La Zona HH21

Anche se ormai aveva quasi settant’anni gli piaceva ancora svegliarsi e guardarsi attorno lasciando vagare il pensiero. Senza occhiali gli oggetti comuni gli apparivano diversi. Un girasole stilizzato di Thun con accanto un libro erano diventati una macchinina giocattolo che, posizionata in modo ortogonale rispetto allo scaffale, cercava con il muso di passarvi attraverso per arrivare allo scaffale successivo. Sorrise.
«Presto, papà, presto vieni!» urlò la figlia entrando nella stanza.
Le aveva detto tante volte di non farlo. Odiava essere svegliato di soprassalto. Anche se poi non dormiva affatto. Ma non era quello il punto.
Erano appena passati pochi secondi quando Dana rientrò nuovamente.
«Un bracconiere è entrato nel recinto dei rinoceronti bianchi, adesso che facciamo?»
All’interno del parco c’era una zona lontana, di due ettari, l’HH21, riservata ai due unici rinoceronti bianchi rimasti al mondo prima dell’estinzione. Il fatto che si aggirasse da quelle parti un bracconiere non era proprio la notizia che avrebbe voluto sentire di prima mattina.
«Abbiamo la jeep con il motore fuori uso, Dana, lo sai, ed è troppo lontano per arrivarci a piedi oltre ad essere pericoloso.»
«Chiama la Guardia Civile, allora, devono intervenire, subito…»
Dana era agitata. Andava avanti e indietro per la stanza, buttando ogni tanto l’occhio sullo schermo buio del computer. Il bracconiere aveva trovato subito la webcam e l’aveva distrutta.
«Oddio, oddio… la mia Najin, la mia Fatu…» ripeteva mettendosi le mani sul viso «fai qualcosa, pa’, fai qualcosa, ti prego…»
Gli si stringeva il cuore quando la vedeva così. Fece una smorfia e si risolse a a telefonare all’Ispettore capo. Makena Mutoka lo prese come al solito in giro, meravigliandosi che quei due rompiballe di rinoceronte fossero ancora vivi. Non smetteva di ridere. Ma poi aveva promesso che sarebbe andato a dare un’occhiata, non appena però qualcuno gli avesse dato il cambio in ufficio, visto che era solo.
Lui riattaccò e Dana gli lesse sul viso la risposta.
L’uomo rimase per un po’ in silenzio con la mano che non riusciva a staccarsi dal ricevitore e poi disse:
«Hanno saputo della jeep rotta e ne hanno approfittato…» commentò lui sconsolato.
Dana all’improvviso staccò dalla rastrelliera la carabina, mise una manciata di munizioni in tasca e fece per prendere la porta.
«No, non vai da nessuna parte, Dana. A piedi, saresti lì solo fra quattro o cinque ore. Troppo tardi, in ogni caso. Senza contare che devi attraversare Agawananga che pullula di leoni…»

Così passò tutto il giorno e tutta la notte.
La Guardia Civile non aveva richiamato, segno questo che non si era neppure mossa. Com’era prevedibile.
Per fortuna quella mattina avevano riportato la jeep riparata e si poteva partire.
Per tutto il viaggio Dana si chiuse in un mutismo inquietante. Aveva ragione: le previsioni non potevano che essere le più nere. Non sarebbe mai riuscito ad abituarsi alla scelleratezza dell’uomo, pensò.
Giunti alla Zona HH21 scesero lentamente dalla jeep. Entrambi stavano perdendo tempo per non dover vedere quello che temevano.
Perlustrano la radura fino alla Punta Kowetho e poi, dietro un masso, lo trovarono.
Era il cacciatore. Era stato prima incornato e poi calpestato a morte.
Dana si inginocchiò piangendo. Non ci poteva credere. Di lì a pochi secondi uscirono allo scoperto prima Najin poi Fatu che guardarono i due intrusi con diffidenza. Annusarono un po’ l’aria e poi corsero via.
«Ben gli sta…» disse Dana tirandosi su.
«Non era qui per cacciare» disse lui indicando una macchina fotografica professionale accanto al corpo, quasi sbriciolata. «Non era qui per cacciare!»

15 pensieri su “La Zona HH21

  1. E la morale della storia è: se non sai che i rinoceronti non capiscono la differenza tra una macchina fotografica e un fucile, limitati a visitare il parco di Jellystone, dove al massimo l’Orso Yoghi ti ruberà il cestino della merenda.
    😉

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