L’evaporatore

 

L’uomo anziano la guardava preoccupato. La donna aveva un aspetto teso, sembrava muoversi a scatti in quella piccola cucina.
«E questo che cos’è?» chiese il vecchio indicando con il mento un elettrodomestico a metà strada tra un frullino e una piccola bilancia.
«È un evaporatore di nuovo conio» rispose la donna senza neppure girarsi continuando ad assemblare la macchina per il caffè. «Ora basta premere quel pulsante rosso e via…»
«Hai ricevuto un evaporatore e non mi dici nulla?» domandò l’uomo con una voce che gli uscì rauca.
«Sì, hai ragione…» fece lei voltandosi di colpo e gettando un’espressione di sfida. «… ma te lo dico adesso: devo autoeliminarmi entro le ventiquattro di oggi.»
«Ma al Centro Demografico sono impazziti? Tu non hai neppure trent’anni, non possono fare una cosa simile.»
La donna si rigirò verso il lavello abbassando la testa. Sotto la spinta insostenibile della crescita demografica, a partire dal 2105, il Centro di Controllo non badava oramai né più all’età, né all’estrazione culturale, né alle mansioni sociali della gente. Le risorse mondiali erano agli sgoccioli e gli essere umani erano troppi, molto al di sopra del mantenimento sostenibile: così le richieste di eliminazioni pianificate si erano fatte sempre più pressanti e frequenti.
«Non potresti far finta di non averlo ricevuto?» domandò ingenuamente l’uomo che si era messo una mano sulla guancia come per rassicurarsi.
«E’ tutto inutile, ho dovuto firmare per riceverlo. E sai anche cosa succederebbe se non si ottemperasse. Verrebbe la Guardia Nazionale e porterebbero via tutta la famiglia nei Campi di Smaltimento Forzato.»
«Ma tu hai un figlio, un marito…» mormorava l’uomo cercando vuote giustificazioni.
«Lo so, papà» disse lei che non aveva il coraggio di muoversi. «Hai proprio ragione; non fanno ormai più alcuna distinzione. Io ho trent’anni, un bimbo piccolo… »
Il vecchio tacque. Poi la figlia continuò:
«Tu hai invece avuto la tua vita… hai passato i settant’anni, sei in pensione, non hai il problema di mandare avanti la casa, di crescere un figlio di accudire a una famiglia. E hanno invece scelto me. Per il Centro un’esistenza vale l’altra, non è giusto, loro ragionano solo con le statistiche.»
«E me lo dici così? A tuo padre?» fece lui con la voce rotta dall’emozione.
Ora fu la figlia a rimanere senza parole. La cucina piombò nel silenzio che sarebbe stato assoluto se non fosse stato per il finto tic tac registrato dell’orologio atomico sopra la porta. Poi si sentì come un soffio d’aria, la donna si girò spaventata. Sulla sedia del padre, rimasta vuota, c’era solo uno sbuffo di vapore che aveva lasciato nell’aria un odore acre di carne bruciata. Il pulsante rosso dell’evaporatore era intermittente, segno che era stato appena azionato.

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