Sono sempre qui

universoSì, d’accordo. Essere Onnipotente è una gran cosa. Una bella sensazione non c’è niente da dire. Ma la verità è che non so mai che fare. Qui il tempo non passa mai. Anzi, il tempo proprio non esiste. E poi con ‘sta storia che il passato e il futuro si fondono in un unico presente mi diventa tutto così scontato, così prevedibile, insomma un immutabile film già visto e già vissuto.
E poi non so con chi parlare. Gli Angeli svolazzano in continuazione da ogni parte nell’Universo, infervorati come sono di dare sempre il meglio di sé, di essere efficienti e produttivi; sono così pieni di impegni che non trovano mai un momento per fare due chiacchiere. Sono agitati, iperattivi, irrequieti, lasciano piume dappertutto e quando sono interrogati rispondono a monosillabi. E poi sono di un buonismo esasperante, tanto che non è mai possibile poter sgarrare nemmeno per scherzo sicché devo sempre controllarmi quando sono con loro. Peraltro, ultimamente, li trovo pure particolarmente nervosi: sarà per il troppo lavoro o per l’orario massacrante o, piuttosto, per il fatto di non essersi mai ripresi del tutto dal disturbo post traumatico da stress del Big Bang; si sono spaventati davvero molto: mi sa che un giorno o l’altro me li trovo tutti a terra, in terapia di gruppo.
Con Lucifero non ci parlo più da un pezzo. Incompatibilità di carattere. Lui ha fatto le sue scelte e Io le mie e non mi pare il caso di tornarci su. Inoltre non si capisce mai nulla di quello che dice, con tutti quegli sbuffi di fuoco e di fumo che gli escono di continuo dalla bocca. Che poi parlare di bocca, in questo caso, mi sembra pure una parola grossa.
Con gli uomini, invece, è sempre più difficile avere un dialogo. Appena mi faccio vivo si mettono subito, come pazzi, a costruire santuari, cattedrali e statue gigantesche; e un mucchio di gente mi diventa santa dalla sera alla mattina sicché ho dovuto creare un’ala nuova in Paradiso… E poi che mai dovrei ancora dir loro? In fondo ho già detto tutto: tanto poi loro fanno quello che vogliono.
Che cosa mi è venuto in mente di creare l’Uomo non si sa. Ho passato i miei primi 15 miliardi di anni in totale beatitudine. Poi la voglia di novità mi ha spinto a questa nuova avventura che mi ha dato solo problemi. Ci ho perso pure un Figlio; che, a dirla tutta, da quando è resuscitato, non è più lo stesso: è sempre taciturno, solitario, introverso e ha una pessima cera. Comunque, ora sarei tentato davvero di lasciar cuocere gli uomini nel loro brodo che tanto, se continuano così a non ascoltarmi, ci penseranno da soli a estinguersi.
Tornando a Me, mi ricordo che una volta, giusto per ingannare l’eternità, mi sono messo a contare le stelle; che per poco non mi addormento. E dire che non so neppure immaginarmi cosa potrebbe accadere se mi mettessi davvero a dormire pur se solo per qualche attimo: anche se, presumo, tutto dovrebbe funzionare lo stesso. O forse no. Il mio futuro-presente a volte inciampa nel mio presente-passato e succede che faccio confusione tra ciò che è successo e ciò che deve ancora accadere. Per quanto, a pensarci bene, se si dovessero scontrare galassie e collassare mondi a chi dovrei renderne conto? Posso sempre ricominciare tutto d’accapo, da qualche altra parte. Un po’ di spazio e dell’altro buon materiale lo trovo sempre.
Comunque, contando le stelle, dicevo, ero appena arrivato a quattrocento trilioni e cinque che mi sono distratto e ho perso il conto. E allora mi sono domandato se valeva poi davvero la pena crearne così tante; di stelle dico; senza contare i pianeti, gli ammassi stellari, la materia oscura, le comete e i buchi neri; e soprattutto creare le stelle così tanto lontane le une dalle altre, che nessuno le potrà vedere mai.
Va bene, ora però è tardi. Basta parlare da solo.
Ci tenevo solo a sottolineare che se qualcuno volesse parlare con Me, ebbene Io ci sono.
Sono qui.
Sono sempre qui.
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Da qualche parte nell’Universo

