I pastori, di ritorno dalla Malga Granda, erano stati chiari: dalla tomba di san Properzio provenivano forti luci con scoppi e fiamme. Un gruppo di contadini coraggiosi si erano spinti, fin lassù, armati di forche e zappe, risoluti a capire cosa stesse minacciando il loro patrono. Ma erano ridiscesi in gran fretta, terrorizzati, per quello che pensavano di aver visto o temevano che ci fosse stato. ‘Ci ha fatto tana il Diavolo! Ci ha fatto tana il Diavolo’ andavano ripetendo per le vie del paese, cosicché una grande inquietudine serpeggiò in quei giorni nelle case. Il Priore decise al fine di interpellare il Signore di Collefili: ser Giangualberto degli Espinoza che accondiscese volentieri all’alto incarico di liberare il contado dalla presenza del Maligno.
«Ti servirà a poco quest’armatura e questa spada, o mio Signore, contro cotanto nemico» lo ammonì il curato accostandosi al cavaliere pronto per partire.
«Non ascoltare questo menagramo nerovestito» rassicurò il Priore scostando il prete. «La tua corazza è benedetta e nulla avrai dai temere.»
Ser Giangualberto, che nulla aveva da temere, s’inerpicò allora fiducioso per la Malga Granda fino a quando non arrivò in vista del sepolcro del santo miracoloso. Vi trovò un giovane avvolto in una luce accecante.
«Chi sei?» fece tonitruante il cavaliere sguainando la spada.
«L’Arcangelo Gabriele» rispose quello sorridente. «Ho saputo che accadevano fatti strani attorno a queste venerabile spoglie e sono venuto a controllare. E feci bene perché su questa lapide è impressa l’orma, ancora calda, dello zoccolo del Maligno. Voleva con evidenza distruggere la tomba di Properzio e vanificare in questo modo la protezione divina sulla Valle.»
Ser Giangualberto si sentì sollevato. Da qualche tempo era stanco di tutte quelle tenzoni in cui finiva per essere, suo malgrado, coinvolto.
«Dividi con me questo pane» lo invitò l’Angelo.
Il nobile rinfoderò la spada e si cavò l’elmo: ‘è davvero bellissima questa creatura celestiale’, pensò mentre si sedeva, non senza trepidazione,‘dalla sua figura promanano serenità e armonia’. Raccolse dalle sue dita il pane e lo portò con trasporto alla bocca come fosse un’ostia e quella una comunione.
«Sei stanco, mio nobile amico» commentò l’Angelo scrutandogli il volto.
«Sapessi com’è faticoso essere un cavaliere senza macchia e senza paura!»
«È faticoso anche fare l’Arcangelo Gabriele, se è per questo.»
Il cavaliere sorrise, l’Angelo pure.
«Siamo uguali, dunque, io e te» mormorò il nobile.
Poi d’improvviso, la luce accecante si spense e il cielo si rabbuiò.
«Non credo» rispose il Maligno e gli divorò l’anima.
Sulla tomba di San Properzio
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