Il suono della pioggia

lei nella pioggiaLa serata non era andata come aveva sperato. Lei gli era sembrata distante, indifferente: un sorriso triste in bilico tra l’ombra e la notte. Era successo qualcosa, se lo sentiva. Avrebbe voluto insistere per saperne di più, ma la reticenza di lei lo aveva trafitto nell’unico punto all’altezza del cuore ove l’armatura che aveva cresciuto per difendersi dal mondo era formata di petali di rose.
E dire che per incontrarla e farsi imprestare la macchina dal padre si era dovuto inventare una scusa. Una maledetta scusa. Se il vecchio avesse scoperto che non era andato da quel suo amico a studiare, questa volta gliel’avrebbe fatta pagare.
Quando si ritrovò in macchina per il rientro, si accorse che era davvero tardi. Aveva più di cento chilometri da percorrere e la pioggia, che nel frattempo era iniziata a cadere con violenza, non l’avrebbe aiutato. Accese il quadro del cruscotto e la spia della riserva allagò di giallo l’abitacolo. A Lughi, con quella poca benzina, non ci sarebbe mai arrivato. Alla stazione di servizio poco distante, al riparo della pensilina, si frugò nei jeans. Alla fine trovò, in fondo a una tasca, due banconote appallottolate da 10 e da 20 euro. Forse sarebbero bastate. Cercò di stirarle prima di inserirle nella slot. Provò prima con quella da 10, ma la colonnina mangiasoldi, che sembrò pensarci su per un po’, gliela risputò con una certa platealità. Il ragazzo guardò l’ora. Gli stava montando il panico. Posò la banconota sul pianale per togliere tutte le pieghe aiutandosi con la chiave della macchina. Avrebbe voluto concentrarsi su quella operazione ma continuava a pensare a lei, al suo bel viso nella penombra incerta, i capelli ramati contro un cielo spillato di stelle. Piazzò nuovamente la banconota davanti all’imboccatura. La colonnina questa volta ci impiegò qualche secondo in più ma alla fine gliela rifiutò ancora. Si guardò in giro per chiedere aiuto; gli rispose solo il fragore della pioggia che formava grosse bolle iridescenti nelle pozzanghere scure. Fece un altro tentativo. La slot, emettendo un verso più gutturale e profondo, agganciò la banconota e la trascinò con gusto nel suo ventre gelido. Il ragazzo sospirò. Nel frattempo un tuono assordante deflagrò sulla sua testa che di istinto abbassò. Stando acquattato inflò la seconda banconota. La colonnina mangiasoldi la spostò in avanti e in dietro, come per assaggiarla, indecisa sul da farsi, poi la ingoiò di slancio. Il ragazzo si affrettò allora ad aprire il bocchettone e il tappo del serbatoio della macchina. Premette il pulsante dell’erogatore e alzò la pistola della pompa del numero corrispondente. In quello stesso istante venne meno la corrente elettrica. Si spensero i neon della stazione di servizio, i lampioni radi sulla strada e una piccola lampada davanti a una villetta. Erano rimasti solo gli abbaglianti della macchina a tagliare in due il nero assoluto di una notte che sembrava voler lottare contro quello sfregio di luce; le gocce di pioggia attraversavano oblique i fasci fumanti andando a perdersi con furia in un’altra dimensione mentre la pompa della benzina si era invece ammutolita, pian piano, come un animale ferito che si arrendesse al proprio destino. Lui si sedette per terra, svuotato: gli mancava il respiro. No, non aveva altri soldi per un altro distributore. Guardò l’ora. Era l’una passata. Sapeva che lei non l’avrebbe potuta chiamare. E nessun amico degno di questo nome sarebbe mai venuto in suo soccorso a quell’ora, con quella pioggia, e da così tanto lontano. Guardò ancora l’orologio. Era sempre l’una passata. Attese immobile che tornasse la corrente come se quella fosse l’unica soluzione al problema. Il vento, intanto, continuava a sbattere con ottusa ostinazione, l’un contro l’altro, i cartonati della pubblicità aumentando il senso di desolazione di quel luogo. Capì allora che l’unica vera soluzione era chiamare il padre. Sarebbero stati litigi a non finire e insulti e alla fine qualche punizione esemplare. Ma non poteva rimanere lì. Compose il numero. Quando, senza quasi neppure uno squillo, sentì dall’altro capo del filo quella voce tanto amata e tanto odiata, voleva chiudere la comunicazione; ma avvertì che in quel timbro non c’era né rabbia né ostilità ma, per la prima volta, una nota di cupa tristezza. Il ragazzo spiegò ogni dettaglio e quindi si chiuse nel suo solito mutismo aspettandosi il peggio. ‘Arrivo immediatamente’ sentì unicamente dire e poi più nulla, solo il battito del suo cuore.

