Vuoto pneumatico

Era sicuro di aver puntato la sveglia la sera prima. Lo faceva del resto ogni volta che andava a dormire. E poi ricontrollava. Era troppo importante che potesse prendere puntuale l’indomani il suo solito treno. Anche se la sera prima non aveva affatto ricontrollato. E così non aveva suonato.
Quando fu svegliato dalla moglie era già tardi. E lui odiava fare tutto in fretta. Lavarsi in fretta, far colazione in fretta, mettere le ultime cose in borsa senza la dovuta calma e attenzione.
E quando fu in strada non poté tenere neppure il suo passo consueto. Sollecito, ma non veloce, non da passeggiata, certo, ma neppure concitato. E quel contrattempo era capitato proprio nel giorno in cui l’agenda era fitta di impegni fin dal primo mattino. No, di saltare quel treno proprio non se ne parlava.
Così, quando arrivò in piazza, i versi strozzati di chi stava, in modo inequivocabile, soffocando lo fecero fermare. La donna si trovava lontano da lui una decina di metri ma si capiva che le era andato di traverso qualcosa, perché si agitava tenendosi entrambe le mani alla gola strabuzzando gli occhi. Lui guardò l’orologio tentato dal proseguire. Sì, il treno proprio non poteva perderlo, però d’altronde quella povera donna aveva bisogno di aiuto… Ma lui cosa ci poteva fare? Non era un medico, la manovra di Heimlich non la conosceva e se anche avesse telefonato a un’ambulanza non sarebbe riuscita ad arrivare in tempo per salvarla.
Intanto che lui cercava di decidere cosa fare la donna era caduta sulle proprie ginocchia, si teneva con una mano alla parete di un edificio e stava per accasciarsi sul marciapiede. Lui guardò un’ultima volta l’orologio. Se avesse accelerato il passo sarebbe ancora riuscito a prendere il treno. Ma alla fine si risolse di avvicinarsi in qualche modo a quella povera signora, anche se non sapeva bene in che modo avrebbe potuto soccorrerla.
Nel frattempo, dall’altra parte della strada, una persona anziana stava avendo la stessa sorte. Si contorceva, girando su sé stesso, come se cercasse di capire chi gli stava tirando quel brutto scherzo. L’anziano aveva lasciato cadere a terra il bastone e nell’agitazione il cappello e anche lui si teneva con le mani la gola nel tentativo disperato di far entrare uno filo d’aria nella gola. Allora lui si arrestò nuovamente. Non sapeva da chi dei due andare per primo. Ma che strana situazione! Pensò. E che coincidenza! Proprio a lui poi, e proprio quella mattina, che era più che in ritardo.
Poco dopo, si accorse che più in là c’erano anche altre due persone che si affannavano in mezzo alla strada, in preda alla medesima disperazione. Non respiravano. Erano due turisti che fino a pochi minuti prima stavano trascinando le loro valigie in direzione della stazione, e ora erano entrambi in preda alla stessa crisi acuta. Ma allora non si trattava di un boccone di traverso! Si disse. Mancava loro l’aria per qualche altro motivo. Anche se non riusciva a capire perché lui invece respirava bene. O lo potesse fare ancora. Preso allora dal panico, cominciò a correre. Si doveva allontanare di lì. Se ci fosse stata una fuga di gas o qualcos’altro di nocivo nell’aria avrebbe dovuto andarsene immediatamente. Corse a perdifiato e, così facendo, passò davanti ad altre persone con le stesse problematiche: un senzatetto, il receptionist di un albergo, un fornitore di acque minerali. Chiedevano tutti aiuto con gesti scomposti, esagitati, lo sguardo vuoto e incredulo. Sembrava che l’aria fosse stata risucchiata tutt’attorno a loro e si fosse creato un vuoto pneumatico. C’era anche un topo riverso in un angolo e, più in là, un paio di piccioni a zampe all’aria.
Arrivò in stazione che andava ancora di corsa. Anche nella grande hall la maggior parte della gente era stesa sul pavimento e si dibatteva nel tentativo vano di respirare. Alcune persone non si muovevano più o si muoveva a scatti in preda a convulsioni. La situazione era agghiacciante.
Senza indugiare ulteriormente diede un’occhiata al tabellone elettronico alla ricerca del suo treno. Procedeva per abitudine ma anche nella speranza di andarsene via da quel posto il più presto possibile. Si accorse che il treno era ancora al binario nonostante fosse passato da un minuto l’orario di partenza. Corse ancora più forte. Riuscì a salire sulla carrozza anche se disperava del fatto che il macchinista potesse essere in grado di condurre il convoglio.
Ma di lì a poco le porte si chiusero. E il treno iniziò la sua corsa.

Sino all’ultimo respiro

 

La donna faceva fatica a camminare. Sembrava che il respiratore, troppo grosso per lei, le fosse di peso. Ansimava e le palpebre erano semichiuse dalla spossatezza. Batté con le nocche sulla porticina nella facciata di lato del Palazzo. Ripeté l’operazione più volte, fino a quando la saracinesca non si alzò. Comparve un signore anziano con la fronte sfuggente e una espressione fissa sul volto che lo faceva sembrare stupito. Non aveva orecchie e il labbro superiore era spesso e troppo corto per coprire i denti.
«Cosa vuole?» le disse con voce querula.
«Ho bisogno di altro ossigeno… non per me, ma per mio padre, sta molto male… ha l’enfisema…»
«Ha avuto la sua razione giornaliera, come tutti gli altri, del resto…» fece la Creatura accompagnandosi con un rapido movimento della testa in un curioso tic.
«Lo so, ma respira affannosamente e ne consuma molto di più di quello che ha avuto in dotazione».
«Gliene dia del suo…» rispose quello mostrando anche i denti inferiori in una smorfia ostile.
«L’ho già fatto» fece la giovane donna accorata «ma ne ha bisogno di più, non sopravviverà senza. Si è ammalato perché gli avete somministrato dell’aria avariata, Voi lo sapete benissimo…»
«Siete in arretrato con i pagamenti, cosa pretendevate…? O vi abituate all’aria che c’è o pagate il dovuto. Non avete scelta». In quel momento la Creatura trasse un respiro profondo da branchie porose situate all’altezza del collo e che si erano aperte con un sibilo e subito richiuse.
«Potrei essere ‘carina’ con Te come lo sono già stata in passato…» fece la ragazza cambiando tono.
La Creatura si girò appena e digitò impassibile su una tastiera trasparente. Aguzzò lo sguardo nel leggere i risultati sul monitor.
«Lei ha appena fatto l’esame del sangue e risulta qui che ha una malattia sessualmente contagiosa…»
«Sono malata? Non è possibile!» la ragazza era sconcertata. Il suo respiro si era fatto più frequente. «Se ho una malattia sessualmente contagiosa non puoi che avermela attaccata Tu».
«Questo ha scarsa importanza» comunicò l’Altro scuotendo la testa per il tic. «Noi non siamo più interessati alla sua persona». Detto questo, premette un pulsante che abbassò rapidamente la saracinesca in metallo.
«No, aspetta! Aspetta!» urlò la donna «Ho bisogno di quell’ossigeno!» E prese a battere con forza con il palmo della mano sul metallo gelido, fino a quando una potente scossa elettrica non la scagliò a terra. Il microchip che regolava il respiratore andò in crash. La donna non riusciva a respirare. Tirava su con la bocca dilatata appannando la maschera in un vuoto che si era fatto pneumatico. Rantolava dimenandosi a terra. Era già cianotica quando il microchip riprese a funzionare facendo nuovamente passare un filo di ossigeno.