L’amica

A Marcello era morto il padre da qualche mese. Anche se il genitore aveva superato i novant’anni, perderlo era stato pur sempre un fatto che oltre a turbarlo profondamente lo aveva colto di sorpresa. Non si riesce mai a realizzare che la persona che ti è stata vicina fin dalla nascita all’improvviso non ci possa più essere.
Ciò che lo preoccupava di più però era la madre. Loro erano stati sposati per più di 55 anni. Più di una vita, fino a confondersi con essa.
La morte del marito l’aveva devastata. Per mesi era rimasta chiusa in casa, in una sorta di mutismo doloroso, seduta sulla poltrona preferita di lui. Non batteva ciglio, sembrava persino non respirare. Poi piano piano aveva ripreso la vita normale. Ma era sempre taciturna, assente, come se fosse scesa in un pozzo.
Fino a qualche giorno fa.

Marcello, telefonandole aveva sentito un’altra voce, un altro tono. Sembrava ritornata giovane, a quando era il vero motore della casa.
«Ho conosciuto una nuova amica» gli aveva riferito per telefono e il suo sorriso attraverso il cavo telefonico era arrivato intatto e radioso sino alla immaginazione del figlio. «Si chiama Annina».
Ed era stato il caso ad averle fatte incontrare, gli spiegò. Lei aveva perso la strada andando chissà dove ed era entrata nel suo giardino chiedendo informazioni. E così avevano cominciato a parlare, a discutere di ogni cosa, a ridere e scherzare, come se fossero state sempre grandi amiche. Aveva saputo che era di Padova dove aveva passato la sua gioventù sino a quando non si era innamorata di un bel tipo che l’aveva portata con sé ad Alvona per poi lasciarla per un’altra dopo qualche tempo.

Marcello, incuriosito di un così grande cambiamento, si mise in macchina un week end e andò a farle visita nella sua casetta di campagna.
Appena arrivato la vide che stava badando alle sue rose; era in splendida forma, ben vestita, raggiante, serena.
«Ti trovo benissimo mamma, sono proprio contento.»
Si baciarono e abbracciarono commossi.
«E Annina? Non me la presenti? È qui?» gli chiese ansioso il figlio.
«Certo che è qui!»
«Qui dove, mamma?»
«Ma lì, sui tuoi piedi.» Marcello abbassò lo sguardo.
«Ma è una gallina, mamma…»
«Certo, una gallina padovana per l’esattezza. Guarda, ti becchetta le scarpe. Ti vuole già bene. Lo sapevo che le saresti piaciuto, è impossibile resisterti.»
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Guede

Il bambino era seduto sul letto della sua cameretta, i piedi a ciondoloni.
«Ma tu, Guede, sei contento di essere il mio Amico Immaginario?» domandò tappandosi un poco le orecchie quasi avesse paura di sentire la risposta.
Guede, abbandonato sulla poltrona, aveva un’espressione assorta; il viso, piccolo e storto, sul quale erano montate festose orecchie a sventola, era avvitato su un corpo esile, da cui si dipartivano inaspettatamente braccia e gambe lunghe e sproporzionate. «Ehi, parlo con te, perché non mi rispondi?»
«Tua madre ieri mi ha visto mentre aprivo il frigo…»
«Ti ha visto? Come sarebbe a dire ti ha visto? Ma se sei invisibile, agli altri dico…»
«Appunto, non lo sono più. Mi spiace, Michelino, non sono più ‘Immaginario’.»
Il bambino aveva gli occhi sbarrati, le mani appoggiate sulle guance, non ci poteva credere. I conti non gli tornavano, chiese:
«Se non ti ho immaginato io, allora da dove sbuchi?»
«Anni fa mi avevano mandato ad aiutare un bambino che abitava qui accanto. Mi sono confuso con gli indirizzi e sono venuto da te. Senza il mio aiuto, il bambino purtroppo è morto e, visto che non mi volevano più indietro, avendola combinata grossa, sono rimasto da te.»
Si fece silenzio tra i due, il bambino era rimasto senza parole.
«Sei venuto da me per caso?»
Guede annuì guardando fuori dalla finestra imbarazzato.
«Non è che sei un Angelo, vero?»
Guede annuì ancora una volta. «Il mio vero nome è Hanatenah e vengo dal Quarto Cielo. Se sono diventato visibile…» continuò a confessarsi «allora vuol dire che dovrò lasciarti.»
«Non puoi farlo» protestò Michelino allungando la mano come per trattenerlo. «Noi siamo amici… io, io ti voglio bene»
«Lo so, ma ora tu sei grande…»
«Troppo grande per avere amici?»
«Troppo grande per avere Amici Immaginari o avere un Angelo Custode»
«Ho capito.»
Guede a quel punto si alzò. Le sue braccia sembravano toccare terra. Avrebbe voluto avvicinarsi al bambino per abbracciarlo un’ultima volta, ma vide che la madre stava seguendo la scena, immobile, dal corridoio, e rinunciò.
«Potresti diventare l’Amico Immaginario di quale altro bambino del quartiere» insistette Michelino con un filo di speranza «in questo modo potremmo incontrarci ancora, magari per caso, non si sa mai.»
«E’ vero, ma allora diventerei invisibile anche a te…»
«Non importa, saprò che ci sei.»
«Va bene, allora chiedo in giro…»
Poi il bambino si mise a piangere e Guede se ne andò senza far rumore.