La trappola

topolinoIl maresciallo Masciotta era entrato nella stanza del Pubblico Ministero senza bussare. Il dr. Sbarbaro era molto alla mano, quando ne aveva voglia, ma quella mancanza di minima formalità, come la chiamava lui, lo irritava sempre. Ne era prova quel suo modo impercettibile di raschiarsi la gola o di sforzarsi di mettere in linea, davanti a sé, il  kalanchoe color fucsia, il codice penale e il tagliacarte rotto.
«Dottore… li abbiamo presi finalmente!»
Il Pubblico Ministero alzò finalmente gli occhi sul Masciotta mettendolo a fuoco. I pochi capelli che il carabiniere aveva in testa ondeggiavano come alghe sul fondo del mare, ma i baffi erano rimasti rigidi forse per la troppa brillantina. Sbarbaro si distese lentamente sullo schienale, che scricchiolò, mostrando alla luce sbilenca della finestra il suo viso ancora giovane, rilassato, la barba ispida un po’ nera e un po’ rossa; lo sguardo era inquisitorio, di quelli che ti rovistano dentro, ma era mitigato dagli occhiali da vista, la cui montatura era di un sorprendente color arancione.
«Presi? Non capisco» disse sovrappensiero.
«Non si ricorda, dottore? La banda degli albanesi. Quella che ha messo a segno nella zona tutti quei furti ai supermercati. Lei aveva raccomandato ai gestori di dotarsi di allarmi più sofisticati, dal momento che le webcam non erano risultate sufficienti proprio per la capacità di quei criminali di individuarle e metterle preventivamente fuori uso.»
«E quindi?»
«E quindi sono rimasti fottuti, con rispetto parlando» e qui rinfoderò il sorriso pentendosi di aver usato, per l’eccitazione, una terminologia troppo confidenziale.
Il Pubblico Ministero continuava a non capire. E siccome l’unico modo per venirne a capo con il Masciotta era andare di persona sul posto si alzò e prese la giacca.
Durante il viaggio in macchina, il maresciallo spiegò che l’ipermarket di Lughi aveva adottato un dispositivo antintrusione di ultima generazione che, entrando in funzione dopo la chiusura, consentiva di isolare i malviventi non appena avessero oltrepassato la linea delle casse e prima che uscissero indisturbati dalla porta: due serrande di acciaio scendevano rapidamente alle spalle e dinanzi ai ladri chiudendoli in trappola.
Sbarbaro odiava la sirena sicché giunsero all’iper un’abbondante mezz’ora dopo; il responsabile della sicurezza, rag. Carminati, lo accolse però ugualmente con aria soddisfatta come di un gufo che avesse appena artigliato un topolino uscito dal sottobosco. E quando azionò il pulsante del telecomando per alzare la serranda, il maresciallo estrasse meccanicamente la Beretta d’ordinanza:
«Si metta al riparo, dottore» gli disse in modo concitato «può essere pericoloso.»
«Sì, ha ragione, Masciotta» rispose lui non muovendosi di un millimetro e impugnando, chissà perché, un pennarello senza cappuccio trovato nella tasca. Ma quando la saracinesca fu sollevata del tutto mostrò all’interno una persona anziana seduta per terra in un angolo del box. Aveva l’aria sfatta, la barba incolta, gli occhi acquosi. Sembrava una vecchia marionetta abbandonata da personale circense in fuga per un incendio. L’aver passato tutta la notte in quel posto angusto, al freddo e al buio, non doveva averle giovato.
Il PM si avvicinò senza dir nulla. Tutti i presenti non osarono dir nulla.
«Sono entrato solo per questo» confessò il vecchio agitando, mortificato, una confezione per pasta per dentiere. «La prego, la scongiuro, non dica nulla a mia moglie.»

