L’attraversamento

Si erano appena seduti in macchina, pronti per partire. Avevano aspettato invano che la pioggia si attenuasse. Adesso però stava piovendo anche più forte di prima, mentre il vento provava a piegare le cime dei cipressi come per accertarsi d’essere capace di schiantarli.
«Dobbiamo andare, si sta facendo tardi» le disse il marito come fosse la conclusione di un lungo discorso. Lei, preoccupata, assentì. Presero a percorrere lentamente la strada del ritorno, a tratti già allagata, sotto le luci incerte dei lampioni della campagna. Il tergicristallo toglieva in modo disordinato la pioggia dal parabrezza con un rumore gommoso e ipnotico.
«Vai piano» gli raccomandò lei senza alcuna espressione.
«Più piano di così, mi fermo» rispose lui sgarbato.
Le solite parole che si dicevano in frangenti simili, parole vuote per vincere l’oscurità inquietante. Per un po’ non si dissero più nulla. I fossi, a lato della carreggiata, straripavano d’acqua tanto che raganelle e topolini cercavano di salvarsi attraversando la strada.
«Te li stai facendo su tutti» disse lei con aria di rimprovero. «Non cerchi neppure di evitarle quelle povere bestiole…»
«Non è colpa mia, cara, li vedo all’ultimo momento. Piove troppo forte.»
Non era vero che non li vedesse, perché stava ridendo sommessamente cercando di non farsi notare da lei. Sì, non gliene importava proprio nulla. Peggio per loro se finivano sotto il suo SUV. E poi non gli dava neppure fastidio, era come passar sopra a dei fogli di carta.
«Quella è una rana!» fece appena in tempo ad avvertirlo la moglie. Un attimo dopo l’uomo se la sentì sotto la ruota. «Stai attento! E possibile che devi fare questa strage?» gli disse adesso in modo sprezzante facendolo innervosire. La donna cominciò a parlare a mezza bocca, tra sé e sé, segno di una montante rabbia. «Cos’è quello?!?» urlò all’improvviso lei prendendolo per il braccio. Il marito si spaventò e finì per frenare. Effettivamente c’era qualcosa in mezzo alla strada, sembrava un fagotto scuro, ma si muoveva. «È un rospo!» urlò ancora lei. «Fermati fermati, ti prego, non tirarlo sotto.» Il marito rallentò fino a fermarsi. Ora lo vedeva bene: era un grosso rospo rossiccio dalla pancia grigia. Era immobile, la zappetta aperta sulla striscia di mezzeria, pareva aspettare. Dalla bocca fuoriuscivano piccole bolle trasparenti. L’uomo stava per dire alla moglie che non poteva star attento a tutti i rospi della valle quando dal fogliame sulla destra uscì un altro rospo saltellante in rapidi balzi e quindi, al seguito, tre piccoli che arrancavano. La pioggia ora era leggerissima e persino il vento aveva smesso di soffiare. La scena sotto le luci del SUV era irreale, quasi finta, buona per qualche documentario ecologista. Poi gli arbusti sulla destra tremarono ancora. La donna guardò il marito come per dirgli “hai visto com’è bella la natura?” quando dai cespugli fuoriuscì il muso massiccio di un coccodrillo; si slanciò in avanti con il corpo afferrando con la bocca i rospi davanti a sé facendone un solo boccone. Poi lentamente iniziò ad attraversare la carreggiata caracollando ad ogni passo. Giunto all’altezza della ruota anteriore di sinistra della macchina l’azzannò con violenza come fosse una preda pericolosa. Lo pneumatico si afflosciò all’istante facendo inclinare il SUV da quel lato. Per lo spavento l’uomo lasciò andare la frizione: il motore fece un salto e si spense. Il coccodrillo subito si alzò minaccioso sulle zampe anteriori guardando l’uomo negli occhi; sbuffò con forza più volte nell’aria silenziosa e fredda della notte: poi proseguì, intanto che la luce ormai sghemba della macchina faceva brillare i suoi cinque metri di lunghezza che sparivano nel nulla.

