La mela dell’albero

Jack camminava godendosi il sole dopo tanta pioggia. La campagna era fradicia d’acqua e il tepore delle ore più calde alzava stracci di nebbia tra le zolle dei campi sarchiati: parevano tanti fantasmi che si rincorressero in una festa. La luce del pomeriggio, che volgeva lentamente al tramonto, sagomava i gialli e i rossi con un surplus di colore.
Non conosceva bene quel lato della regione e una passeggiata, prima del pranzo dal suo amico, poteva colmare quella lacuna.
Era già mezz’ora che percorreva lo sterrato che scendeva dolcemente dalla Rocca quando un languorino lo spinse fin verso un melo che mostrava un solo frutto tra gli alberi nodosi e spogli. Era una mela piccola, ma doveva essere succosa visto che era maturata sul ramo fino a quel giorno. Allungò la mano per prenderla sporgendosi un poco dalla staccionata. Le dita stavano per toccarla quando la mela, quasi avesse temuto di essere colta, si staccò all’improvviso per cadere a terra producendo un rumore secco che aleggiò nell’aria per qualche secondo. E non appena toccò il suolo si mise a rotolare. Lui non seppe bene perché ma si mise a rincorrerla anche se sapeva bene che probabilmente, a quel punto, non l’avrebbe più mangiata. Il frutto, complice la sua forma del tutto sferica, prese velocità ruzzolando lungo la discesa e, assecondato l’andamento del pendio, fece una piccola svolta a sinistra fino ad arrestarsi tra gli stivali di un uomo.
«Cosa sta facendo?» gli chiese un contadino con voce brusca.
«Buongiorno… niente, stavo solo inseguendo la mia mela.»
«Vorrà dire la mia mela… ho visto che me la stava rubando!»
«D’accordo, forse sarà anche sembrato… ma in verità è caduta prima che io la raccogliessi e ora è per la strada e quindi…»
«Non sono d’accordo… è sempre la mia mela!» fece alzando la voce. Solo in quel momento Jack si accorse che l’uomo aveva al suo fianco un forcone che rapidamente girò conficcando i rebbi nella mela. Il frutto emise un suono strano, come di una palla che si sgonfiasse. La polpa chiara fuoriuscì come da un corpo trafitto a morte mescolandosi al terriccio fangoso in cui in parte affondò.
Jack rimase impressionato da quella reazione inaspettata e teatrale e fece istintivamente un passo indietro. Guardò il contadino i cui baffi spessi gli nascondevano parte della faccia come se indossasse una mascherina; il resto del viso era rugoso e cotto dal sole e appariva rattrappito e immobile come scolpito nel legno stagionato.
Jack lo squadrò quasi avesse preteso una spiegazione. Poi gettò ancora un’occhiata alla mela e a come si era ridotta. E si accorse che un rebbio del forcone aveva bucato uno stivale del contadino e ora del sangue sgorgava dalla scarpa mescolandosi al terreno e alla mela. Provò disgusto.
«Si… si è ferito al piede, con il forcone…» lo avvertì Jack, dopo un po’, indicando lo stivale.
Il contadino si osservò la scarpa:
«Il piede è mio e ci faccio quel che mi pare!»
«Marius! Marius!» si udì una donna vociare poco distante. Una signora dell’età del contadino, con un fazzoletto vistosamente colorato sulla testa, era apparsa d’un tratto alle sue spalle.
«Smettila di dar fastidio a quel signore e viene a darmi una mano che non ce la faccio da sola. Fannullone!»
Il contadino rimase fermo e impettito: un gladiatore improbabile sbucato fuori dalle pagine di un libro di storia. Poi caricò sulla spalla il forcone con ancora attaccata la mela, rigata del suo sangue.
Appena un paio di falcate e sparì dalla vista.