Il Destino è in attesa

Da quando era andato in pensione aveva preso a tornare sul luogo di lavoro. Ma non per darsi da fare e aiutare gli altri, quanto piuttosto per vederli lavorare e godere del fatto che quella vita non gli appartenesse più. Questo lo faceva sentire meglio. Veniva tutti i giorni, anche solo per una mezz’oretta. Si metteva in un angolo e non diceva nulla. E osservava.
Ma un po’ perché gli ex colleghi a un certo punto gli fecero capire che non era più gradito, un po’ perché voleva fare qualcosa di diverso, prese a frequentare altri ambienti anche se con le stesse finalità.
Andò così in Tribunale, a seguire alcuni dibattimenti penali e, anche se ci capiva poco, passava ore a guardare attraverso le sbarre della gabbia ove erano rinchiusi gli arrestati in attesa di giudizio, giusto per osservarli. Li vedeva a capo chino, parlare preoccupati con i loro difensori oppure seduti, le mani a sorreggere la testa, incerti per il loro futuro. Sì, tutto ciò lo rincuorava.
Poi iniziò con i funerali ove si imbucava facilmente; controllava gli annunci mortuari il giorno prima e poi andava alla messa, seguiva il corteo fino al camposanto assistendo a tutte le operazioni successive compresa l’inumazione o la posa della lastra. Il fatto che tutto quello che vedeva riguardasse qualcun altro era rasserenante e migliorava notevolmente il suo umore.
Libero com’era da impegni di lavoro aveva poi preso anche a viaggiare; una volta arrivò sino a Calascura Marina, dov’era sepolto il Santo cui lui era tanto devoto. Si era ripromesso per tutta la vita di andare sulla sua tomba a pregare, senza riuscirci mai, vista la notevole distanza da casa. Ora era era arrivato il momento. Si prese tutto il tempo necessario facendo persino una visita guidata alla Basilica e alla Cripta del Santo.
Nel pomeriggio, prima di ripartire, andò invece nella sala attesa dell’ospedale del luogo. Ormai era diventata la sua routine. Era rassicurante vedere che erano altri a dover soffrire.
Stava appunto osservando una bambina che giocava tra le ginocchia della mamma che la accarezzava dolcemente — la bambina aveva una vistosa fascia che le copriva un occhio — quando entrò nella sala l’infermiera: era una donna bassa ma corpulenta, dai modi bruschi e spicci. Disse qualcosa nel dialetto del luogo che non capì. Poi fece alcuni metri nella sua direzione.
«Signor Guidi, sto chiamano proprio lei, ma non mi ha sentita?»
Lui si ridestò come da un sogno.
«Io?» fece sorpreso. «Guardi che ci deve essere un equivoco, io non sono di qui… sono in gita. Mi ha confuso sicuramente con qualcun altro.»
«Lei è Ernesto Maria Guidi, vero?»
«S..sì» rispose lui ancora più disorientato.
«E allora si sbrighi, su, venga con me, non mi faccia perdere tempo. Il Primario questa mattina ha visto le sue lastre e non ci sono affatto buone notizie per lei. Venga, venga da bravo… che glielo spiega meglio lui.»
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