Un paio di scarpe

Ero intento a guardare la vetrina di Fabius (con l’accento sulla ùs, mi raccomando) incerto se comprarmi un nuovo paio di mocassini oppure no. Non c’era il colore che mi piaceva. Abbondava infatti il color panna e un improbabile color cremisi che francamente non mi sarei visto ai piedi per andare a lavorare. Poi c’erano un po’ troppe nappe e nappine, di cui proprio non sentivo il bisogno.
Avevo pressoché terminato la scansione della merce in esposizione quando sento la porta del negozio aprirsi e la voce nasale e inconfondibile del titolare del negozio, quel tal Fabius (sempre con l’accento sulla ùs) che lo ha reso rinomato nella valle:
«Lieti di avervi potuti accontentare» fa all’indirizzo di due clienti accompagnandosi con un leggero inchino. Mi sgusciano così davanti, con una certa agilità, due signori sui quarantacinque/cinquant’anni entrambi muniti di stampelle. Tagliano decisi e obliquamente la piazzetta di Lughi in direzione del Bar del Cinghiale. Mi colpisce constatare che a tutti e due manca una gamba, anche se all’uno la destra e all’altro la sinistra. Il bordo del pantalone è ordinatamente ripiegato all’insù, fermato forse con alcuni spilli che però non si notano.
«Fa piacere constatare che se la vita da una parte li ha segnati, dall’altra non li ha privati della reciproca compagnia» dico al titolare con una certa enfasi degna di miglior causa. Lui mi dà appena un’occhiata, con l’aria di saperla piuttosto lunga, come il suo naso a punta stava probabilmente a significare. Quindi mi confida:
«Pensi che si odiano…»
Lo fisso incredulo per poi ricercare con gli occhi i due che, giunti all’altezza della statua di Poggi Perti, si erano appena divisi.
«Si incontrano solo per ritrovarsi qui una volta ogni due o tre anni» mi spiega lui paziente. «Hanno lo stesso numero di piede, sicché comprano un solo paio di scarpe, in due, per poi dividersele e dimezzare i costi. Furbi, no?»