E calò anche il silenzio

Aveva avvertito nella stanza un sommesso tramestio. Sulle prime credette fosse la sua gattina. Lo faceva spesso di uscire durante la notte dalla camera da letto per poi rientrare, di soppiatto, attraverso la porta lasciata accostata. Ma no, non era affatto lei.
Capì invece che era sua moglie che di solito si alzava molto prima di lui, più per abitudine che per necessità. Gli si era accostata pian piano, al bordo del letto, in un modo che di solito non faceva mai. O lo lasciava infatti sempre dormire fino a quando non era il momento in cui lui decideva di alzarsi di suo oppure, se proprio aveva necessità di parlargli, lo svegliava subito, direttamente, senza attendere nemmeno un secondo; come quella volta in cui, nel cuore della notte, aveva sentito un rumore in giardino ed era venuta a chiamarlo, spaventata perché potevano essere i ladri. E invece si scoprì che era una bellissima volpe, che già da qualche tempo arrivava furtiva la notte, dal vicino bosco, a caccia di qualche tortora ritardataria.
E ora lei era vicino a lui, titubante, incerta sul da farsi. Lui non poteva vederla perché era girato su un fianco dando le spalle proprio al lato del letto in cui lei si trovava. Non si decideva. Lui rimase così in ascolto, tanto da credere addirittura che lei se ne fosse andata, che ci avesse ripensato, che, dopo tutto, qualunque cosa avesse voluto chiedergli, avrebbe potuto aspettare.
No, lei era ancora lì, dubbiosa, accostata al lenzuolo, tanto che il letto al contatto tremava appena; la sentiva spostare il peso, nervosamente, da un piede all’altro: deglutiva, si schiariva sommessamente la voce.
Sentì poi all’improvviso la sua mano lieve sulla spalla. Lo scuoteva in modo dolce, chiamandolo.
Così lui finalmente capì.
Passando davanti alla camera da letto, non lo aveva sentito respirare in quel suo solito modo un po’ rumoroso, né lo aveva sentito russare. Allora si era insospettita. Forse c’era qualcosa che non andava, avrà pensato. Era solo una fuggevole stupida sensazione che l’aveva portata in quella stanza e voleva essere rassicurata. Ma nello stesso tempo lei non voleva spaventarlo, né svegliarlo; per quella sciocchezza poi, che le era passata per il capo. Di lì a un momento, avrà sicuramente pensato, lui mormorerà qualcosa tra le labbra intorpidite girandosi verso di lei, e chiedendole cosa stesse accadendo. Perché non poteva che essere così. Era sempre successo così.
Ma quella volta la mano sulla spalla non sortiva alcun effetto; allora iniziò a scrollarlo in modo più deciso facendo il suo nome con insistenza, in modo più chiaro e a voce normale.
Lui avrebbe voluto a quel punto voltarsi per dirle che l’amava, anche per quelle attenzioni che, dopo trentacinque anni di vita insieme, sapeva ancora riservargli. Ma non ce la faceva. Il cervello comandava di muoversi ma i suoi muscoli erano come scollegati, immobili, di sasso.
Nel frattempo, sua moglie cominciò a chiamarlo sempre più forte e alla fine lo girò con forza tra le lenzuola. Accese anche la luce sul comodino. Così si accorse che i suoi occhi erano immobili, aperti, la pupilla sbarrata. Lui la vedeva ancora in una maschera impietrita. Lei si mise a urlare, a disperarsi, a piangere. Sarebbe stato bello consolarla. Asciugare le sue lacrime. Dirle che, dopotutto, non doveva preoccuparsi, che andava tutto bene. Era la cosa più naturale che potesse succedere. Ma non riusciva a pronunciare nemmeno una parola, gli era impossibile. Era come se avesse visto il mondo attraverso un vetro che cresceva in spessore ogni attimo di più. Non sentiva dolore, in realtà non sentiva più niente. Solo una pace interiore, profonda, infinita. Il cuore privo di battito. Il sangue fermo, tra vene e arterie che si stavano seccando.
Poi, delicatamente, come in una muta, si sentì staccare dal letto per galleggiare verso il soffitto.
Vide lei, appena sotto, che abbracciava il suo corpo oramai vuoto, un guscio che stava andando a male ed era buono solo per essere nascosto sotto terra.
Avrebbe desiderato tanto avvertirla che lui non era più in quel letto, che lì non c’era più nessuno, ringraziarla un’ultima volta per l’amore e la felicità che aveva saputo dargli in tutti quegli anni.
Ma non c’era più tempo. Ogni cosa cominciava a sbiadire lentamente. Il cervello si stava spegnendo per scivolare in un buio indelebile e impenetrabile.
E calò anche il silenzio.
Per sempre.

27 pensieri su “E calò anche il silenzio

  1. Situazioni che nella vita magari qualcuno di noi ha vissuto tra il buio e la luce, ma tu hai usato quella poesia necessaria per lasciarci come quella carezza che si è sentita fra queste righe.

  2. Riletto due volte. Un groppo in gola mentre tra i pensieri si costruisce l’immagine di quanto letto. Ho trattenuto perfino il respiro.

  3. Dolce e malinconico, ma tutto sommato rassicurante. Anche a me piacerebbe fare una fine così. Comunque racconto bellissimo, complimenti Maestro. Infine credo di avere notato due refusi, ma non ne sono sicuro, perché stranamente li vedo apparire e sparire.

    “… volpe, che già da quale tempo arrivava…”

    “Lui avrebbe voluta consolarla. “

  4. Una situazione terribile. Uno stato d’animo e una impotenza resa magnificamente. Veramente un bel passaggio narrativo. Spero tuttavia che sia differente il trapasso perché così è veramente bruttino 😱😱😭😭😭

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