Scese dalla macchina che ancora il collega non l’aveva fermata.
«Venga via di lì, presto, ma che fa è matto?» urlò il poliziotto alzandosi sulla punta dei piedi come se questo gli potesse permettere di farsi udire meglio. Il vecchio, le spalle alla galleria Fornaci, aveva posizionato la sedia all’interno del binario della ferrovia, ma non sembrava aver sentito.
«Ma guarda te, questo qui!» fece Persico inerpicandosi tra le ortiche per salire sino alla massicciata. Il collega lo guardava incerto se seguirlo oppure no. Si rese subito conto che l’essere sovrappeso in questi casi non l’avrebbe aiutato. Decise di aspettare sperando che la situazione si sbloccasse da sola e che il capo non avesse bisogno di lui.
«Allora, si vuole allontanare di lì?» gli gridò ancora Persico che intanto aveva raggiunto il muretto di contenimento. Il vento teso che proveniva dal mare gli portava via le parole. Il vecchio, seduto sulla sedia, era impassibile, assorto, la mano sotto il mento e lo sguardo rivolto a un punto lontano tra la collina e la distesa blu della baia. Quando l’agente scelto fu a pochi metri da lui, si voltò spaventato e poi sorrise.
«Venga subito via di lì» lo incalzò imperioso il poliziotto «è pericoloso stare sui binari, ma cosa crede di fare?»
«La linea è stata dismessa da dieci anni, si rilassi, qui è più sicuro che a casa sua…»
Persico non gradì quel tono sfottente e gli chiese i documenti. Nel frattempo il collega, graffiato sulle mani e sul viso per essersi imbattuto in un rovo particolarmente ostico, era arrivato anche lui alla massicciata, inzuppato di sudore. Si sentiva mancare. Persico gli passò la carta d’identità del vecchio.
«Uhmm…» fece Atzeni consultando il documento consumato e diviso in due. «Uhmm… Gerardo Giugno…» e fece un’espressione come se il nome gli avesse ricordato chissà quali precedenti.
«Gérard Jugnot» fece il vecchio contrariato. «Sono di origine francese. Non sa leggere?»
«Senta Gerrrardo Giugnott, di origine francese, lei qui non ci può proprio stare, deve venire via con noi… e anche subito» gli comandò Persico a gambe divaricate per dare l’impressione di essere più grosso e allungando nel contempo il documento che il vecchio però non prese.
«Ma non ci penso proprio» fece quello di rimando e calando entrambe le mani in fondo alle tasche come se avesse paura che gliele potesse rubare. «Fino a quando non avrò avuto la mia ispirazione non mi muoverò di qui.»
«Fino a quando non avrà avuto cosa?» fece Atzeni chiudendo un occhio per il riverbero.
«L’ispirazione, santiddio, mai sentito parlare di ispirazione? Sono un pittore. Sto aspettando l’idea, il colore, la luce giusta…»
I due agenti si guardarono senza capire.
«Una volta…» seguitò il vecchio sbottando «sono stato tre settimane su un albero in attesa dell’idea e un’altra volta, per lo stesso motivo, venti giorni in un’area di sosta dell’autostrada… Ogni tanto mi alzo al mattino, capisco dove mi verrà l’ispirazione e mi ci reco; poi aspetto… Sono un pittore affermato, io, cosa crede? E lavoro così. Che c’è di male in questo?»
«Nulla, signor Giugnott» fece Persico avvicinandosi lentamente. «Assolutamente nulla, se lei non si trovasse però nel bel mezzo di una linea ferroviaria e per giunta a ridosso di una galleria…»
«Mi chiamo Jugnot, testa di rapa, Jugnot, e questa è una linea abbandonata, come glielo devo dire? Non sono cose che dovreste sapere?»
«Senta, lei non può usare questo tono…» gli fece Atzeni indicandolo con il berretto e facendo un gesto come se avesse voluto respingere una pallina con la racchetta.
«Aspetti, aspetti un po’…» esclamò il vecchio all’improvviso mettendosi in piedi con una agilità sorprendente «ma sì… eccola, eccola…».
Gli agenti si guardarono prima tra loro, stupiti, e poi in direzione del punto che il vecchio stava fissando. «Ma è fantastico!» urlò il vecchio cominciando a ballare su stesso dalla felicità «è veramente fantastico!»
«Cosa è fantastico?» chiese Atzeni sforzandosi di capire e allungando il collo.
«Grazie, grazie!!!» fece il vecchio buttandosi giù a capofitto dalla massicciata. «Grazie, davvero grazie» ripeté sparendo alla loro vista.
«Cos’ha visto?» chiese Atzeni al collega.
«Che ne so? Vieni via, Gavino, non lo vedi che quello non c’è con la testa?» gli fece notare l’altro cominciando a scendere verso la macchina «dai, che se n’è andato…»
«No, aspetta un momento» disse salendo sulla sedia e facendosi schermo con una mano sulla fronte «forse ho capito… ecco ecco, laggiù…» fece indicando l’orizzonte.
In quel mentre, silenzioso come una poiana, un treno merci uscì dalla galleria.
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L’ispirazione
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