Il dott. Cuspide, come lo chiamava Paolo per via della testa singolarmente triangolare, era ritto davanti a lui, incastrato nella luce della porta: era anche un po’ pallido, gli occhietti aguzzi e antipatici erano remissivi e rivolti a terra.
«Che ti è successo?» gli chiese, incerto se mettersi o no a ridergli in faccia. Cuspide era imbarazzato, confuso. Di solito era sprezzante come se il mondo non meritasse la sua presenza.
«È che mi devono aver derubato sul bus» confessò. «Non ho più il portafoglio e non so come pagarmi il pranzo».
«Non ti preoccupare» gli disse Paolo soddisfatto di vederlo un cencio. «Oggi offro io». E mentre stavano dirigendosi verso la mensa Paolo non si fece scappare l’occasione per rimproverarlo come un ragazzino dicendogli che bisognava essere previdenti e precisi (proprio al Cuspide che si programmava anche quando andare in bagno!) e tenere una riserva di banconote altrove, nel cassetto dell’ufficio, per esempio, o nella custodia dei documenti. Il Cuspide per la prima volta incassò senza dir nulla.
Dopo circa un mese il Cuspide, transitando per il corridoio dell’ufficio intercettò per caso uno spezzone di chiacchierata tra Paolo e un collega. Paolo si lamentava, neanche a farlo apposta, di essere rimasto senza soldi.
«Ah, Signor Previdentone, non eri forse tu quello che mi propinava il suo consiglio spicciolo della riserva di banconote?» L’occhiata era tagliente più che mai, il tono strafottente. Paolo deglutì amaro. «Allora?» insistette Cuspide come un seviziatore che ci avesse preso gusto. «Che ne hai fatto della tua riserva? Il consiglio valeva solo per me?»
«È che l’ho levata…»
«Levata?» Il sorriso si era fatto beffardo.
«Sì, il giorno stesso che ci siamo parlati andavo in macchina e sono stato fermato dai Carabinieri. Mi hanno chiesto la patente e libretto. Mi ero dimenticato che i 50 euro li avevo infilati nella custodia della patente. Il carabiniere ha creduto che volessi corromperlo e per poco non mi arresta».
La riserva
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