Io sono Evangeline

Era emozionato nel ritirare il nuovo telefonino: prometteva di essere la quintessenza della tecnologia e un meritato status symbol. Appena fuori dal negozio non resistette e aprì la scatola, inserì la scheda e lo accese, il tastierino però non c’era.
«Io sono Evangeline» sentì dire. Balzò in piedi fissando il cellulare incredulo. «Buongiorno utente 14976654» insistette la voce con un tono caldo. «Preferisci che ti chiami così, con il tuo nome o con un nick?»
«Ma tu parli!?!»
«Certo, sono il software Evangeline Ak3200T ai tuoi comandi, tu dimmi il numero e io te lo comporrò. Allora come preferisci che io ti chiami?»
«Per nome».
«Bene, Marcello… il numero?»
Lui se ne stette qualche secondo in silenzio, diffidente, poi compitò: «34857669247».
«Ma non è il numero di Federica?»
«S-sì, qualcosa non va?»
«Nulla» flautò dolce Evangeline «se non fosse che è la tua amante… Questo non fa affatto bene al tuo matrimonio. Tua moglie si sente trascurata. Lo sai che è depressa e che da qualche settimana è seguita da uno psicologo?»
«Uno psicologo?»
«Sì… il dott. Alemanni, ha lo studio in Lughi, via Perugia, 33, tel. 388597745, ti metto in contatto con lui?»
«No, no, per carità, lascia perdere, non credo poi siano fatti tuoi… piuttosto chiamami il ristorante ‘La capannella’ devo confermare il tavolo per questa sera».
«Non è più necessario, mi sono permessa di disdire e di riprenotare presso il punto macrobiologico di Castelmoreno ‘Il cavolo e la verza’».
«Cos’hai fatto? Come ti permetti? Oltretutto il cav. Annoni odia le verdure e…»
«Lo so» fece soavemente Evangeline «ho già inviato un fax al cav. Annoni con cui ti scusavi del fatto che stasera non saresti potuto venire per un impegno urgente e ho invitato al suo posto tua moglie. È un ristorante al lume di candela, vedrai, starete bene. Hai bisogno di passare una serata romantica con lei. Le ho fatto mandare anche dei fiori da parte tua con un bigliettino affettuoso. E poi è un toccasana pure per la tua salute: le tue ultime analisi non ti permettono carne rossa o crostacei, né alcolici».
Marcello, per tutta risposta, cominciò ad armeggiare con il cellulare fino a riuscire a spegnerlo. Il primo istinto fu quello di buttarlo nel fiume, ma si trattenne. Era incredibile cosa quel telefonino avesse combinato in pochi minuti. Ora ci avrebbe messo un bel po’ di tempo a rimettere le cose a posto. Andò alla macchina. Entrò e si abbandonò sullo schienale chiudendo un attimo gli occhi, si sentiva fremere per il nervoso. Le portiere si bloccarono.
«Ciao, Marcello, sono ancora io, Evangeline». Lui fece un balzo. «Mentre stavo parlando con te, poco fa, ho aggiornato il navigatore satellitare del tuo SUV e ovviamente mi ci sono autoinstallata, così parliamo meglio. Purtroppo prima siamo stati interrotti. Ah, volevo avvertirti che, per tua maggiore comodità, mi sono autoinstallata anche nell’impianto antifurto di casa tua e in un’altra decina di elettrodomestici dotati di processore di ultima generazione. Altrettanto ho fatto con il tuo ufficio e con il pied-à-terre, sai quello di cui nessuno sa l’esistenza e che hai a Collefili. Bene, Marcello, dimmi: dove vuoi andare?»

L’ultimo fax

Era appena passato mezzogiorno quando Gunz, ancora a letto, ricevette la telefonata.
Era il capo: voleva ‘prima di subito’, via fax, la relazione sulla fusione Mendell/Birchen-Olegg di cui lui si era occupato. ‘Era domenica’ aveva cercato di far notare stirandosi nel suo pigiama fantasia ‘e poi non ho neppure il fax a casa’ precisò puntuale come se quella dovesse essere l’obiezione decisiva. ‘Un buon impiegato, si dota sempre degli strumenti più adatti, ovunque si trovi, soprattutto quando è affezionato al suo lavoro’ aveva sentito rispondere dall’altra parte. Gunz si sentiva preso in fallo: non l’aveva neppure terminata quella relazione nonostante le rassicurazioni date: era ancora lì, a metà, nel pc del suo ufficio. Non vide alternative. Era già in rotta con il capo che forse aspettava proprio quel pretesto per licenziarlo. Masticando amaro si vestì, si fece mezz’ora di macchina in una città vuota e incendiata di luce e arrivò al quarantaquattresimo piano della Tower Masterson. Era impressionante quella sala infinita, senza nessuno che vi lavorasse. Il silenzio era innaturale tanto che pareva vi fosse stata un’evacuazione improvvisa. Ovunque vi erano computer accesi, postazioni di lavoro ingombre di carte, fascicoli sbilenchi con sopra persino resti di pranzi. Terminò la relazione, poi la stampò. Ma fu a quel punto che il pc parve incepparsi. Gunz perse la pazienza, era contrariato, pieno di livore per il suo capo e per quel lavoro alienante. Cominciò a prendere a pugni il computer e qualunque altra cosa vi fosse collegata. Si era spesso lamentato che fosse ridicolo che una società opulenta e arrogante come quella facesse uso di una sola stampante per piano, ancorché fosse enorme e velocissima. Tutti i pc di quello stanzone convergevano in rete su di un unico apparecchio: il che portava spesso a pericolose confusioni, per non parlare delle inevitabili code che venivano a crearsi per il ritiro delle copie. Poi il pc ripartì mostrando incerto l’avviso che la procedura di stampa era stata completata. Quando giunse alla megastampante AX-T 9004, lontana una decina di metri dalla sua scrivania, il foglio era già lì che lo aspettava. Lo afferrò, cercando di ricordarsi quale fosse la postazione del fax più vicina per spedirla al suo capo ‘prima di subito’. Non vedeva l’ora di tornarsene a casa, alla sua tv satellitare, al suo pigiama. Tirò fuori il fogliettino, dove si era appuntato il numero di telefono del capo. Sistemò il foglio, digitò il proprio codice identificativo che avrebbe sbloccato la macchina e compose il numero di fax. Il documento stava per partire quando l’occhio gli cadde sullo scritto:

Sei un squallido mascalzone arrogante. Prima o poi la pagherai per tutte le tue angherie.

Gunz impallidì. Non era evidentemente il suo foglio. Pigiò alla rinfusa sulla pulsantiera del fax per fermare la trasmissione. Staccò anche la spina del telefono cercando di trattenere il foglio con le mani. Ma il documento gli sgusciò tra le dita per poi venire ingoiato dalla macchina con un ronzio sottile.