Il Mostro dietro l’armadio

 

Sofia era nel suo lettino, ma non c’era verso che si addormentasse: la paura del buio era sempre stata molto forte.
«C’è un Mostro nella mia cameretta» disse quasi sospirando al padre mentre se ne stava sulla soglia del salotto.
«Ci abbiamo appena guardato ieri sera» le rispose lui senza distogliere lo sguardo dalla televisione.
«Ma questa volta c’è davvero, vieni, ti scongiuro…»
Il babbo sbuffò senza farsi notare e seguì la piccola. Cominciò a ispezionare con finta solerzia dentro all’armadio, dietro la porta, sotto il tappeto.
«È sotto il letto ti dico…» insisteva la bambina.
Il padre la squadrò di sbieco, poi, osservando l’espressione imbronciata della figlia, gli scappò da ridere.
«Va bene» fece accucciandosi a terra e alzando le coperte «vediamo di che mostro si tratta.»
E due occhi gialli lo fissarono severi nel buio. Un ‘mieow’ stridulo sottolineò la fuga del gatto disturbato da quella incursione.
«Era solo il gatto, tesoro. Non ci sono mostri, te lo assicuro. E adesso vai a letto.»
Sofia era poco convinta, ma si arrese all’evidenza. Scivolò sotto le coperte e chiuse gli occhi.
«Hai finito di darmi la caccia?» sentì scandire nel buio da una voce cavernosa.
«Chi sei?» domandò la bambina schiacciandosi sul cuscino e sbarrando gli occhi.
«Come chi sono? Sono il Mostro, cui dai tanto il tormento.»
«Ma se papà ha guardato dappertutto! Dov’eri?»
«Ha controllato anche dietro all’armadio?»
La bambina si diede uno schiaffetto sulla fronte. Lo spiraglio dietro all’armadio se l’era proprio dimenticato.
«Mi son dovuto nascondere lì» spiegò il Mostro spazientito «dopo che ieri mi hai fatto scappare da sotto il letto.»
«Allora cosa vuoi?» l’affrontò decisa Sofia.
«Essere lasciato in pace.»
«Non posso, tu mi fai paura e poi, quando non ci sono, giochi con le mie bambole e ti metti i miei vestiti.»
«Qualcosa devo pur fare, sennò mi annoio.»
«Ma tu non ci devi stare in questa stanza, è la mia.»
«Neanche per sogno. Ti sbagli, è la mia io abitavo qui prima che tu venissi al mondo. Io ho migliaia di anni» ribatté il Mostro alterandosi. «E poi la camera di una bambina di otto anni che si rispetti deve avere un suo Mostro.»
«Non è vero! E tu poi che Mostro saresti?»
«Sono un Mostro Mangiaculetti.» La bambina cercò di deglutire senza riuscirci. «Pertanto…» ammonì la voce «se non vuoi andare a scuola senza culetto, sappiti regolare!»
Sofia dormì poco e male quella notte e l’indomani la madre, vedendola preoccupata, le chiese se non si sentisse bene. Dopo qualche insistenza la bambina le spiegò del Mostro e cosa le avesse detto.
«Guarda che è facile liberarsene» le disse la madre sorridendo. «Basta non crederci e lui scompare.»
«La fai facile tu, mamma. Se esiste davvero come faccio a credere che non esiste?»
«È presto detto:» fece la mamma accarezzandola «tu prova a domandargli come nascono i mostri, vedrai che lui non saprà risponderti e capirai in questo modo che è solo frutto della tua fantasia.»
La bambina era di nuovo poco convinta, ma voleva ugualmente fare un tentativo. Così a sera Sofia, coricandosi nel suo lettino, una volta spenta la luce, sentì il Mostro tuonare:
«Ho saputo che hai fatto la spia! Dovrei mangiarti subito il culetto. Te lo meriti proprio.»
«E no, tu non puoi farlo!» incalzò subito la bambina.
«Oh bella! E perché?»
«Perché non esisti.»
«Sei impazzita? E allora con chi stai parlando?»
«Con la mia fantasia. Se non è così e tu sei vero, prova allora a rispondere a questa domanda: «Come nascono i Mostri?»
«Ma che stupidaggine è questa?» fece quello seccato.
«Non sai rispondere!»
«Certo che so rispondere. Vediamo… dunque, dunque… come nascono i Mostri, eh?»
«Visto che non lo sai?»
«Ci sto pensando…» sbottò il Mostro in difficoltà. «Non mi mettere fretta.»
«Non lo sai… non lo sai…» cantilenò la bambina. «Aveva ragione la mamma.»
«Ho trovato! Ho trovato!» gridò di contentezza lui. «È semplice! I Mostri nascono come i bambini.»
Sofia rimase un po’ interdetta. Non se l’aspettava quella risposta. Quindi chiese:
«E i bambini, allora, come nascono?»
Il Mostro a quel punto tacque e non si fece più sentire. Sofia si addormentò felice. Era finalmente libera dalle sue paure. Poi verso le tre del mattino si svegliò di soprassalto. Scese dal letto e, non avendo più paura del dubbio, si diresse, senza accendere la luce, nella camera da letto dei suoi.
«Mamma, mamma…»
«Cosa c’è tesoro?» mormorò nel dormiveglia la donna. «C’è ancora quel mostro che ti dà fastidio?»
«No, mamma, il Mostro se ne è andato per sempre. Però senti… volevo sapere… ma i bambini come nascono?»

