Bagni Marinella

balena - scultura - sabbiaEra l’ultima settimana della stagione e occorreva inventarsi qualcosa per promuovere quella successiva. Così, parlando con gli altri titolari degli stabilimenti del litorale, ci si era messi d’accordo su una gara di sculture di sabbia con tanto di propaganda pubblicitaria, cena finale sulla spiaggia e passaggio mediatico. Io ero contenta per questa soluzione perché Carlo, mio marito, è un artista in questo settore, anche se le sue capacità non erano note agli altri proprietari. L’avessero saputo, infatti, non avrebbero mai proposto una competizione simile.
La mia felicità per questa fortuna insperata durò poco, fino a quando cioè Carlo, a sera, non mi ricordò che il giorno in cui la manifestazione si sarebbe tenuta lui si sarebbe trovato a Roma, come programmato da tempo. Me ne ero proprio scordata. E adesso ero nei guai.
Feci un giro di telefonate per cercare un valido sostituto tra amici e conoscenti, ma nulla.
«Perché non provi tu?» mi chiese mio marito. «Io ti faccio il disegno e tu, dopotutto, qualcosa sai fare; vedrai che te la cavi. L’importante, poi, è far parte di questa kermesse.»
Io ci credevo poco. Soprattutto perché sapevo che ai Bagni Teresina ci sarebbe stato il vecchio Palmiro che aveva già vinto diversi premi sulla costa adriatica. Ci avrebbe surclassato. E poi, a dirla tutta, a me piace vincere e sapevo bene di non essere granché. Ma non per questo mi diedi per vinta.
Il giorno della gara iniziai presto. Il progettino che mi aveva preparato Carlo era molto semplice ma di grande effetto. Mi fu subito chiaro però che non ce l’avrei mai fatta. Mi mancava la manualità e la tecnica. Dopo appena mezz’ora mi ero già seduta sul bagnasciuga a guardare sconsolata il mare.
«Posso aiutare?» sentii dire alle mie spalle. Era un giovane africano, magro e alto, i denti un po’ sporgenti in un viso sincero.
«Devo fare una scultura di sabbia di almeno due metri cubi. Ma non sono brava» gli spiegai rimirando la paccottiglia informe di sabbia che avevo iniziato a lavorare. Lui ascoltò, poi alzò le spalle.
«Io al mio paese qualcosa ho fatto» e senza aspettare che gli dicessi ‘va bene, cerchiamo di fare insieme qualcosa, ecco questo è il disegno’, entrò nella buca che avevo abbozzato e cominciò a lavorare di pala.
Mi accorsi subito che lui la manualità ce l’aveva davvero. Senza aver fatto un minimo progetto in poco tempo realizzò una bellissima balena nell’atto di librarsi fuori dall’acqua in un salto plastico. Lavorò senza sosta per ore arrivando a delineare, non solo la realistica fisionomia del cetaceo, ma anche le onde del mare e persino gli spruzzi di schiuma. E questo per decine di metri cubi di sabbia. Ero senza parole.
Venne la televisione e i giornalisti, una folla di bagnanti oltre ai proprietari degli altri stabilimenti. Tutti estasiati. La giuria non ebbe dubbi: avevamo vinto. Anzi stravinto.
A cena ci rilassammo un po’; era stata una bella stagione anche se non al pari degli altri anni, vista la situazione pandemica; per finire c’era stata una bella gara emozionante che aveva portato tanta pubblicità a tutta la costa e a me in particolare; ci godemmo quindi il ricco menu a base di pesce e frutti mare. La luna e i suoni dolci della risacca fecero il resto.
Ma a un certo punto, guardandomi in giro, mi accorsi che mancava proprio lui, l’artefice della vittoria dei miei Bagni. Lo cercai senza trovarlo. Poi andai alla scultura. Era ancora lì, in riva al mare, che lavorava ancora alacremente come se avesse iniziato dieci minuti prima e non da dieci ore. Aveva aggiunto alla balena un tripudio di delfini, di tritoni e sirene, e di strane creature del mare. Un capolavoro.
«La gara è finita, vieni, andiamo a cenare…» gli dissi tendendogli la mano «sei stato bravissimo. Hai vinto il lettino e l’ombrellone in prima fila per tutta la prossima stagione nello stabilimento balneare che preferisci. Ora riposati.»
«Io non sono qui prossima stagione. Io torno a casa, ora, a Madagàscar…» disse alzandosi in piedi e fermandosi, finalmente. Fece qualche passo indietro per ammirare la sua opera e annuì:
«Sì, può andare…» poi si girò su stesso e se ne andò, così come era arrivato, senza neppure accomiatarsi.
La sua uscita di scena fu così repentina che non seppi cosa dire per trattenerlo.
Poi mi venne in mente.
«Non so neanche il tuo nome…» gli feci al suo indirizzo. Ma lui era stato già inghiottito dalle ombre della sera. Ed erano rimaste solo le sue orme.