Foliage

Fino a poche settimane fa erano ancora al loro posto; sui rami, sugli steli, sui gambi ondeggianti pigramente sotto un sole che ancora scaldava il cuore. Erano lassù le foglie altere delle querce, le prime a vedere sorgere il mattino; erano lì anche quelle ordinate e precise dell’albicocco a tracciare nel vuoto un disegno elegante; ed erano lì anche quelle superbe e leziose delle rose come se volessero mostrare al mondo il fiore più bello che ci sia. Tutte insomma a guardarsi l’un l’altra, solitarie, nell’armonia di questo giardino, respirando giorno dopo giorno la propria vita, a consumarsi nella propria egoistica autonomia, come fosse per sempre, come se non ci fosse una fine al termine di tutto.
E adesso è bastato solo un colpo di vento un po’ più forte, in questo autunno inoltrato, perché quelle stesse foglie si rincorrano a terra, rese tutte eguali dall’essere senza vita; una confusa all’altra, esangui, accartocciate senza un grido o un lamento, asciugate di quella stessa vita prima tanto ostentata.
Si ammucchiano quasi senza dignità nell’angolo più remoto del perimetro dove il muro a secco ingentilito dal muschio verdastro le raccoglie controvoglia; rimangono in attesa di un colpo di vento ancora più audace che le disperda nell’aria ancora e ancora in una danza che racconta il gioco sadico del predatore; creando macabri turbinii improvvisi e dove la nuova armonia, che non sa nulla di querce o di albicocchi o di rose austere, è data da tutti i colori autunnali che maculano il prato con una infinita gamma di gialli e arancioni.
E poi mi vieni in mente tu.
Quando tanto tempo fa ti lamentavi sbuffando di voler essere brutta per non sentirti addosso le continue attenzioni degli uomini. Lo dicevi tra il serio e il civettuolo e io ti invitavo a non dirlo neppure per scherzo perché la bellezza è profonda quanto la pelle. E tu sorridevi, irridente, senza capire. Pensando che io non potessi neppure concepire cosa potesse essere la “maledizione” della “tua condizione”.
E oggi, che il tuo viso è solo una ragnatela di rughe a incorniciare il tuo sguardo, il solo rimasto vivido e mobile come una volta, non ti resta che osservare allo specchio la tua esistenza rimasta disadorna e vuota di affetti, dove quella stessa bellezza su cui tanto confidavi, senza mai poterlo ammettere a te stessa, davvero non c’è più perché il tempo alla fine ti ha ascoltato e ha voluto esaudire il tuo desiderio.
Perché così è.
Anche se non ci si vuole pensare, anche se non ci si vuole credere. La vita è un piano inclinato. Ogni cosa passa. Al di là dei cicli delle stagioni e degli anni. Sopra ai torti subiti e ai sogni spezzati, nonostante l’amore e le passioni travolgenti. Nulla rimane e nulla ritorna e persino i ricordi che pensiamo di possedere al sicuro nella nostra mente in realtà si lacerano e si trasformano nel divenire dei giorni, per confondersi, alla fine, nell’unico oblio possibile che tutto cancella e tutto confonde. Come le foglie cadute. Come il vento che non guarda in faccia nessuno.