Rivelazioni

C’era una luna così luminosa e immensa che sembrava un occhio di bue acceso nella notte dal buon Dio. Tutti i cani del vicinato avevano preso a sgolarsi; alcuni facevano un verso strano, piagnucoloso, dolente, che raggelava il sangue, altri latravano a fantasmi che solo loro vedevano.
Nella campagna che galleggiava nella penombra del plenilunio si avvertivano anche altri versi indistinti, forse di animali selvatici: scendevano frettolosi giù dal vicino bosco cavalcando il vento della notte. La campana della chiesa avvertì il creato che erano le tre del mattino.
Poi un fruscio.
«Gino, mi hai spaventato…» dissi.
Il vicino aveva un’aria furtiva, leggera, come quella del cacciatore che non vuole farsi sentire dalla preda mentre ne sta seguendo le tracce. Aveva un fucile in mano. Mi vide all’ultimo momento sotto il portico.
«Ah sei tu…» mi fece lui con la voce sporca di sonno come di chi da ore non parlava con nessuno. «Ho sentito i cani abbaiare in un modo che non mi piaceva affatto e non avevo visto la tua macchina. Pensavo non ci fossi e sono venuto a vedere…»
«Ho parcheggiato la macchina dietro casa: tutto a posto, Gino. Grazie. Sei premuroso… ma entra, non stare lì al cancello…»
«Non riesci a dormire neanche te, eh?» mi fece entrando in giardino e aprendo la doppietta. «Ma cosa sta succedendo?» e si girò a 180° allargando le braccia.
«È l’eclissi Gino, l’eclissi totale di luna…»
Lui fece l’espressione come di chi non capiva visto che la luna era stampata lassù in cielo, davanti a lui.
«Posso offrirti qualcosa di caldo?» gli domandai.
«No no, grazie, sto bene così…»
Poi, pian piano la luna cominciò a essere coperta da un cerchio più scuro; prima di lato, discretamente, a mordere lo specchio d’argento come un pezzo di pane, poi a dilagare su tutta la sua superficie. Man mano che questo accadeva calava ovunque un silenzio innaturale, denso, quasi che il mondo trattenesse il respiro. Non c’era più un verso nell’aria o un suono anche solo sopito. C’era solo la sensazione di vuoto, risucchiato via altrove, una cappa scivolata sulla campagna dalle spalle di un gigante distratto. Cessò, subito dopo, anche la brezza profumata di bosco mentre le foglie dell’ulivo, che pochi minuti prima vedevo distintamente in mezzo al giardino, presero a scontornarsi nella notte sino a scomparire. Il buio era assoluto, fragile, incantato. Il gatto si era rintanato immobile sotto la panca, spalle al muro, e mi osservava con gli occhi sgranati con un’espressione interrogativa. Il freddo aveva stretto il suo pugno, tanto che mi alzai il bavero del piumino rincalzando la sciarpa intorno al collo. Ma riuscì a entrare ugualmente nell’anima.
Gino era seduto vicino a me, sugli scalini del portico. Dopo essersi meravigliato per quando accadeva sotto il suo naso, quasi non l’avesse mai visto in vita sua, guardava ora lontano, verso il fiume. Pareva stesse seguendo un film perché i suoi occhi si muovevano incessantemente; ma non parlava.
Trascorse così, in questa sospensione, una decina di minuti. Poi la luna iniziò a liberarsi con dolcezza di quanto la stava velando. Il silenzio si increspò. Prima si udì il verso di un uccello notturno, quindi il rumore di una macchina di passaggio sulla provinciale, infine un abbaio poco convinto. Gino si voltò verso di me.
«Ho visto quando e come morirò» disse lui in modo grave, alzandosi.
Non seppi cosa rispondere. La frase sembrava irreale in quel contesto.
«Scusa, ma devo proprio andare a fare alcune telefonate» mi fece ancora, come un autonoma, prendendo la strada per il cancello.
«Gino… sono appena passate le tre…»
«Lo so, ma devo telefonare lo stesso… Grazie di tutto, sei proprio un amico.»
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Da qualche parte nell’Universo

