Mi fermo qui

Fredo era proprio contento di aver comprato il regalo per suo figlio. Aveva girato tutti i negozi di Lughi e finalmente, nell’ultimo, aveva trovato quello che cercava: due macchinine sportive (una Ferrari e una Porsche) luccicanti e coloratissime, ma soprattutto elettriche e telecomandate. Quasi ballava mentre saliva sull’autobus, nella piazza principale del paese. Si sedette in fondo per starsene tranquillo anche se non c’era nessuno. Sarebbe arrivato a casa presto, giusto in tempo per nascondere il pacco in soffitta. L’autobus partì persino in orario, le strade erano deserte sicché, in poco meno di dieci minuti, era già alle rampe di Bigialli. Ma l’autista, anziché svoltare a destra, come avrebbe dovuto, girò a sinistra. Fredo si alzò per capire cosa stesse succedendo:
«Guardi che ha sbagliato strada. Doveva prendere a destra.»
«Lo so benissimo dov’è Bigialli» rispose il conducente un po’ seccato.
«E allora?»
«E allora, evidentemente, non sto andando a Bigialli!»
«Ma non è il 14 questo?»
«Certo che è il 14.»
«E allora?»
«E allora, non vado a Bigialli, ma in deposito. Non lo ha visto il cartello sul fronte del bus?»
«No, non l’ho visto» fece l’uomo agitandosi. «Però si fermi qui lo stesso, per favore.»
«Ah… non posso, ho precise disposizioni io, mi spiace. È il regolamento. Una volta partito, la prima e unica fermata è il deposito» disse tutto d’un fiato il guidatore alzandosi la visiera del cappello.
«Oh santo cielo! E adesso come faccio? E il deposito dov’è?»
«A Collefili» ribatté il conducente che fece un gesto della mano come se quello dovesse essere un fatto noto a tutti.
«Ma è a venti chilometri da qui!»
«Più o meno, diciannove per l’esattezza.»
«E io poi come torno?»
«Non saprei, signore, bastava leggere. È scritto bello grosso, proprio in fronte al bus: D E P O S I T O.» Il tono si era fatto odioso.
Fredo ritornò al suo posto. Non solo avrebbe fatto tardi, ma avrebbe anche corso il rischio che il figlio gli vedesse il regalo e allora addio sorpresa. Non aveva però intenzione di mollare. Si preparò come si conveniva e tornò dal conducente, battagliero e deciso a tutto. Si scostò così il cappotto facendo intravedere appena sopra la cinghia dei pantaloni i due rigonfiamenti prodotti dalle macchinine nascoste sotto la camicia; assunta un’espressione un po’ spiritata, disse:
«Va bene, questo pomeriggio, quando mi trovavo ai grandi magazzini, avevo cambiato idea, ma vuol dire invece che mi farò esplodere ugualmente, qui e subito.» In mano, Fredo, aveva il telecomando del giocattolo con il pollice sul pulsante rosso con l’aria di volerlo premere da un momento all’altro.
L’autista inchiodò l’autobus che sbandò pure un paio di volte; poi, pallido in volto e la bocca spalancata, aprì le porte. Fredo dapprima uscì di schiena, quindi scappò più veloce che poté nel buio della notte.