Senza fare attenzione

Era uno strano rumore, da dove proveniva? Dal mozzo della ruota? Dal semiasse? E dire che aveva fatto fare da poco il tagliando alla macchina. Cercò di non pensarci e accese la radio per non sentire il cigolio insistente. La strada di campagna era tutte curve e il rumore sembrava aumentare nonostante il pezzo degli Zetazeroalfa lo stesse assordando. Accostò. La ruota sembrava in ordine. Forse era il differenziale o il giunto o chissà cos’altro. Nel frattempo dalla colonica dall’altra parte della strada uscì una persona anziana. Era vestita da casa, con un largo grembiule e le ciabatte. Senza fare nessuna attenzione, attraversò. Teneva davanti a sé un mazzo di fiori di campo, più che altro una corona di margheritine che circondavano un asfodelo. Lo teneva con il braccio disteso innanzi a sé come fossero i fiori a tirarla e lei fosse legata a quelli dal braccio. I capelli bianchi erano mal raccolti e una ciocca le cascava su un orecchio. Arrivata a pochi passi da lui, si inginocchiò davanti a un paracarro, posò alla base il mazzo di fiori e fece il segno della croce. L’uomo si alzò. C’era qualcosa di antico in quella scena, come un’immagine che avesse viaggiato nel tempo prima di arrivare lì. La donna snocciolò un rosario di legno tra le dita ruvide e poi, facendosi forza sul guardrail, si levò ritta squadrando l’uomo come se volesse attaccar discorso.
«È… è morto qualcuno, in quel punto?» chiese lui che aveva dimenticato il motivo per il quale si era fermato. Sul grembiule rosa adesso poteva scorgere la scritta ‘Ciao da Venezia’ con a lato la prua di una gondola.
«Quello?» fece la donna girandosi in direzione del paracarro. «Oh no, no…» scosse la testa acciuffando nell’aria un riflesso violetto. «Piuttosto venga, venga, guardi anche lei» e fece con la mano il gesto di avvicinarlo. L’uomo le si accostò incerto e quando le fu vicino fu preso per un braccio e portato vicino ai fiori. «E allora?» fece la donna mettendo entrambe le mani sui fianchi. «Visto?»
«Visto cosa?»
«Come cosa…?!?» fece delusa. «Quella macchia sul paracarro. È l’immagine di Padre Pio…» L’uomo si sporse in avanti: la macchia ora la vedeva, ma poteva essere il muso di un gatto o una torta di mirtilli spiaccicata su un muro o semplicemente una macchia di fango. «Gli ho chiesto una grazia e lui è apparso» proseguì lei. «Sa, io ho un negozio di alimentari e non si ferma mai nessuno. E ora, con questo miracolo, accorreranno in molti. Proprio come ha fatto lei». L’uomo interrogava ancora perplesso la macchia e quando si voltò vide che la donna stava già attraversando nuovamente la strada per tornare indietro. Senza fare nessuna attenzione.

La deviazione

L’autostrada era deserta. Forse perché era domenica mattina o forse perché c’era un pioggia leggera e noiosa che obbligava ogni tanto ad azionare il tergicristallo.
«Sempre deviazioni!» sbottò l’uomo cominciando a togliere il piede dall’acceleratore.
«Continuano a rattopparla come una vecchia coperta sdrucita» gli fece eco la moglie che da duecento chilometri teneva stretta la borsetta sulla gonna come se dovesse scendere da un momento all’altro. L’uomo frenò, guardò nello specchietto retrovisore: il lunghissimo rettilineo dietro di sé si perdeva a vista d’occhio. Mise la freccia anche se non ce n’era bisogno e piegò verso destra; nel passaggio di corsia la macchina sobbalzò per la presenza di una giuntura sull’asfalto. I due coniugi fino a quel momento si erano tenuti compagnia conversando il quel modo piacevole che avevano riscoperto dopo tanti anni. Avevano imparato a non contraddirsi e a lasciare da parte vecchi dissapori e inutili incomprensioni. La vecchiaia aveva fatto loro bene, avevano finito per capirsi. Ora però si erano fatti silenziosi.
«Sei sicuro di andare nella direzione giusta?» chiese dopo un po’ lei guardando fuori dal finestrino.
«Direi di sì…» rispose l’uomo alzando la tesa del cappello che non aveva voluto togliere. Sembrava una stradella di campagna che aveva preso, stringendosi, a inerpicarsi tra abeti e faggi. Il panorama era molto bello, ma c’entrava poco con l’autostrada che scorgevano molto più in basso.
«Torniamo indietro» fece la donna inquieta.
«Non posso» fece lui. «Qui non riesco a far manovra». In quello stesso istante videro davanti a loro un cartello, una scritta bianca in fondo verde, che indicava la fine della deviazione a un chilometro e mezzo.
«Ci siamo quasi» sospirò lui con un certo sollievo. La macchina percorse una curva poi un’altra, al termine della quale si trovarono in quello che parve un cortile per la presenza di una catasta di legna, di un materasso e di un macchinario arrugginito. L’uomo si fermò disorientato. Nel frattempo due uomini alle loro spalle stavano tirando d’un lato, a chiudere, un cancello in ferro che sferragliò lungo un binario. Sentirono distintamente il rumore metallico del battente scontrarsi con il pilone di sostegno, mentre da un casolare di lato, il cui spigolo solo allora intravidero nella vegetazione, ne uscì un uomo corpulento con un grosso giaccone verde militare e un cappellaccio. Aveva in mano un fucile a pompa. Lo armò e sorrise.