fullmoonLo so, sono uscito di fretta e me ne sono dimenticato. Cosa devo dire? È successo anche questa notte: lo ammetto, mi sono scordato di appendere la luna. Mi sta succedendo spesso ultimamente. E dire che l’avevo vista in un angolo, bella, tonda e rossa come un’arancia matura. Ma poi mi è passato di mente. Tutta colpa della preoccupazione che ho per questo Universo, che si allunga si allunga e non mi sta più da nessuna parte. Anche se, a dirla tutta, questa mattina mi sono pure scordato di spegnere alcune stelle, sicché ce ne sono diverse che si sono fulminate. Con quel che ci vuole per accenderle.
Mi spiace particolarmente però per la luna. Cosa diranno stanotte gli innamorati, i cercatori di tartufi e i lupi mannari? Andranno a sbattere contro qualche albero o non troveranno il sentiero giusto o non si sentiranno illanguidire alla sua vista. E così avrò un mucchio di gente scontenta, depressa se non delusa, come se non ce ne fosse già abbastanza in giro.
Devo mettermi un promemoria. Che so? Un monte alla rovescia o un buco nero, che va tanto di moda quest’anno. No, ma che dico? Un buco nero proprio no. Perché poi succede come l’altra volta che mi sono cadute dentro le chiavi del paradiso e adesso non le trovo più. Non voglio sostenere con questo che chi si trova chiuso in paradiso desideri uscirne, ovviamente no; è che qualcuno ogni tanto devo pur farlo entrare. In paradiso, dico. Non posso mica parcheggiarli tutti in purgatorio. Che poi l’avevo pure momentaneamente chiuso. Sì, c’erano diverse cose che non funzionavano; in purgatorio, dico; come la botola per l’inferno, per esempio. Mi si è inceppata all’improvviso facendo rimanere incastrato quel tipo grassone capitato tempo fa da quelle parti per caso. Un tipo poco raccomandabile mi han detto all’entrata. E poi siccome non cadeva giù ha cominciato a bestemmiare usando parole che neppure io conoscevo. Sicché ho fatto proprio bene a mandarlo di sotto. Ma a parte lui, non sapevo mai per quanto tempo ci dovevo lasciare la gente in purgatorio prima di passarla altrove. E soprattutto non sapevo mai cosa farle fare. Una noia terribile. Per loro, dico.
Ritornando alla luna, vuol dire allora che stasera ci metterò un po’ più di nuvole, qua e là, così nessun si accorgerà che non c’è. Anche se, a dire il vero, sarebbe ora che la cambiassi. La luna dico. È così rovinata. Tutta polvere e crateri. A forza di stare appesa lassù mi si è rovinata tutta. Forse dovrei trovarne una più luminosa o anche solo un po’ più colorata: ora sembra talmente sbiadita da fare pena. Oppure potrei sostituirla con due più piccoline: dovrei averne un paio che mi crescono da qualche parte, dovrei cercarle. Potrei piazzarle in due posti diversi del cielo e farebbero la loro figura. Ma no, che dico? Ho già problemi con una, figuriamoci con due. E poi tutti sono già abituati a vederne una sola. A ripensarci bene è una pessima idea: che poi mi tocca metter mano a regolare di nuovo tutte le maree e non ho proprio tempo per occuparmene. Forse, in fondo in fondo, basterebbe solo una lucidatina o tappare qualche buco per farla sembrare seminuova o anche solo rigirarla, visto che, per un errore di calcolo, non si vede mai la faccia nascosta che, tutto sommato, mi sembra in buono stato.
Va bene, ho capito. Tornerò indietro a prenderla. Parlo sempre della luna. E anche questa cosa qui di parlare sempre da solo la devo proprio smettere, una volta per tutte. Ci sono dei santi laggiù che a volte riescono a sentire quel che dico, ed è imbarazzante. Sì, sì. Torno indietro. Del resto non ci metterò molto. Così la appendo al suo posto e la facciamo finita. Che pare davvero brutto rimanere senza.
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attenzione
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Ho visto

Ho visto una donna, in Avenida de Graçia che, nel suo immenso negozio di cristalli e riflessi blu, ballava stretta stretta alla sua ombra affusolata;
ho visto un uomo eseguire un volo d’angelo dal cavalcavia dell’autostrada di Stampton, California, perché un camion aveva deciso di intromettersi tra la sua moto e la sua vita;
ho visto il sorriso di una bambina scendere già dalle scale del Sacré Coeur e rincorrere l’immagine di una mongolfiera sulla quale qualcuno aveva scritto: ‘Dio mio, quanto ti amo’;
ho visto le mani bianche del vecchio McCallister immergersi nelle acque impalpabili del suo glenn e dirmi che un’estate così non ci sarebbe mai più stata;
ho visto l’oceano trattenere il respiro prima della peggior burrasca che Dio avesse mai mandato sulla terra, così violenta che la luna, poi, non si fece più vedere per un anno intero.

Solo i tuoi occhi non ho più incontrato. Ma per questo temo non ci sia più rimedio.

