità a cui la legge attribuisce effetti giuridici”.
Il caso esaminato in Cassazione riguardava il ricorso di una donna che, per vendetta, ha sfruttato un nickname associandolo al numero di telefono di una sua ex-datrice di lavoro. Costituitasi parte lesa, la seconda donna ha denunciato la ricezione di numerosi messaggi a sfondo erotico, compresi alcuni MMS con immagini pornografiche. Il suo numero di cellulare era infatti finito a disposizione degli utenti di una chat a luci rosse.
Il nickname attribuisce, è stato scritto, una identità sicuramente virtuale, in quanto destinata a valere nello spazio telematico del web, la quale tuttavia non per questo è priva di una dimensione concreta, non potendosi mettere in dubbio che proprio attraverso di essi possono avvenire comunicazioni in rete idonee a produrre effetti reali nella sfera giuridica altrui. È dunque consentito a persona avere una doppia personalità sul web, spacciandosi per una persona totalmente diversa, ma non è lecito sfruttare questa condizione di alterità per ingannare altri utenti delle rete con i quali entra in contatto per danneggiarli e/o procurarsi un vantaggio.
Altra questione è la creazione di un account falso in tutti i casi in cui è richiesta dal sito, invece, una registrazione completa e reale dell’utente, con tanto di indirizzo di casa, numero di telefono e codici di carte di credito.
Si pensi al fatto che ci sono addirittura programmi come FakeNameGenerator con cui possibile creare una identità inesistente, con tanto di nome, cognome e indirizzo di casa (con CAP e provincia), data di nascita, numero di carta d’identità, occupazione, peso, altezza e numero di carta di credito (provvista persino di data di scadenza). Ogni dato in questo caso è assolutamente falso e generato random. Che fare? È lecito usare questi dati non veri?
In questo caso bisogna stare molto attenti. Se si usano tali dati nel sito di un ente pubblico (si pensi alla Posta, all’ACI, a una università) è sicuramente un reato (occorre poi vedere quale reato contro la fede pubblica è stato commesso); se si tratta invece del sito è di un privato non ci dovrebbero essere problemi solo se l’account serve unicamente per dare un’occhiata alle pagine del sito (e sempre se all’account le condizioni di ingresso dettate dal sito non richiedano espressamente le vostre esatte generalità per il fatto che già l’entrare in quel sito vi assicurerebbe un qualche vantaggio, anche minimo come, per esempio, la consultazione di una archivio); se, al contrario, si vorrà interagire con il sito (con una mail) o effettuare una qualsivoglia transazione, se l’account non è veritiero, si potrebbe ipotizzare, oltre al conseguente vantaggio per l’utente e all’inganno per l’amministratore, anche uno svantaggio per lo stesso (che fornirà informazioni senza avere alcuna contropartita identificativa dell’utente o confidando di averla ottenuta) integrando così la consumazione del relativo reato ex art. 494 cod. pen.
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