Il ladro

ladroNon appena lo vide arrivare sul vialetto di casa, si avvicinò lentamente alla porta e, senza farsi sentire, la chiuse a chiave. Dopo alcuni tentativi, l’intruso, non riuscendo a entrare, girò attorno alla casa. Sapeva evidentemente della porta sul retro. Con il cuore in subbuglio, il vecchio, scivolando lungo i muri, con il passo che l’età gli consentiva, arrivò per tempo a serrare anche l’altra entrata. Scorse l’ombra appoggiare la fronte sui vetri per ispezionare l’interno. Lui subito si appiattì nel vano ripostiglio trattenendo il respiro. Afferrò senza far rumore il fucile da caccia e inserì con cura le due cartucce nel serbatoio. Se solo, quello lì, avesse fatto la mossa di rompere un vetro, avrebbe avuto il fatto suo. L’ombra però, dopo un poco, fece ritorno sul davanti del villino. Cercava qualcosa, perché aveva in mente qualcosa, lo sapeva bene il vecchio. Certo, avrebbe potuto anche telefonare alla polizia, ma quell’individuo era affar suo. Non poteva permettere al primo vagabondo che passava di lì di fare i suoi porci comodi. A casa sua, poi! No, non era giusto, né dignitoso. Scostò le tende della sala. Ora lo vedeva bene. Era un uomo sui quaranta, quarantacinque anni. Sembrava solo, ma forse aspettava man forte da altri criminali come lui. Voleva sicuramente entrare per rubargli quei pochi spiccioli che aveva. Avevano avuto la soffiata che lì ci abitava un vecchio ed erano venuti pensando che sarebbe stata una cosa facile. Biondo com’era, ci stava pure che fosse uno straniero. Tutti, buoni a nulla quelli là, lo sapeva bene il vecchio, che aveva fatto la guerra. Poi lo vide, svelto, arrampicarsi sulla mimosa. Quel furbino voleva salire sul terrazzo ed entrare dal piano rialzato. Afferrò il fucile e salì le scale. Era tanto che non andava lassù perché le gambe non le aveva più buone. Imprecò per ogni gradino che dovette fare e prese anche una storta. Si appoggiò al calcio del fucile per non cadere; se non gli scoppiava il cuore questa volta era proprio fortunato. Non appena arrivò alla porta-finestra del terrazzo vide che il ladro dall’ultimo ramo dell’albero si stava protendendo verso la ringhiera. Stava per saltare. Il vecchio fece allora appena in tempo a spalancare la porta e a sparare. Un primo colpo e un secondo. L’uomo si abbassò istintivamente non appena percepì il pericolo. Perse però l’equilibrio, si aggrappò ai rami che incontrava cadendo giù, sul prato. Zoppicando, il vecchio si sporse soddisfatto dal terrazzo.
«E la prossima volta che vieni te lo scarico in faccia» gli urlò stralunato mostrandogli il fucile. L’uomo si rialzò dolorante, tenendosi una spalla.
«Ero passato a vedere come stavi, papà. Sei proprio diventato un maledetto vecchio pazzo» e se ne andò.

Un tranquillo pomeriggio di shopping

Il marciapiede lungo il Corso era affollato di gente qualunque, che si spostava  in modo ordinato e tranquillo. A Lughi erano appena iniziati i saldi e le persone passavano da una vetrina all’altra in modo metodico e puntuale, come fossero tante api che volessero visitare tutti i fiori del prato. All’improvviso, sgusciato da dietro un omone con in braccio un cagnolino minuscolo, un ragazzo turbò quell’apparente quiete strappando la borsa ad una signora; lo fece con una destrezza tale che la donna si toccò la spalla, d’un tratto alleggerita, senza sapere neppure il perché. Per superare di slancio le persone che strusciavano pigre, il ragazzo si tuffò sulla strada, sfiorando le macchine che, nella semioscurità della via, lo vedevano all’ultimo istante. Arrivò in un attimo nella piazza principale facendo gemere le scarpe da ginnastica sui sampietrini lucidi, ma quando si girò, più per abitudine che per cautela, si accorse che era inseguito da quattro uomini nerboruti: erano un paio di solerti negozianti più due passanti desiderosi di contribuire a reprimere il crescente fenomeno del borseggio. Lo scippatore riprese la sua corsa forsennata e ce l’avrebbe fatta a sfuggire al suo destino se, dopo circa trecento metri, un tizio alto, con un berretto blu, sbucato da dietro Palazzo Cini-Occorsi, non lo avesse preso in pieno con la custodia del contrabbasso facendolo volare malamente di schiena contro la palina di un divieto di sosta. Ansimando, i quattro uomini arrivarono alla spicciolata sul malcapitato che si contorceva per il dolore. Il verduriere, prima ancora di tirar su il ragazzo da terra, pensando che si volesse divincolare, gli diede uno schiaffo a mano a aperta sulla nuca facendolo sobbalzare. Il tipo con il berretto, rimasto fermo per la sorpresa di essere diventato il protagonista involontario di quel film, si godeva la scena. Gli uomini si misero infatti a vociare strattonando fieri il loro trofeo che trascinarono via come un sacco vuoto. Poi il tizio, rimasto solo, si chinò lentamente a prendere la borsa scivolata contro il muro dell’edificio. La nascose con naturalezza dentro la custodia dello strumento che aprì in pochi attimi, e tornò indietro sui suoi passi.