La vettura aveva già lasciato la stazione di servizio per raggiungere il luogo dell’appuntamento quando nella piazzola giunse un altro veicolo. Ne scese una persona che si guardò attorno incuriosita per il fatto che fosse tutto buio. La ragazza girò con aria spavalda attorno alle pompe di benzina quasi cercasse l’interruttore. Come aveva visto fare tante altre volte alla madre con il televisore di casa, diede una manata a un erogatore; bastò qualche secondo perché si accendessero tutte le luci della stazione di servizio, della casa vicina e sulla strada. La ragazza, soddisfatta, stava per inserire una banconota quando la colonnina mangiasoldi si mise a ronzare pensierosa per qualche attimo: al termine, partorì silenziosa uno scontrino. Lei, con un gesto automatico, si ravvivò i capelli ramati per la sorpresa. L’inchiostro era sbiadito, ma, con un po’ di sforzo, riuscì a leggere:

Buono di euro 30 per carburante non erogato, riscuotere alla cassa. Ci scusiamo per il disagio’.

L’attraversamento

Si erano appena seduti in macchina, pronti per partire. Avevano aspettato invano che la pioggia si attenuasse. Adesso però stava piovendo anche più forte di prima, mentre il vento provava a piegare le cime dei cipressi come per accertarsi d’essere capace di schiantarli.
«Dobbiamo andare, si sta facendo tardi» le disse il marito come fosse la conclusione di un lungo discorso. Lei, preoccupata, assentì. Presero a percorrere lentamente la strada del ritorno, a tratti già allagata, sotto le luci incerte dei lampioni della campagna. Il tergicristallo toglieva in modo disordinato la pioggia dal parabrezza con un rumore gommoso e ipnotico.
«Vai piano» gli raccomandò lei senza alcuna espressione.
«Più piano di così, mi fermo» rispose lui sgarbato.
Le solite parole che si dicevano in frangenti simili, parole vuote per vincere l’oscurità inquietante. Per un po’ non si dissero più nulla. I fossi, a lato della carreggiata, straripavano d’acqua tanto che raganelle e topolini cercavano di salvarsi attraversando la strada.
«Te li stai facendo su tutti» disse lei con aria di rimprovero. «Non cerchi neppure di evitarle quelle povere bestiole…»
«Non è colpa mia, cara, li vedo all’ultimo momento. Piove troppo forte.»
Non era vero che non li vedesse, perché stava ridendo sommessamente cercando di non farsi notare da lei. Sì, non gliene importava proprio nulla. Peggio per loro se finivano sotto il suo SUV. E poi non gli dava neppure fastidio, era come passar sopra a dei fogli di carta.
«Quella è una rana!» fece appena in tempo ad avvertirlo la moglie. Un attimo dopo l’uomo se la sentì sotto la ruota. «Stai attento! E possibile che devi fare questa strage?» gli disse adesso in modo sprezzante facendolo innervosire. La donna cominciò a parlare a mezza bocca, tra sé e sé, segno di una montante rabbia. «Cos’è quello?!?» urlò all’improvviso lei prendendolo per il braccio. Il marito si spaventò e finì per frenare. Effettivamente c’era qualcosa in mezzo alla strada, sembrava un fagotto scuro, ma si muoveva. «È un rospo!» urlò ancora lei. «Fermati fermati, ti prego, non tirarlo sotto.» Il marito rallentò fino a fermarsi. Ora lo vedeva bene: era un grosso rospo rossiccio dalla pancia grigia. Era immobile, la zappetta aperta sulla striscia di mezzeria, pareva aspettare. Dalla bocca fuoriuscivano piccole bolle trasparenti. L’uomo stava per dire alla moglie che non poteva star attento a tutti i rospi della valle quando dal fogliame sulla destra uscì un altro rospo saltellante in rapidi balzi e quindi, al seguito, tre piccoli che arrancavano. La pioggia ora era leggerissima e persino il vento aveva smesso di soffiare. La scena sotto le luci del SUV era irreale, quasi finta, buona per qualche documentario ecologista. Poi gli arbusti sulla destra tremarono ancora. La donna guardò il marito come per dirgli “hai visto com’è bella la natura?” quando dai cespugli fuoriuscì il muso massiccio di un coccodrillo; si slanciò in avanti con il corpo afferrando con la bocca i rospi davanti a sé facendone un solo boccone. Poi lentamente iniziò ad attraversare la carreggiata caracollando ad ogni passo. Giunto all’altezza della ruota anteriore di sinistra della macchina l’azzannò con violenza come fosse una preda pericolosa. Lo pneumatico si afflosciò all’istante facendo inclinare il SUV da quel lato. Per lo spavento l’uomo lasciò andare la frizione: il motore fece un salto e si spense. Il coccodrillo subito si alzò minaccioso sulle zampe anteriori guardando l’uomo negli occhi; sbuffò con forza più volte nell’aria silenziosa e fredda della notte: poi proseguì, intanto che la luce ormai sghemba della macchina faceva brillare i suoi cinque metri di lunghezza che sparivano nel nulla.

