L’ultimo regalo

 

L’uomo girava con attenzione il caffè nella tazzina. Lo faceva lentamente, in senso antiorario, con gesto ritmico che aveva in sé qualcosa di ipnotico. Si sa, lo zucchero di canna ha bisogno di tempo per sciogliersi del tutto. Quando ebbe finito fece tintinnare il cucchiaino sul bordo del piattino per poi alzare la tazzina e assaporare a fondo il profumo e il sapore della miscela arabica. Fu quello anche il momento in cui la vide. Era dall’altra parte della piazza e la stava attraversando con passo ampio, deciso, ancheggiante: veniva verso di lui. Erano sei mesi che si erano lasciati e da allora era stato per lui l’inferno. Lei gliene aveva fatte di tutti i colori: dall’andare a raccontare alla moglie della loro relazione al rigargli completamente la macchina nuova, dal tempestarlo di telefonate anche nel cuore della notte a insultarlo pubblicamente in mezzo alla strada. Adesso erano già alcune settimane in cui la donna non si era fatta più vedere e lui si era illuso che tutto fosse finito.
«Non ho voglia di altre scenate, sono proprio stanco…» esclamò l’uomo non appena l’ebbe davanti al tavolino.
«No, nessuna scenata, stai tranquillo» fece lei con le mani conficcate sui fianchi.
«E allora cosa vuoi?»
«Volevo sincerarmi che non mi fosse rimasto più nulla di tuo.» E così dicendo, con una strana luce negli occhi, tirò fuori dalla borsa un pacchetto colorato che gli mise davanti. Poi, senza dire null’altro, con la stessa foga con cui era arrivata, riattraversò la piazza sino a sparire in una via limitrofa.
L’uomo era titubante: non sapeva se aprire o no quello che sembrava solo un regalo. Vinse la curiosità. In un colpo solo tolse il fiocchetto e strappò la carta: era un vasetto di vetro. Dentro galleggiava pigro, in abbondante formalina, un feto di due mesi.