Il ragazzo era molto alto, tanto che il cespuglio di riccioli biondi che aveva sulla testa, dall’aria indomabile, stava spolverando il soffitto della carrozza del treno.
«Buonciorno, sono tetesco da Potsdam, Branteburco..»
Il capotreno guardò il ragazzo con sufficienza: non vedeva l’ora di smontare e tornarsene a casa.
«Ho trovato qvesto…» disse il tedesco con aria trionfante alzando uno zaino gonfio con tanto di sacco a pelo arrotolato che debordava dagli spallacci.
«Mi spiace, ma ora che lei lo ha raccolto, né è giuridicamente responsabile» sentenziò il ferroviere proseguendo il controllo della carrozza oramai vuota.
«Ciuridichewas?» fece il ragazzo sbarrando gli occhi chiari in una espressione esageratamente stupita.
«Lei doveva lasciare lo zaino dov’era» fece il capotreno voltandosi di fretta pur continuando ad allontanarsi. «Non posso ritirare l’oggetto. Non saprei cosa farne. Ora che lei l’ha preso ne è anche il suo custode… e ci deve pensare lei.»
«Ma racazza italiana che afefa zaino scesa due fermate fa. Senza zaino. No possibile qvesto. Io faccio solo favore a non abbandonare dov’era.»
«Lo capisco, provi però all’Ufficio Oggetti smarriti della Stazione…»
«Ma zaino non perso in Stazione, perso qui, in treno, e lei responsabile treno…»
«Io sono solo il “capotreno”; il mio servizio peraltro è appena finito proprio con l’arrivo in questa Stazione e sono anche in ritardo. Lo zaino lo ha lei e lei ne è…»
«Ciuridikamente responsapile…» gli fece eco il tedesco.
«Ecco…» concluse il ferroviere sparendo nell’altra carrozza.
Il ragazzo scese in silenzio dal treno con lo zaino ingombrante; aveva ancora mezz’ora prima che il suo bus partisse per l’ulteriore destinazione. Decise di andare alla ricerca dell’Ufficio Oggetti Smarriti.
Girò in lungo e in largo il grande terminale per poi rivolgersi a un uomo che indossava la maglietta con su scritto «STAFF».
«Buonciorno, sono tetesco da Potsdam, Branteburco…»
Anche se il giovane si accorse subito che non era riuscito a richiamare l’attenzione di quell’uomo, che continuava a fare zapping sul cellulare come se non avesse sentito, non si lasciò scoraggiare e iniziò a spiegare, mostrando lo zaino abbandonato come prova tangibile del suo problema. Alla fine, l’uomo dello staff lo squadrò appena e quindi gli mormorò:
«L’Ufficio Oggetti Smarriti è chiuso da cinque anni, per mancanza di fondi. Provi al Posto di Polizia.»
Il ragazzo riprese la sua ricerca senza perdere il suo entusiasmo, anche se ci mise un bel po’ per trovare la Polizia.
«Buonciorno, sono tetesco da Potsdam, Branteburco…» fece presentandosi.
Il piantone, grosso come un furgoncino dei gelati con le porte lasciate aperte, gli sbarrò il passo quasi volesse lavorarlo di manganello. Poi lo fece bonariamente parlare per rivelargli infine che avrebbe dovuto presentare regolare denuncia per poter lasciare lo zaino lì da loro. Il tedesco obiettò che doveva proseguire il viaggio e che non avrebbe avuto il tempo per fare una denuncia e poi per cosa? Per un oggetto che, oltretutto, non era neppure suo?
«Mi dispiace» gli fece il furgoncino extralarge, dandogli ormai le spalle avendo accertata la totale innocuità dell’interlocutore. «Ora che lei lo ha preso, né è anche giuridicamente responsabile.»
Quando uscì dal Posto di Polizia al ragazzo sembrò di scorgere nella calca di persone che sciamava da un treno ad alta velocità la ragazza che aveva abbandonato lo zaino. La seguì per un po’, quindi si mise persino a correre per arrivare alla fine a fermarla. Ma no, non era lei. ‘Ach! Stessa faccia da matta‘, pensò ‘ma non è lei‘.