Il gelo e la luna

giardino notteIl gelo incrostava i rami di quercia e l’erba bassa si stava rattrappendo sotto i colpi violenti del vento. Aveva preso a piovere forte, come se nelle ultime quarantotto ore non avesse fatto altro. Nel buio della sera, calato all’improvviso, le sferzate d’acqua colpivano i vetri delle finestre quasi la notte bussasse con insistenza per trovar riparo.
La famiglia era rintanata in cucina, attorno all’alito caldo della stufa e ai fuochi azzurrini accesi sotto le pentole. L’uomo anziano si era sistemato con la sedia accanto al piccolo televisore, un po’ perché non ci sentiva e un po’ perché la moglie, come al solito, stava litigando con la figlia, sicché del suo telefilm preferito capiva solo una parola su quattro.
«Non capisco come tu faccia a dire una cosa simile, mamma…» le disse la ragazza sbattendo sul tagliere il pezzo di carne che stava steccando. «Giulio è un bravissimo ragazzo, si dà da fare come può, cerca solo di essere economicamente autonomo, in modo da non dipendere dai suoi, e ha pure intenzione di andare avanti con gli studi.»
«Non è affatto vero, e tu lo sai» ribatté la madre. «Sono mesi che riprova a dare lo stesso esame senza riuscirci. Come si fa del resto a concentrarsi nello studio andando in giro fino alle tre di notte nelle discoteche?»
«È che fa il fotografo free-lance, mamma, e incontra lì i suoi clienti, non vedo cosa ci sia di male…»
La madre arrestò per aria il coltello sopra alla cipolla tritata. Chiuse gli occhi che le bruciavano e seguitò:«solo tu non ti rendi conto che ti sta prendendo in giro. Che razza di persona è quella che trova le scuse più strane per non uscire con la sua ragazza al sabato sera?» La figlia non riuscì a ribattere, limitandosi a mordere il labbro inferiore. Il trito intanto sfrigolava nella padella reclamando di essere girato mentre il padre sospirava rumorosamente attirando così l’attenzione di sua moglie. Lo vide curvo in avanti, con due maglioni addosso che lo ingobbivano, la faccia di sbieco e una strana espressione sul viso.
«Tuo padre da qualche giorno mi preoccupa seriamente, lo sai?» fece la donna indicandolo con il coltello, a bassa voce, certo che lui non l’avrebbe sentita. «Non è più lui…»
«La verità è che Giulio non ti è mai stato simpatico… perché è meridionale… ecco perché…» fece la ragazza, imperterrita, sapendo che quella frase sarebbe suonata alla madre come una dichiarazione di guerra. Tra le due scoppiò così un feroce litigio, facendo a gara a chi urlava di più, tanto da non ascoltarsi, sin da subito, l’un l’altra. E l’epilogo fu che la figlia finì in camera sua a piangere sul letto, lasciando la madre in cucina in preda ai sensi di colpa. La donna continuò a cucinare, ora meccanicamente e più svelta, quando ebbe un brivido di freddo. Nella stufa era rimasta solo brace e, nel cesto, la legna era finita.
«Osvaldo, mi vai a prendere dell’altra legna, per favore?» chiese voltandosi verso il marito. La sedia però era vuota e la tv spenta: non se n’era neppure accorta. Uscì dalla cucina e alla base delle scale lo chiamò più volte, certa che si fosse rifugiato al piano di sopra per vedersi in pace, all’altra tv, il telefilm. Non rispose: si sentiva solo lo scroscio incessante della pioggia sul tetto del casale.«Aiutami a cercare tuo padre…» comandò la donna irrompendo nella camera della figlia «Non capisco dove possa essere…». Cercarono in cantina, nel bagno, in soffitta. Poi l’occhio della moglie cadde fuori, in giardino. Nel buio della sera qualcosa di bianco si ergeva sotto la pioggia dirompente come un fantasma. Era il marito, seminudo, immobile, le braccia conserte come se aspettasse qualcuno. Guardava la luna da uno squarcio lontano tra le nubi.

