Allucinazioni

«Dovresti accendere la stufa, papà, fa freddo qui dentro…»
Il padre guardava fuori dalla finestra. Era una giornata radiosa e la luce del sole incendiava di colore le foglie cadute nel giardino.
«Papà… la stufa…» insistette lei che aveva capito che il genitore non la stava ascoltando.
«Sì cara, è pulita.»
«Lo vedo che è pulita… dovresti accenderla invece, si gela in casa…»
«Ma no che non fa freddo e poi ci sono abituato…»
«Non ti fa bene… è umido… te la accendo io!»
«No, non lo fare!» esclamò lui voltandosi accigliato; il volto era contratto, pallido.
«Cosa c’è, papà? Perché non vuoi che ti accenda la stufa? Faccio in un attimo.»
«È una storia lunga…»
«E tu raccontamela!»
Il padre si era girato nuovamente verso il giardino. Un merlo era planato rapido sul punto di biforcazione dell’albicocco, si era guardato in giro ed era ripartito alla stessa velocità.
«Penserai che, a forza di vivere qui, tutto solo, mi sono ammattito…»
«Correrò il rischio…» disse lei abbracciandolo dalla schiena.
«È che… è che quando accendo la stufa, dopo un po’, ci vedo dentro un rospo… un rospo vivo, capisci? Che salta e si dimena terrorizzato tra le fiamme perché vuole uscire a tutti i costi per non morire bruciato!»
«Ma è terribile, papà… e c’è davvero il rospo?»
«Certo che c’è…, cosa credi? Solo che quando apro lo sportellino è troppo tardi, lui si è completamente consumato nel fuoco… e non è rimasto più nulla. Mentre fino a quando non apro, lui sbatte con la forza della disperazione contro il vetro, facendo un verso orribile, gli occhi sbarrati, la pelle gonfia dal calore…»
«Va bene, papà, sarà successo una volta… capita a volte che si nascondano per l’inverno anche tra la legna… vanno in letargo…»
«Macché, Giulia mia, succede ogni volta che accendo la stufa. E dire che prima controllo bene la legna, ciocco per ciocco… Sembra che non ci sia nulla e invece no, appena il fuoco prende vigore… eccolo lì, il rospo compare… e io non so darmi pace… me lo sogno anche di notte… povera bestiola.»
La figlia l’abbracciò forte per lunghi interminabili minuti.
«Ti accendo il riscaldamento, allora…»
«No, lascia stare… mi viene a costare una sassata… non ti preoccupare, se dovessi sentire veramente freddo mi metto a letto e mi scaldo tra le coperte.»
«Ti preparo almeno da mangiare?»
«Mi sono comprato una mozzarella e del prosciutto crudo da Mario, mentre tornavo, mi accontento di quello.»
«Devi mangiare qualcosa di caldo, papà… ci metto un secondo a preparati un po’ di pasta che ti piace tanto…»
«Sono anche lì…»
«“Cosa” sono anche lì?»
«I rospi… sono anche dentro il frigo… lo hanno colonizzato, non lo apro più… da tempo.»
«Oh papà!» sospirò lei abbracciandolo ancora più forte.
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«Pronto? Signorina Giulia B.? Sono il comandante Silvestri dei Vigili del Fuoco di Lughi.»
«Buongiorno!»
«Buongiorno a lei, guardi… siamo a casa di suo padre. La vicina di casa l’ha sentito urlare nella notte e ha chiamato noi…»
«Mio padre? Sta bene? Cosa gli è successo?»
«Lo abbiamo ricoverato d’urgenza. Era in stato di shock, sbraitava, si graffiava il volto, dava in escandescenze… abbiamo dovuto buttare giù la porta per entrare. Ora lo stanno portando al San Filippo Neri, per accertamenti.»
«Oddio… grazie comandante, vengo subito…»
«Ah, signorina, un’altra cosa…»
«Sì?»
«Abbiamo dovuto avvertire l’ASL.»
«L’ASL?»
«Sì, per la disinfestazione. È pieno di rospi, qui.»