fullmoonLo so, sono uscito di fretta e me ne sono dimenticato. Cosa devo dire? È successo anche questa notte: lo ammetto, mi sono scordato di appendere la luna. Mi sta succedendo spesso ultimamente. E dire che l’avevo vista in un angolo, bella, tonda e rossa come un’arancia matura. Ma poi mi è passato di mente. Tutta colpa della preoccupazione che ho per questo Universo, che si allunga si allunga e non mi sta più da nessuna parte. Anche se, a dirla tutta, questa mattina mi sono pure scordato di spegnere alcune stelle, sicché ce ne sono diverse che si sono fulminate. Con quel che ci vuole per accenderle.
Mi spiace particolarmente però per la luna. Cosa diranno stanotte gli innamorati, i cercatori di tartufi e i lupi mannari? Andranno a sbattere contro qualche albero o non troveranno il sentiero giusto o non si sentiranno illanguidire alla sua vista. E così avrò un mucchio di gente scontenta, depressa se non delusa, come se non ce ne fosse già abbastanza in giro.
Devo mettermi un promemoria. Che so? Un monte alla rovescia o un buco nero, che va tanto di moda quest’anno. No, ma che dico? Un buco nero proprio no. Perché poi succede come l’altra volta che mi sono cadute dentro le chiavi del paradiso e adesso non le trovo più. Non voglio sostenere con questo che chi si trova chiuso in paradiso desideri uscirne, ovviamente no; è che qualcuno ogni tanto devo pur farlo entrare. In paradiso, dico. Non posso mica parcheggiarli tutti in purgatorio. Che poi l’avevo pure momentaneamente chiuso. Sì, c’erano diverse cose che non funzionavano; in purgatorio, dico; come la botola per l’inferno, per esempio. Mi si è inceppata all’improvviso facendo rimanere incastrato quel tipo grassone capitato tempo fa da quelle parti per caso. Un tipo poco raccomandabile mi han detto all’entrata. E poi siccome non cadeva giù ha cominciato a bestemmiare usando parole che neppure io conoscevo. Sicché ho fatto proprio bene a mandarlo di sotto. Ma a parte lui, non sapevo mai per quanto tempo ci dovevo lasciare la gente in purgatorio prima di passarla altrove. E soprattutto non sapevo mai cosa farle fare. Una noia terribile. Per loro, dico.
Ritornando alla luna, vuol dire allora che stasera ci metterò un po’ più di nuvole, qua e là, così nessun si accorgerà che non c’è. Anche se, a dire il vero, sarebbe ora che la cambiassi. La luna dico. È così rovinata. Tutta polvere e crateri. A forza di stare appesa lassù mi si è rovinata tutta. Forse dovrei trovarne una più luminosa o anche solo un po’ più colorata: ora sembra talmente sbiadita da fare pena. Oppure potrei sostituirla con due più piccoline: dovrei averne un paio che mi crescono da qualche parte, dovrei cercarle. Potrei piazzarle in due posti diversi del cielo e farebbero la loro figura. Ma no, che dico? Ho già problemi con una, figuriamoci con due. E poi tutti sono già abituati a vederne una sola. A ripensarci bene è una pessima idea: che poi mi tocca metter mano a regolare di nuovo tutte le maree e non ho proprio tempo per occuparmene. Forse, in fondo in fondo, basterebbe solo una lucidatina o tappare qualche buco per farla sembrare seminuova o anche solo rigirarla, visto che, per un errore di calcolo, non si vede mai la faccia nascosta che, tutto sommato, mi sembra in buono stato.
Va bene, ho capito. Tornerò indietro a prenderla. Parlo sempre della luna. E anche questa cosa qui di parlare sempre da solo la devo proprio smettere, una volta per tutte. Ci sono dei santi laggiù che a volte riescono a sentire quel che dico, ed è imbarazzante. Sì, sì. Torno indietro. Del resto non ci metterò molto. Così la appendo al suo posto e la facciamo finita. Che pare davvero brutto rimanere senza.
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Un diverso paradiso

Padre Ercole mi aveva chiesto di aiutarlo a sgomberare uno stanzino della canonica. Erano probabilmente anni che non metteva in ordine là dentro e sulla polvere spessa e densa, equamente distesa su bauli, scatole e ripiani, si sarebbe potuto scrivere una parabola intera. Questa battuta però non gliela feci. Una cosa di cui è carente il mio buon sacerdote, è una buona dotazione di ironia e umorismo. Ci vollero un paio d’ore per venirne a capo, ma alla fine l’ebbi vinta.
“Venga, le offro qualcosa di forte!” mi disse riconoscente.
Il ‘qualcosa di forte’ di padre Ercole altro non era se non un boccale da birra con dentro mezzo dito di vermouth rosso (che io detesto, anche perché me lo serve caldo) con l’aggiunta, oltretutto, di acqua del rubinetto.
“Lasci perdere, padre, non ho sete.”
“Venga, venga che fa bene a volte lasciarsi andare.” Questa sì che mi sembrava una battuta. Ma non lo era.
Mi versò da bere lentamente come stesse preparando un magistrale Daiquiri all’ombra di una palma da cocco e fece altrettanto col suo boccale.
“Salute!”
“Salute!”
“Siamo insieme da qualche ora e ancora non mi ha fatto una delle sue domande crisistenzialistiche” mi buttò lì con una punta di ironia.
Mi venne da sorridere. Da lui un neologismo non me lo sarei mai aspettato.
“Beh, effettivamente, una domanda ce l’avrei, ma non so…”
“Su, coraggio…” mi disse posando gli occhiali da Harry Potter sul tavolo e passandosi la larga mano sul viso. Aveva assunto l’espressione del prete che, all’interno del confessionale, stava per ascoltare il peccatore.
“Senta…” principiai per raccogliere un attimo le idee “… non potrebbe essere che io, passando a miglior vita, mi ritrovi non davanti a Dio, ma magari ad Allah che mi rimprovera di non essere stato un buon musulmano?”
Padre Ercole sgranò gli occhi.
“Va bene, ho capito, allora le rovescio la domanda: cosa potrà mai dire Nostro Signore, il giorno del giudizio, che so?, a un arabo che ha sempre e solo conosciuto la religione musulmana seguendo gli insegnamenti di suo padre e del padre di suo padre, perché così per lui è sempre stato? Dio potrà forse rimproverargli di tutto, ma non certo di non essere stato un buon cristiano: non lo è, infatti, mai stato. Se poi, per le giuste credenze del musulmano, è corretto avere quattro mogli o lapidare un’adultera o passare a fil di spada chi non crede in quello che lui reputa il vero Dio (cioè Allah), cosa mai gli potrà rimproverare?”
Padre Ercole mi guardava in silenzio. Ma non sembrava stesse cercando delle risposte.
“Pensa davvero, padre, che lei sarebbe stato un prete cristiano se fosse nato a Bassora? Non ritiene che forse avrebbe finito con il perdere l’appuntamento con quel paradiso che ora crede essere l’unica credenza possibile, finendo infatti col trovare un diverso paradiso, quanto meno, pieno di vergini?”
Per un po’ padre Ercole mi guardò fisso. Poi prese il vermouth e cominciò a bere. Dalla bottiglia.