Scrutò il cielo attraverso il vetro della finestra. Era una bella giornata di sole e avrebbe potuto fare la sua passeggiata. Si vestì con calma, nel suo modo metodico e le sue routine. La donna che lo aiutava a tener a posto casa era efficiente e da tempo si era abituata al suo ordine maniacale. Quando da ultimo fu soddisfatto del suo aspetto che lo specchio della camera gli restituiva, prese il sacchettino con il cibo avanzato del pranzo. I gatti di Via degli Armonici avrebbero mangiato anche quel giorno.
A passo lento, come i suoi 75 anni gli consentivano, si diresse, come sempre, verso il fiume. Gli piaceva vedere l’acqua infrangersi sotto i piloni tozzi del Ponte Romano trasportando le cose più varie che la scelleratezza degli uomini affidava al fiume. Di lì si portò alla Farmacia degli Inglesi per comprare la medicina per la pressione e quindi allungò fin verso Piazza Ghega dove, da qualche giorno, avevano iniziato lo scavo per la nuova fermata del tram; poi, finalmente, andò dai suoi mici. Aveva in particolare fatto amicizia con uno di loro, nato da poco, che cercava sempre di intrufolarsi nel suo cappotto per farsi portare a casa. L’aveva chiamato Oreo per il colore del suo manto; era un arruffato batuffolo di pelo che faceva tenerezza solo a guardarlo. Infine, i giardini della Stazione: quando era bel tempo come quel giorno si sedeva sulla sua solita panchina. Gli piaceva osservare la gente, la variopinta e imperscrutabile gente. Quella che passava di fretta o per ingannare il tempo, le mamme premurose dietro a figli capricciosi, uomini in età da lavoro o ragazzi di ritorno da scuola. Gli piaceva esaminarli affaccendati nella loro quotidianità, immaginando storie strambe e vite vissute. Sì, si stava godendo quell’inverno mite pensando a cosa si sarebbe preparato per cena.
E poi sentì un fischio lungo nella sua testa, così assordante che temette gli potessero sanguinare le orecchie. Poi un suono più breve, dolce, un trillo di tre note, come di un carillon.
Si alzò come un automa. Il suo passo era deciso, sicuro, determinato. Si diresse verso la Stazione accorgendosi che sapeva bene cosa fare anche se non capiva perché ne fosse a conoscenza. Superò la biglietteria perché il biglietto era riposto ben piegato nel portafoglio: sapeva anche quello. La sua destinazione era il binario 12, per Collefili. E infatti il treno delle 16.02 era lì che lo attendeva. Fece appena in tempo a salire che il regionale partì. Solo mezz’ora di viaggio. Giunto a destinazione, si portò al vicino Centro Direzionale, davanti all’uscita D6 e attese. Non aveva la minima idea del perché dovesse essere in quel luogo e a quell’ora. Dalla porta girevole principale, entravano e uscivano tanti uomini d’affari. Poi ne uscì uno in particolare che in qualche modo riconobbe. Aveva un cappello a larga tesa, come quelli di una volta, e una borsa marrone gonfia di chissà cosa. Allora capì e si mosse dall’ombra che il pilastro del porticato proiettava sul lastrico e andò incontro al suo uomo. Dalla tasca destra del suo cappotto sgusciò un coltello serramanico che non pensava affatto di avere, ma che invece era lì. Lo fece scattare all’interno della manica e in una frazione di secondo, nel tempo in cui gli passò accanto, gli allungò un fendente nella pancia girandolo a destra come una chiave. L’uomo con il cappello si bloccò all’istante come se fosse rimasto agganciato alla porta da cui era uscito e, piegate le gambe, cadde bocconi.
Poi, così come era venuto, il vecchio si allontanò di tutto comodo mentre la gente alle sue spalle si era messa a urlare soccorrendo il malcapitato al centro di una pozza vermiglia.
Prese il treno delle 17.15. Un viaggio di ritorno tranquillo in uno scompartimento vuoto. All’uscita della Stazione si risedette sulla sua panchina ai Giardini ancora pieni di persone. Lo colse nella testa lo stesso fischio violento di un’ora e mezza prima e, dopo qualche secondo, le tre note di carillon.
Si sentiva bene, rilassato, sereno.
Guardò l’ora, non capacitandosi di quanto tempo fosse rimasto lì, e si alzò per tornare a casa.
«Lo devo proprio portare via con me, Oreo, un giorno di questi…» si disse sorridendo del suo pensiero «…sono sicuro che mi farebbe tanta compagnia.»
Non mi aspettavo fosse capace di un simile gesto…. bel pezzo come sempre!
Mi piace molto come scrivi e quel tocco gentile di mistero con cui vesti i tuoi racconti. Grande Maurizio!. Grazie. E colgo l’occasione per farti i miei migliori auguri di Buon Natale. Sii felice.
Grazie Laura. A essere felice ci proverò.
Anche questo una perla mio caro. Mi piace il tuo modo di scrivere, come il mio direi senza però la tua bravura. Un bacio. Isabella
Grazie, caro Briciola 🙂
Vicky
Scombussola anzichenò.
Un saluto.
Univers
Caro Briciola, perfetto come sempre. All’inizio ci sono un paio di frasi che andrebbero limate, ma la loro limitata e minore imperfezione nulla tolgono alla bellezza del tutto. Il comportamento del vecchio ricorda la maledizione dello scorpione di giada di woody allen, solo che qui il mandante rimane sconosciuto e l’insensatezza dell’omicidio, da un lato, e la sensatezza del rigore e dell’ordine della sua vita, dall’altro, sostengono un sentimento di precarietà che forse a causa del mio personale essere attuale sento sia la chiave del racconto. Al solito bravissimo. Sandro
Via degli Armonici😁😅
Mi piace questo brano incentrato sui mici… Tranquillizzanti tanto da essere da soli i protagonisti più del protagonista… Soprattutto Oreo…
Ho pensato che ha ucciso il se stesso del passato…uomo d’affari con chissà quale magagne in quella borsa gonfia, e ora la docezza di Oreo, la pace.
Mi è piaciuto leggerlo perchè è scritto benissimo. Complimenti.
Interpretazione molto interessante la tua…
Grazie.
Sinceramente con alcuni tuoi racconti mi diletto a cercare oltre…mi affascinano.
Sconvolgente.
E se l’aspettativa di qualcosa di tenero e puccioso, fosse essa stessa qualcosa di tenero e puccioso?
🤔😂😉
Dunque vediamo, l’anziano potrebbe essere una spia dormiente, forse russa o cinese; insospettabile per l’età, e soprattutto perché è inconsapevole di ciò che a volte gli viene ordinato di fare. Ovviamente la donna che fa i lavori di casa lo “gestisce” psicologicamente, e gli procura ciò che occorre per compiere la missione.
Intrigante, mi piace. Però hai deluso chi pregustava qualcosa di tenero e puccioso!
🐱😏😁
Chi è rimasto (forse) deluso si confonde probabilmente con qualche altro Briciolanellatte; me ne sono sempre guardato bene dallo scrivere “qualcosa di tenero e puccioso” sicché non ci può essere una aspettativa simile.
Manchurian Candidate 🙂
Buongiorno e buona Domenica, ho letto con piacere anche questo tuo racconto e ti chiedevo la possibilità di ribloggarlo martedì prossimo, sempre con le dovute attribuzioni e links, su http://www.lemiecose.net.
Puoi farlo senz’altro, buona domenica anche a te
Grazie mille.