Dammi una mano

«Ti aiuto a tagliare il prato, nonno?» Il vecchio guardò per un attimo il nipote, pensando a cosa potesse fargli fare. Il volto del bambino si era acceso in un sorriso contagioso.
«Ma sì, mentre inizio qui, tira su i rametti che trovi qua e là così faccio meno fatica a passare il tosaerba.»
Il vento, che spesso rinforzava in quella zona, faceva cadere dalle decine di querce una quantità considerevole di piccola legna che, finendo tra le lame della macchina, rendeva difficoltoso il taglio. E il bambino, accettando di buon grado il suo compito, andava e veniva per il prato come un’ape laboriosa depositando nella cesta, messagli a disposizione dal nonno, tutti i rametti che trovava.
Poi Tommy, tornando da una delle sue corse a perdifiato da dietro le compostiere, si bloccò impietrito davanti al nonno.
«Cosa c’è, tesoro?»
«Nonno nonno, c’è una mano, laggiù!»
«Una mano? Ma cosa dici?»
«Sì, una mano… la mano di una vecchia…»
«Fammi vedere.»
Il nonno spense il tosaerba e, preso per mano il bambino, si fece accompagnare.
«Ecco, è lì dietro» fece Tommy fermandosi a debita distanza e indicando un punto dietro le compostiere. Il vecchio rovistò con cautela. C’era un nugolo di mosche là attorno e un odore di carne putrefatta che toglieva il respiro. Raccolse delicatamente la mano diventata grigio-nera, e, girandosi verso il nipote, gli disse:
«Non devi avere paura Tommy. È la mano di Elsa, la mia vicina di casa. Una settimana fa, mentre era nell’orto, è stata morsa al palmo da una vipera. Siccome aveva la roncola in mano, non ci ha pensato neppure per un attimo e si è troncata di netto la mano all’altezza del polso prima che il veleno le andasse in circolo; e poi, come se niente fosse, tamponandosi il moncherino, se n’è andata a piedi da sola in ospedale. Donne d’altri tempi!»
Il bambino continuava a fissare quella mano mozza che si agitava tra le dita del nonno. Era sempre più pallido.
«Quando poi è tornata a casa non ha più trovato la mano anche se l’abbiamo cercata ovunque. Evidentemente qualche gatto se l’era portata via.»
Poi l’uomo, con un colpo secco, sfilò la fedina d’oro dall’anulare.
«Sarà contenta di riaverla…» disse sorridendo e buttando la mano rattrappita nella compostiera.

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Le foto e il trasloco

Stavo riducendo i rami della quercia appena tagliati in pezzi più piccoli per la stufa quando, fuori dal cancello, vidi ‘Svaldi, il nipote di otto anni di Nello.
«Ciao!» gli dissi continuando a lavorare.
«Ciao, cheffai?» mi chiese con quel suo modo strano di strizzare un occhio e reclinare il capo da una parte.
«Sto tagliando i rami in tronchetti, così li brucio nella stufa». In quell’istante, come se fosse stato il cielo a rispondere, ci fu un lampo seguito da un tuono baritonale ancora lontano.
«Mi sa che si mette al brutto» feci io buttandogli un occhio. Lui fece di sì con la testa. Nel frattempo aveva preso un bastone appoggiato al pilone del cancello e aveva cominciato a dar fastidio a un piccolo formicaio.
«I miei amici dicono che quando si vedono i lampi è Dio che fa le foto con il flash…» mi rivelò serio prendendo il bastone con entrambe le mani. «Ma io mica ci credo. Mimmo crede sempre di sapere tutto e invece è solo uno scemo…»
«Chi è Mimmo?»
«Boh, uno che vedo lì al muretto in piazza…»
«Ma tuo nonno lo conosce?» Il rumore di un altro tuono, questa volta più profondo, avanzò a ondate verso di noi cancellando la mia domanda. «Forse è meglio rientrare» consigliai io che volevo che ‘Svaldi tornasse a casa.
«Io invece so esattamente cosa sono i tuoni» se ne uscì il bambino con l’aria saputella.
«Ah sì?»
«Già! È la Madonna che non è contenta!»
«Come sarebbe a dire?» gli chiesi posando la roncola.
«Sì, non è contenta di come sono i sistemati i mobili di casa. Così Gesù l’aiuta a spostarli da una stanza all’altra facendo tutto ‘sto chiasso…»

Spaccando la legna

Era davvero curioso osservare Bastiano spaccare la legna. A dispetto della sua corporatura grassoccia e budinosa, era molto abile ed energico nel dividere, con un colpo solo d’ascia, i tronchetti di quercia, facendo cadere arrendevoli, di lato, le parti spaccate. Ma ciò che era più divertente è che indossasse una semplice maglietta semiestiva, nonostante il freddo pungente, e una vistosa sciarpa di lana attorno al collo.

«Cosa ci fai vestito così?» gli chiesi trattenendomi dal ridere.

«Oh ciao…» mi rispose dandomi un’occhiata fuggevole. «Quando spacco la legna, sudo: così mi metto qualcosa di leggero.»

«E la sciarpa allora?»

Bastiano sorrise e, dopo aver sistemato un altro tronchetto sul ceppo pronto al gesto atletico, mi disse:

«Ho la gola d’Achille. Se la tengo al caldo non mi ammalo.»

«La gola di chi?»

«D’Achille» fece lui candidamente. «Quello del tallone…»

«Ho capito, Bastiano… ma se cambi parte del corpo… non funziona più come battuta.»

«E perché? Achille non era quello che aveva punti deboli un po’ dappertutto nel corpo?»

«No, non direi… solo nel tallone.»

«Ah… va be’… però hai capito. E senti…» mi fece appoggiandosi al manico dell’ascia. «È tutto pronto per la cena di domani?»

«Sì, però mi han detto che potrebbero non arrivare in tempo i galletti che abbiamo ordinato.»
«Accidenti, non ci voleva… come si fa adesso a vivere con questo spiedo di Damocle sulla testa…?»