A lume di candela

lume - candela - fumoLo avevano preannunciato. Un cartello giallo era apparso già da qualche giorno nell’androne:

Per lavori all’interno 3b l’erogazione della energia elettrica sarà sospesa dalle ore 17,00 di oggi 19 dicembre

Così, a pochi minuti dall’ora indicata, ho tirato fuori una vecchia candela. Non che mi servisse granché visto che da un po’ di tempo a questa parte me ne sto seduto immobile a fissare la tv spenta, inseguendo pensieri senza capo né coda. Ma la candela l’ho accesa lo stesso. Ho scoccato la scintilla con l’accendino e la fiamma è esplosa all’improvviso nella penombra lanciandosi nel vuoto per potersi avvinghiare allo stoppino quasi fosse un’amante abbandonata. E una luce color del sole, senza fumo e infingimenti, si è allungata elegante come avesse trovato finalmente, dopo tanto peregrinare, il suo rifugio ottimale. Ha danzato per un po’ prendendo forza dalla propria bellezza, mandando bagliori di bianco e di arancio, quasi una sposa all’altare; poi ha percepito nella stanza il mio stesso respiro cercando ora di evitarlo ora di combatterlo per poi arrendersi alla mia presenza ed entrarmi attraverso gli occhi e bruciarmi dentro per quei vecchi ricordi mai sopiti.
Ed era strano vedere la mia solita stanza ondeggiare nel teatrino di un diverso gioco d’ombre, tra quattro mura diventate in un attimo misteriose e piene di oggetti che non riconoscevo più. E l’incertezza del mondo attorno a me ben presto ha riassorbito tutti i suoni possibili divorandoli uno dopo l’altro in un sortilegio perfetto.
E così nel mio torpore ho finito per addormentarmi riaprendo gli occhi solo ore più tardi quando la candela era ormai del tutto consumata. La corrente doveva essere tornata, pensai, ma sono rimasto comunque lì, immobile come una pianta in attesa della primavera, perché in verità non mi importava più nulla né della luce, né del buio.
Ma di lì a poco la fiamma si è stropicciata nell’aria cominciando a fremere e perdendo dietro di sé i suoi colori più caldi. Si era assottigliata alla ricerca di nuovo ossigeno mentre le forze si facevano di fumo. Si era fatta inquieta, scontrosa, sensibile. Pareva chiedermi perché mai non facessi nulla per lei e perché non uscissi dalla mia apatia. Le ombre della stanza, per contagio, si sono agitate in modo scomposto diventando ancora più inquietanti e vulnerabili; gli oggetti sembravano ora scambiarsi continuamente di posto temendo il peggio; aleggiava un sordo brusio come solo le tenebre malsane sanno emettere nella mia mente vuota.
Poi la luce della candela ha sentito sotto di sé l’umidore della cera sciolta. L’abisso della fine, il traguardo dell’ultimo bagliore.
Mi è parsa per un attimo soffocare nel suo stesso liquido che l’aveva fatta nascere poi si è ripresa poi ha vacillato di nuovo per riacquistare vigore cercando di negoziare con l’oscurità gli ultimi momenti; pregava, supplicava, si raccomandava, tanto da poterne immaginare lo sfrigolio disperato.
Poi si è spenta di colpo proprio quando mi ero finalmente convinto potesse resistere ancora; e un filo di fumo grigio si è levato dal lucignolo esausto a immagine di morte.
E il buio si è presa la stanza, senza pietà. Come se ci fosse sempre stato.