Gemelli diversi

«Sei già qui?»
«Buongiorno anche a te, caro fratellino…» disse Helmet entrando in casa. Si era appena addentrato di un metro nel corridoio e già lo avevano assalito i mille odori della sua infanzia. E si sentì schiacciare.
Dag gli diede le spalle in un attimo, tornandosene nella sala. Una credenza in noce aveva le ante aperte, lo scrittoio aveva i cassetti che penzolavano nel vuoto e il contenuto di una cassapanca era sparpagliata sul pavimento.
«Sembra che ci siano stati i ladri!» commentò sarcastico Helmet guardandosi in giro con le mani in tasca.
I due fratelli si assomigliavano oramai solo per lo sguardo. Mentre quando erano giovani parevano uno la replica dell’altro, la vita li aveva profondamente modificati nel carattere e nell’aspetto. In particolare, Dag, per colpa di un improvviso rovescio economico, si era ammalato di una forte depressione che gli avevano fatto perdere peso e capelli imbruttendolo. L’altro gemello invece aveva goduto sia di fortuna che di salute: si era trasferito prima a Londra e poi in America ove era diventato un apprezzato e ricco project manager di una grande società internazionale. I rapporti tra loro, con il tempo, erano diventati pessimi.
«Invece è solo una casa vuota dopo la morte di nostra madre…» fece Dag acido «…di cui il Nostro Grand’uomo si sarebbe accorto se fosse arrivato per tempo per il funerale.»
«Non è colpa mia se mi trovavo in Asia per un ciclo di conferenze» disse con sufficienza Helmet lasciandosi cadere su una poltrona. «E dimmi… hai già trovato qualcosa di nostra madre da poter rivendere facilmente?»
Dag si girò a fulminarlo con lo sguardo e poi gli sibilò: «Proprio su quella poltrona ti dovevi sedere?»
«Io e la mamma abbiamo sempre avuto gli stessi gusti.»
«Ah… se è per questo, c’è molto di più!»
«Cosa vuoi dire?»
«Ti ricordi nostra madre che quando eravamo piccini scherzava sempre su fatto che eravamo così uguali che era facile scambiarci l’un con l’altro?»
«Ancora con questa storia?»
«Non è una storia, è tutto nero su bianco, caro il mio fratellino… Ho trovato il diario di mamma.»
«Mamma teneva un diario? Fammelo vedere!» disse Helmet alzandosi dalla poltrona e protendendo una mano.
«A suo tempo… a suo tempo.»
«E cosa c’è scritto?»
«C’è scritto che una sera, al ritorno di nostro padre dal lavoro, era trascorsa sì e no una settimana dal parto, lei lo ha accolto in lacrime confessandogli che facendoci il bagnetto si erano slacciati entrambi i braccialetti con i nostri nomi. In altre parole, non era più in grado di sapete chi era Helmet e chi Dag. Eravamo così identici…»
«Ma non è vero, ti stai inventando tutto…»
«Non è una storia, è tutto nero su bianco, ti dico. I nostri genitori sono rimasti entrambi nell’incertezza fino a quando non hanno dovuto iscriverci a scuola.»
«Insomma, dove vuoi andare a parare?»
«Che ci hanno iscritto a caso, tirando la monetina… abbiamo da allora avuto due istruzioni diverse, due esperienze adolescenziali differenti, due differenti modi di vivere per via di quello sbaglio iniziale.»
«Ma quale sbaglio?»
«Certo, uno sbaglio e ora ne ho le prove. Ho trovato anche la cartella clinica del parto. Bastava leggerla quando era il momento…»
«Cosa c’entra ora la cartella clinica del parto?»
«C’entra centra… durante il parto c’è stata subito una complicazione e per il primo bambino hanno usato il forcipe… L’ostetrico ha lasciato maldestramente una piccola lacerazione, poi subito guarita, sul collo di quello che fu poi chiamato Neonato 1. E al Neonato 1 è stato impartito il nome di Helmet… caro fratellino e tu eri il Neonato 2 con il nome di Dag.»
«Cosa stai dicendo?…» fece Helmet sempre più agitato.
Dag si girò di scatto e scostando un poco i capelli di lato sulla nuca mostrò orgoglioso al fratello una piccola cicatrice.
«Tu ce l’hai questa?» fece lui con gli occhi severi. «Tu sei Dag e io sono Helmet. Questa è la triste verità. Tutto quello che è capitato a me doveva capitare a te e tutta la tua fortuna doveva essere la mia. Hai rubato la mia vita.»
Per un attimo ci fu silenzio. Helmet era rimasto con la bocca aperta. Poi Dag si accasciò a terra e iniziò a piangere a dirotto.