Davanti a un tè alla mimosa

«Guarda che è gente strana» mi avvertì padre Ercole consegnandomi un cesto di vimini con alcune vettovaglie. La sua perpetua era ammalata e doveva toccare a me, secondo lui, portare i ‘generi di conforto’ ai coniugi Beomonte, su al Molin di Lughi, vicino a Collefili. Protestai, ma finii per accontentarlo.
Quando suonai il campanello, passò un po’ di tempo prima che qualcuno venisse ad aprire, tanto che credevo non ci fosse nessuno. La signora, molto anziana, fu cordiale nel farmi accomodare e mi tolse subito dall’imbarazzo di trovarmi in quella veste così poco usuale. In pochi minuti mi ritrovai in uno stanzone seduto ad un tavolaccio a sorbire del tè alla mimosa. Aveva voglia di parlare, la signora, e me lo dimostrò subito attaccando un discorso fitto fitto. Ogni tanto si bloccava per guardarmi con i suoi grandi occhi azzurri, giusto per accertarsi se la stavo ad ascoltare.
«Ma cos’è questo rumore?» chiesi ad un certo punto io.
«Non si preoccupi, è mio marito» tagliò corto lei senza deviare dal suo fiume di parole. Continuai a bere mentre raccontava che ci era nata in quella casa e che il mobilio in quercia lo aveva costruito il nonno con le sue mani.
«Mi sembra però che il rumore provenga dall’armadio, signora» feci io interrompendola.
«Sì, sì, giovanotto, gliel’ho appena detto. È mio marito. Vive lì dentro.»
«Nell’armadio?»
«Sì, è convinto che se mettesse un piede a terra, questa si aprirebbe per farlo sprofondare all’inferno.»
Rimasi senza parole.
«Mio marito non è mai stato tanto a posto con la testa, sa? fin da giovane. Poi, un giorno ha visto alla televisione un film che lo ha impressionato a tal punto che…»
La mia faccia doveva essere di cera perché la donna mi chiese se volevo bere dell’acquavite. Poi continuò:
«Lo so cosa mi vuol chiedere giovanotto… come fa ad andare in bagno. Ebbene, quando vuole, lui mi bussa e io vengo con la carriola e ce lo porto. Solo che adesso sono diventata vecchia e faccio sempre più fatica.»
«Non farebbe prima a convincerlo a uscire di lì? Farlo ragionare?»
«No… » mi rispose versandomi dell’altro tè «in fondo è poca cosa… e poi io… ho il mio di armadio.»