Era piacevole sentire il fruscio della ramazza sul selciato. Swissssh, swissssh… Sembrava di fare una carezza al mondo. E poi la città a quell’ora del mattino aveva un’aria incantata, irreale ed era tutta sua.
Quando Greg era ancora ragazzo, suo padre gli diceva sempre di studiare perché solo così poteva riuscire nella vita. E lui così aveva fatto. Si era preso la laurea e ora stava spazzando alle sette del mattino una delle vie più trafficate dai turisti. Faceva su scontrini, bottigliette vuote di birra, cartoni sventrati della pizza, cercando di evitare i rigurgiti degli ubriachi che i piccioni cercavano già di spartirsi. Sarebbe passata la idropulitrice per quello, a lavare e a disinfettare. Magari anche i piccioni. A volte si chiedeva quanto la felicità potesse essere ancora lontana. Swissssh, swissssh…
Dietro a un cassonetto sotto un foglio di giornale sentì che c’era qualcosa di ingombrante; la ramazza non riusciva a spostarla. Greg si avvicinò. Un oggetto bruno, dall’aria apparentemente innocua, faceva appena capolino. Accidenti: era una pistola. La squadrò ben bene per decidere il da farsi. Poi si chinò e la raccolse. Era pesante, massiccia, calzava alla perfezione nella sua grossa mano. Una sensazione di potenza gli si scaricò attraverso il braccio arrivando sino al cervello. Certo, con quella avrebbe potuto far tacere il suo vicino di casa che teneva la televisione a tutto volume fino a tarda sera; avrebbe potuto far smettere i suoi colleghi di prenderlo in giro per il fatto che lui aveva studiato e loro no; avrebbe forse convinto in qualche modo Carlotta a tornare con lui. Sì, doveva portarsela via.
A casa la adagiò sullo scrittoio e vi diresse sopra il fascio dell’alogena. Doveva saperne di più. Scattò due o tre foto con il cellulare e poi fece una ricerca su internet per immagini. Ed eccola lì: era una Glock 30, cal. 45, caricatore bifilare amovibile da 10 colpi, rigatura interna poligonale ottagonale. Chissà che voleva dire.
Cercò ulteriori informazioni in chat, in siti specializzati, scaricando anche il libretto delle istruzioni. Capì come funzionava la sicura, come si sganciava il caricatore, come si caricava l’arma. E quando gli sembrò di aver capito tutto e di poterla maneggiare con disinvoltura, la penombra della casa si accese di una fiammata improvvisa con un boato assordante. La pistola, chissà perché, aveva appena esploso un proiettile bucando la tramezza accanto e conficcandosi nel retrostante muro perimetrale, non prima di aver spaccato in due l’attaccapanni. Greg si spaventò a morte. Un turbinio di pensieri lo assalì. E se il vicino avesse sentito? Poteva chiamare la polizia. Avrebbero trovato il foro del proiettile e la pistola. Si affacciò in strada. Lo stallo riservato alla macchina del vicino era vuoto. Forse era fuori.
Se ne stette per un po’ con gli occhi chiusi. Sentì piano piano che il cuore si calmava.
Passata la paura, comprese che la pistola lo stava attirando come un magnete.
L’indomani, poco prima di uscire, decise di portarla con sé; la infilò nella cinta dei pantaloni, dietro la schiena.
Lavorò con grande energia. Swissssh, swissssh. Si sentiva diverso, più importante, autorevole. Anche salutando i suoi colleghi quella mattina aveva un altro piglio, più deciso, fermo. E loro sembravano averlo notato salutandolo con maggior rispetto. La sua vita gli sembrava ora avere un senso.
Cominciò anche a pensare che grazie a quell’arma avrebbe potuto uscire finalmente dall’anonimato. Essere qualcuno. Poteva salvare una persona in difficoltà, fermare qualche malintenzionato, riparare un’ingiustizia.
Al supermercato, mentre spingeva il carrello semivuoto, pensò invece che avrebbe potuto anche mettersi a sparare all’impazzata per passare agli onori della cronaca diventando famoso. “Greg, il Terribile”, “Greg, l’Implacabile”. Ci sarebbe stata la sua foto su tutti i giornali, i social avrebbero parlato di lui con stupita ammirazione e lui avrebbe ottenuto migliaia e migliaia di follower. Altro che “Greg lo Sputasentenze” o “Greg lo Stramboide”. Glielo avrebbe fatto vedere lui al mondo chi era in realtà.
E svoltando l’angolo del banco dei latticini ecco che si ritrovò nello spazio più ampio del super. Tra la gente che si assiepava davanti alla rosticceria, al macellaio e alla pescheria, ce n’era davvero molta. Avrebbe potuto per esempio sparare a quel vecchiaccio con l’aria torva che gli stava passando davanti e poi a quel ragazzo che tanto assomigliava a Gegè che lo prendeva sempre in giro per il taglio dei capelli e a quella splendida ragazza che non sarebbe mai stata la sua fidanzata.