La notte in cui la luna si tuffò

«E ora una tua storia, zio.» Phil Maverick, dall’alto dei suoi undici anni di età appena compiuti, mi guardava con l’aria di chi non avrebbe accettato un no come risposta. Aveva davanti a sé un piattino da cui fuoriusciva una enorme fetta di sacher con ancora infilzata una candelina bruciacchiata.
«Non sono tuo zio» cercai di spiegargli mentre mi facevo trascinare per la maglia sul sedile appositamente costruito da papà Maverick sul bovindo che dava sulla valle. Poi, con finta riluttanza, voltandomi attorno per cercare la concentrazione giusta, esordii: «va beh… potrei raccontarti la storia della luna che un bel giorno…»
«Che un bel giorno?»
«Che, anzi, una bella notte… cadde nel mare.»
«Cadde nel mare?»
«Sì. Era anche luna piena e  fu per questo che, quando si tuffò nella baia, fece un gran bel baccano. Tutti i pescatori del luogo ed anche dei paesi vicini, svegliati dal fracasso, subito si diedero convegno preoccupati di quanto accaduto. Vennero anche scienziati, uomini di pensiero, filosofi e poeti. Ma tutti furono d’accordo sul fatto che ci sarebbero voluti un bel po’ di soldi per tirarla su dal fondo del mare e ancor più per rimetterla in cielo. Era ormai notte fonda, quando un bambino, che poteva avere la tua età, suggerì che sarebbe bastato appena un fantastiliardo di palloncini perché la luna, non solo potesse venire a galla, ma fosse anche in grado di tornarsene al suo posto nel firmamento. Disse che l’aveva letto da qualche parte, ma nessuno volle saperne di più. Si aprirono così delle sottoscrizioni private, tra imprese commerciali, esercizi pubblici e associazioni amatoriali per raccogliere i fondi necessari. In men che non si dica l’obbiettivo fu raggiunto e innumerevoli squadre di sommozzatori erano già lì che si davano il cambio per andare ad agganciare sulla superficie della luna, la cui luce si vedeva dal fondo del mare, un numero spropositato di palloncini colorati. Stavano attaccando il fantastiliardesimo palloncino, quando la luna, come aveva detto quel bambino, cominciò a muoversi dal fondo e a risalire lentamente in superficie. Era ormai quasi tutta fuori dall’acqua, tra gli ‘ohoooo’ generali, ma anche tra gli ‘yappihuuu’ di un gruppo di appassionati sommozzatori acrobatici, quando albeggiò da dietro le colline del paese e, in pochi attimi, la luna sparì.»
«Come sarebbe a dire che la luna sparì, zio?»
«Perché quando c’è il sole, la luna non si vede. E poi non sono tuo zio.»
«Certo zio, non ci avevo pensato. E poi che è successo?»
«Si dovette aspettare che trascorresse il resto giorno fino al nuovo tramonto. E non appena gli ultimi raggi lasciarono il cielo, la gente si accorse con sgomento che la luna, nel mare, non c’era più. Molti già si stavano disperando di aver perso per sempre il loro romantico disco bianco, quando si avvidero che, in realtà, la luna era già al suo posto, dove era sempre stata: in mezzo al cielo. L’idea di quel bambino aveva funzionato.»
«Allora era andato tutto OK?» fece Phil che finalmente abbassò il dorso nella forchetta sulla fetta straripante di torta. «Tutto tornò come prima.»
«Beh, più o meno.»
«Come più o meno, zio?»
«Eh sì, perché, con un buon cannocchiale, nelle serate nitide, sulla faccia della luna si può ancora oggi vedere una scritta intermittente al neon che dice: ‘Da Vincenzino, la pizza migliore di Napoli’»

Senza far rumore

“Cosa fai qui fuori a quest’ora?” – mi chiese Amina sedendosi sui gradini di casa.
“Sto guardando la luna” – le risposi senza girarmi, ma facendole posto perché venisse accanto a me. Poi mi voltai e vidi i suoi occhioni profondi che mi interrogavano curiosi. La sua pelle color dell’ebano sembrava ancora più morbida al chiarore di quella notte.
“Cos’ha di interessante la luna ai tuoi occhi?”
“Pensavo a quante cose, attorno e dentro di noi, ci emozionino senza far rumore.
A quante sensazioni, ricordi o sentimenti ci scorrano nell’intimo senza emettere neppure un suono. Sbocciano e si trasformano, si sfilacciano e scivolano via con l’umiltà del silenzio.”
Lei mi sorrise con quella dolcezza che sa sconfiggere ogni malinconia e cucire tutti gli strappi dell’anima.
Poi appoggiò la testa al mio braccio e sentii tutto il profumo della sua vita.