Oramai si era fatto tardi. A quel punto il tedesco si portò sul piazzale antistante la Stazione. Di lì sarebbe partito il suo autobus. Lo individuò, tra i tanti, e vi salì posando con disinvoltura lo zaino della ragazza sul sedile dell’autista per poi sistemarsi negli ultimi posti, in coda.
Trascorsero alcuni minuti. Salì diversa gente e da ultimo l’autista che trovò lo zaino al suo posto di guida.
«Di chi è questo zaino?» chiese seccato, nell’accento aspro del posto, mostrandolo ai presenti come fosse stato il mandrillo Rafiki con Simba nel film “Il Re Leone”.
Nessun rispose.
Poi dal fondo dell’autobus si sentì dire:
«Ora tu hai lui e sei ciuridikamente responsapile.»
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Vita da piccione
Il ragazzo biondo con la faccia da bambino continuava a guardarsi attorno martoriando uno spallaccio dello zaino.
«Rilassati, sembri un’anima in pena» fece il ragazzo bruno seduto accanto a lui sulla panchina. Scimmiottava James Dean in ‘Gioventù bruciata’ anche se quel film non lo aveva mai visto; ma sembrava proprio lui, soprattutto quando, aggrottando la fronte, si accese la sigaretta. «È la prima volta che salti scuola?»
«No, no» rispose l’altro mentendo. «E che non mi sento bene, forse dovrei andarmene a casa.»
«Bravo fesso, così i tuoi se la danno subito.»
Il ragazzo con la faccia da bambino sapeva che l’amico aveva ragione. Si mise le mani in tasca, almeno lì, forse, sarebbero state ferme. Stettero a guardare l’andirivieni della gente attirata dal vicino mercato. Un vigile urbano passò loro accanto guardandoli fissi. Il tempo trascorreva lento, troppo lento per starsene seduti lì.
«Guarda quello lì» se ne uscì ad un certo punto il ragazzo biondo.
«E allora? È un barbone.»
«Certo che lo è. Però sta facendo a metà del suo panino con i piccioni. Non è un fesso?»
Il ragazzo che fumava accennò ad una smorfia, poi disse:
«Ma lo sai che sei strano forte?»
«Che ho detto? Quel barbone mangerà sì e no solo quel panino e lui lo divide con quegli uccelli, non so… mi sembra una cosa bella…»
«Quando fai così non ti sopporto» sbottò l’altro alzandosi.
«Ma dove vai?»
«Andiamo, sono stufo di star qui.»
I due ragazzi si allontanarono ciondolandolo. Il barbone invece era sempre lì e ad ogni morso al panino ne spezzava un po’ da tirare ai piccioni che formavano ormai una macchia confusa e indistinta sulle sue scarpe. Poi si guardò in giro furtivo e quindi, con un gesto rapido, né agguantò uno per il collo facendolo subito sparire in una borsa nera nascosta tra le gambe. Tutti i piccioni volarono all’unisono in uno spettacolare unico frullo. L’uomo riprese a mangiare il panino, con più calma, adagiandosi ben bene sullo schienale della panchina e socchiudendo gli occhi per il piacere.
Buona estate
A volte si smarrisce il giusto sentiero senza un perché; a volte invece lo si imbocca per caso e non si è in grado di riconoscerlo. Altre volte ancora lo si sceglie tra mille, con attenzione e fiducia, ma si finisce poi per percorrerlo da soli. Lo zaino è comunque pronto, da qualche giorno. Nei pensieri e nel cuore da molto di più. Lo zaino deve essere pronto perché il sentiero reclama di essere percorso. Chiama e richiama in continuazione. Nei giorni bui, in quelli tristi, in quelli disperati. Quando si vorrebbe esistere altrove e con un diverso sorriso sulle labbra. Con diverse emozioni che agitano la mente.
C’è solo da rinnovare l’illusione che il cammino non si debba interrompere mai e poi si partirà. Non importa dove perché il vento lo sa e saprà dirmelo con i suoi profumi sussurrando al mio istinto, all’ultimo momento.
Un’estate piena di sole e di pacate meraviglie a tutti gli sbriciolati di passaggio.
Che la voglia di realizzare se stessi non si addormenti mai.
Che il vostro cuore vi consigli sempre per il meglio. La mente seguirà docilmente, prima o poi.
Ci rivediamo con i colori di settembre. Quando verranno.