Infilò la mano sotto la casacca e impugnò la “sua” Glock, ma non fece in tempo a estrarla.
«Scusa, Signore, tu che hai la faccia buffa… mi aiuti a trovare la mia mamma?» disse all’improvviso una bambina che, arrivatagli di lato, gli stava tirando un lembo del pantalone.
«Eh?» fece Greg risvegliandosi da quel film e guardando in basso.
«Non trovo più la mia mamma… e sarà preoccupata che non mi vede… sai come sono le mamme…»
Greg la guardò intensamente. Era una bambina dolce, bionda, con le treccine, gli occhi chiari e un sorriso che avrebbe potuto far sciogliere le Dolomiti. Passò un tempo indefinibile. Poi l’uomo insaccò meglio la pistola nella cintura e la lasciò lì. Allungò la sua mano verso la bambina.
«Certo, vieni con me che andiamo all’Ufficio Informazioni; non ti preoccupare, la troveremo subito la tua mamma… Ah, a proposito, io mi chiamo Greg e tu?»
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Un netturbino particolare
Aveva bussato un paio di volte. Il Capo Dipartimento stava evidentemente facendo finta di non averlo sentito. Quando al terzo tentativo le sue nocche si limitarono a sfiorare il vetro, si udì un imperioso ‘avanti!’ che non prometteva nulla di buono.
«Che c’è Malzetti?» gli domandò il Dirigente appena lo vide: il cognome fu pronunciato quasi fosse stato un insulto.
«Mi perdoni dottore, ma è per Canepari…»
«Ancora? Quante volte glielo devo dire? Canepari è il nipote dell’onorevole. Lo lasci in pace.»
«Sì, certo, lo so di chi è il nipote,» gorgogliò Malzetti rimasto in piedi a tormentare con la mano il bordo già stazzonato della giacca. «Tuttavia il problema è che, mentre svolge la sua mansione di operatore ecologico…»
«Continui, Malzetti, continui, non mi faccia perdere tempo!»
«Sì, mi scusi… è che il Canepari, mentre svolge la sua mansione… ecco… declama ad alta voce la Bibbia.»
«La Bibbia?» ripeté incredulo l’altro, lasciando a mezz’aria la mano che impugnava la preziosa stilografica.
«Sì, dottore, precisamente. Antico e Nuovo Testamento.»
«Ah!» si limitò a dire. Poi, riprendendosi: «almeno spazza?»
«Certo, certo, se è per quello il Canepari spazza, eccome se spazza; anzi, a dirla tutta, è molto bravo. Nella sua zona di competenza, non c’è più una cartina per terra.»
«Vede Malzetti? Di cosa si preoccupa, allora? In fondo fa solo del folklore, i turisti ne andranno matti… Si ricordi, Malzetti:» e qui l’intonazione si fece di nuovo offensiva. «È stato il Canepari che ha scelto di voler fare il netturbino. La sua ‘più viva aspirazione’, ha tenuto lui stesso a precisare. Non ce l’abbiamo messo noi a fare quel che fa! Se fa bene il suo lavoro, oltretutto, non ci possiamo fare nulla. NULLA! Ha capito?»
«Ha ragione dottore, come sempre del resto» precisò il capo servizio con atteggiamento genuflesso. «La questione, ad essere precisi, è però che quando declama, per calarsi meglio nella parte, indossa anche il relativo costume. Voglio dire che quando si è messo a parlare di Mosè si è presentato con barba, tunica e tavole dei dieci comandamenti al seguito e quando ha narrato dell’Annunciazione si è vestito da arcangelo Gabriele con tanto di aureola e ali da serafino…»
«E allora?» chiese seccato il capo«È che ora sta affrontando la Genesi… e si è vestito da Adamo…»
Radiolina
Radiolina l’hanno soprannominato così perché non si stacca mai, appunto, dalla sua radiolina, che si tiene appiccicata all’orecchio qualunque cosa faccia o succeda. Ascolta Radio Maria, senza perdersi nessuna delle quotidiane conversazione ecumeniche, dei sermoni monolitici e delle preghiere corali.
Quando spazza le strade di Lughi, dovendo avere entrambe le mani libere per la ramazza, si incastra l’apparecchietto palmare tra il mento e la spalla sicché si muove come se avesse una gamba di legno o una scarpa con un tacco più altro dell’altra. Non c’è difficoltà che lo fermi: non molla la radio neppure quando va a gabinetto o quando sta con la sua fidanzata, Francesca, che, dicono, lo ami proprio per questo. Stanno ore e ore, infatti, ad ascoltare insieme quella emittente.
Una volta gli hanno detto che, se d0vesse capitare, non si dimenticheranno di mettere la radiolina nella sua tomba. Lui, serio, ha risposto di ricordarsi però di alzare molto il volume, così ovunque lui si troverà, potrà sentirla.