Un passaggio in autostrada

Gli scrosci erano violenti e il ragazzo cercava di ripararsi come poteva sotto la stretta pensilina del casello. Le macchine entravano in autostrada distratte, ignorando quell’ombra grigia. Se si fosse piazzato più avanti, sotto i coni di luce della stazione, si sarebbe infradiciato del tutto. Un’auto però si fermò.
«Grazie» fece il ragazzo cercando di sistemare alla bell’e meglio lo zaino sul sedile posteriore. «La ringrazio davvero, devo essere zuppo, mi spiace». Il giovane sfoggiava una divisa ordinata da scout. Le gambe sbucavano dai calzoncini, livide di freddo, e per un po’ si tenne in capo il cappello dalla larga tesa.
«Dove vai?» gli domandò brusco l’uomo con la sigaretta in bocca.
«Verso nord, più va in su, meglio sarà per me».
L’uomo non disse altro. Il telepass alzò diligentemente la sbarra per farlo passare e lui prese il raccordo come se percorresse un binario prefissato. All’imbocco s’infilò nel flusso senza guardare. Un camion frigo che proveniva da tergo, per evitare la collisione, frenò bruscamente sbuffando in un fumo denso e amaro. Il ragazzo si tenne alla portiera e al sedile. Si era fatto pallido.
«Dobbiamo per forza andare così forte?» chiese come se parlasse a se stesso.
L’uomo per tutta risposta calò il finestrino di una spanna. Lanciò nel buio il mozzicone di sigaretta che attraversò come una cometa l’opposta corsia. «Sì, dobbiamo» sentenziò. Poi si spostò sulla corsia di sorpasso e cominciò ad accelerare. 130/140/150. La strada si stava stringendo sotto l’effetto della velocità e le vetture superate parevano risucchiate all’indietro dal vortice d’aria. 160/170/180.
«Mi faccia scendere, la prego» supplicò il ragazzo che aveva gli occhi sbarrati. Ma la macchina aumentò l’andatura infilandosi tra TIR ciondolanti e vetture più lente. «La prego, si fermi, la prego».
L’uomo guardò il ragazzo con uno sguardo opaco che pareva quello di un cieco. Si chinò verso di lui e aprì con calma il vano cruscotto da dove estrasse una Colt Python calibro 357 Magnum. L’inox dell’arma luccicò per un attimo nell’abitacolo.
«Cosa vuol fare? Ma è impazzito?» ebbe appena il tempo di dire il ragazzo mentre la vettura scivolava sui 200 km all’ora.
L’uomo sorrise appena poi si mise la pistola sotto il mento e si sparò.

Mai più

L’aveva aspettata a lungo. Aveva lasciato che il cuore si liberasse dagli affanni, sgombrando la mente dai sogni opprimenti. Pioveva, il cielo pioveva. Lavava i marciapiedi, gli sguardi distratti dei turisti che attraversavano di fretta. Aveva aspettato quella donna in modo ineluttabile, come si aspetta che sbocci una gemma per rendere vivo il ramo indurito dal freddo; l’aveva attesa tra una goccia e l’altra, senza poterle contare, quelle gocce, meravigliato dell’immensità del tempo che si sposta nell’anima trascinando via ogni cosa. Non c’era sedia o letto che potesse contenere quell’attesa. Si era accorto che anche le proprie mani erano piccole e anche le braccia e il cielo attorno. Lo sguardo giù dalla sponda lisciava a raso le onde grigie, una dopo l’altra, senza poterle contare, quelle onde, stupito dalla vastità della propria tristezza che spostava i monti e riempiva le valli. E ora che lui era lì, dentro di lei che si avvinghiava attorno a quell’amore finalmente possibile, lui di colpo aveva capito che non l’amava più. Senza un perché, senza una ragione spiegabile, senza una giustificazione cui aggrapparsi. La sua vita era semplicemente migrata altrove, senza preavvertire, senza scusarsi, prosciugandolo di emozioni e sentimenti e lasciandolo così come una pietra che respira. Più lei lo guardava con passione, più lui si sentiva perso, più lei lo avvolgeva con il suo amore grato, più lui si sentiva soffocare dentro alla sua l’angoscia montante. Faceva ancora l’amore, lui, ma era già un estraneo persino a se stesso, con nella mente solo la strada del ritorno. E la strada del ritorno nella sua mentre si era fatta lucida. Sembrava davvero fossero piovute lacrime sul selciato ottuso, anziché la pioggia indifferente; sembrava che la gente avesse smesso di parlare o di pensare, mettendosi a piangere al suo passaggio, mentre lui percorreva una via che non l’avrebbe portato mai più da nessuna parte.