Un’illusione in testa

Da quando abito a Poggiobrusco sono sempre andato a tagliarmi i capelli da Lino. Il suo negozio, in centro di Lughi, è sobrio, piccolino, ma funzionale. Lino è di Bigialli anche se abita a Capaglossa e i bigiallesi, si sa, o sono scorbutici e maleducati o sono come lui, riservati e taciturni.
«Facciamo il solito?» mi chiede come di consueto aspettando la risposta con pettine e forbici a mezz’aria.
«Certo, Lino.»
Poi sapevo che per tutto il tempo rimanente non avrebbe più parlato, un po’ assorto nei suoi pensieri, un po’ chiuso nei suoi problemi. Ma, passato un quarto d’ora, entra un signore molto distinto, alto, sulla sessantina. E’ vestito come di chi si è dimenticato di aggiornare il guardaroba dagli anni Settanta, ma l’aspetto è quello di chi ha conosciuto una esistenza di agi.
«Illustrissimo signor Conte, buongiorno» esordisce Armando, l’aiutante, balzando in piedi.
«Ciao, caro» fa quello entrando dinoccolato e lasciandosi subito dopo cadere sulla poltrona. Tolto quindi il cappello a coppola, il nobile mette in mostra quello che, con evidenza, era un parrucchino. Istintivamente nel riflesso dello specchio cerco lo sguardo di Lino che, in una frazione di secondo, intercetta la mia espressione interrogativa.
«Facciamo il solito?» chiede Armando al Conte.
«Sì, come sai fare tu…»
Poi, mentre i due si mettono a parlare tra loro, Lino, avvicinandosi al mio orecchio, sente il bisogno di spiegarmi che il Conte, cugino alla lontana di Lodo dei Tederighi Baldi, vive nell’illusione che i capelli del toupet siano davvero i suoi. Non se l’era mai sentita di contraddirlo e poi, oltre a pagare il servizio di taglio, lasciava anche una lauta mancia, senza considerare infine il prestigio che il Conte dava al negozio per il solo fatto di entrarci. Io annuivo, ma non sapevo se ridere o rattristarmi.
«C’è qualche cappello bianco» fa ad un certo punto Armando frugando lieve tra i capelli finti del parrucchino.
«E’ singolare che tu me lo faccia notare, figliolo» sorride il Conte pacato. «Ne parlavo giusto questa mattina a colazione con mia moglie, la Contessa , e lei si domandava se non fosse stato il caso di fare una tinta, anche solo leggera. Cosa ne pensi?»
Io getto ancora una volta un’occhiata allo specchio per vedere se Lino aveva avuto una qualche reazione. Ma lui aveva assunto nuovamente la sua aria imperturbabile di sempre e con la testa non era nemmeno più lì.

La veggente

«Con quella signora anziana là, l’altro ieri, mi è successa una cosa davvero strana.»
A parlare era Lodo dei Tederighi Baldi, l’ultimo conte di Lughi: mi si era avvicinato alle spalle, mentre stavo fissando, attraverso la vetrata del Bar del Cinghiale, una vecchietta che, tutta curva sul proprio bastone, chiedeva l’elemosina in piazzetta. La donna si sarebbe detta molto in là negli anni, se non fosse stato per un largo cappellaccio che le copriva il volto e che impediva di saperne di più. Il conte, invece, era un bell’uomo sui cinquant’anni, alto, brizzolato, capelli lunghi e disciplinati all’indietro da copiosa brillantina: stava guardando fuori anche lui da sopra la mia spalla.
«Davvero?» feci io sorpreso che mi avesse rivolto la parola. Avevo curiosamente appena saputo che lo stemma della sua casata, un cimiero medioevale da cui fuoriesce una ghirlanda di rose di macchia, sovrastato da due palme incrociate, era anche lo stemma di Lughi, anche se, nel tempo, e chissà perché, le due palme erano state sostituite da un paio di alabarde.
«Sì» fece lui bevendosi il suo ennesimo Negroni. «Per la prima volta mi sono fermato e le ho fatto scivolare dei soldi nel suo boccale per l’elemosina.»
Io mi girai verso di lui come per dire ‘e allora?’, ma il conte continuava a scrutare fuori; la mano libera dal bicchiere era affondata nella tasca del suo inossidabile blazer verdone da cui faceva capolino solo il pollice tenuto innaturalmente dritto: sembrava si trovasse sul cassero di uno yacht.
«La signora in questione, anziché ringraziarmi, mi ha mormorato: ‘Auguri per la bambina’. Lì per lì, mi ha sorpreso, ma poi ho finito per non badarci, fino a quando qualcuno non mi ha detto che è una veggente.»
«Non crederà mica a queste storie… signor conte» gli dissi abbozzando un sorriso di circostanza.
Lui interrogò con gli occhi le due dita di Negroni rimaste nel bicchiere che roteava lentamente come fossero il fondo di una tazza di caffè. Mi accorsi poi che in realtà si stava guardando le nappe dei mocassini color panna.
«Poi lei ha una figlia, quindi, tutto sommato, la vecchietta ci ha azzeccato, mi sembra» feci io un po’ imbarazzato per quella inaspettata confidenza.
«Veramente ho un figlio…» mi corresse lui squadrandomi di sbieco con l’occhio ceruleo un po’ umido. «…E poi ha vent’anni. E sono giusto vent’anni che mia moglie ha pensato bene di cautelarsi anche chirurgicamente dall’eventualità di darmi un altro pargolo.»
Il tono si era fatto aspro oltre che sarcastico. Non era stata una scelta, quella della consorte, che il conte non aveva evidentemente gradito, né condiviso.
«Allora quella povera donna si è semplicemente sbagliata» feci io ansioso di trovare una conclusione a quel discorso.
«Lo speravo anch’io. Poi ho saputo, poco fa, che la mia amante è incinta.»