Intervista a Valeria

L’intervista è stata rilasciata per la redazione di una tesi di laurea  il primo marzo 2007

Qual è stato il tuo primo approccio alla scrittura?
Il primo contatto con il bisogno e il desiderio di scrivere è avvenuto per me abbastanza presto, fin da quando ero piccolo. Avevo fervida immaginazione e siccome mi inventavo, giocando con i soldatini, trame di film mi ero comprato un quaderno dove, in sintesi, scrivevo le varie tracce. Poi mi immaginavo di essere la giuria di un Festival e votavo la miglior pellicola, premiando gli attori e le attrici.

Come è cambiato il tuo rapporto con la scrittura con l’avvento del computer, in particolar modo con il blog?
Il computer ha di per sé facilitato enormemente la stesura del testo, prima ancora di incidere sul profilo contenutistico. La possibilità di intervenire infinite volte sul testo da parte di chi come me è perennemente scontento dell’ultima versione, senza per questo dover riscrivere daccapo tutto il lavoro, è stato un notevole sollievo. 
Il blog, in quanto tale, ha influito invece più profondamente sul mio modo di scrivere. Direi quasi che il blog mi ha insegnato modalità espressive nuove, delle tecniche di narrazione che mi erano finanche sconosciute. Questo è potuto accadere non solo per la necessità di creare un format ad hoc adatto alla lettura distratta e veloce del lettore tipo, ma anche in conseguenza del contatto diretto con i lettori che, forti spesso dall’illusorio anonimato che il web dà, rimanda con il proprio commento (di apprezzamento o di critica), un feedback sincero e quindi prezioso. Questo continuo testing permette aggiustamenti progressivi delle proprie tonalità espressive suggerendo quelle via via più efficaci ed emotivamente più incisive.
Penso che escludere a priori la possibilità ai lettori di commentare sia infatti un atto di arroganza ed è come se l’autore dicesse: io scrivo quel che mi pare, non mi interessa quello che tu, lettore, pensi. Certo, lasciare che altri possano fare critiche al proprio lavoro (soprattutto quando la lettura rischia di essere superficiale e veloce per motivi di tempo) è sempre un rischio, perché è come mettersi all’angolo di una piazza frequentata e leggere qualcosa di proprio. Ma è anche un mettersi tutto sommato in discussione, sottoporsi al giudizio degli altri, che può essere giusto o sbagliato, ma che alla fine, provenendo da una voce fuori-di-te, ha sempre una valenza positiva. Un autore attento capisce poi quando la critica è giusta e ne fa tesoro. E come avere la meravigliosa possibilità di imparare dai propri errori solo che, per paradosso, il maestro è l’utenza che ti legge.
Il blog inoltre ha il salutare compito di stimolare a scrivere. È un circolo vizioso: si scrive per avere un pubblico che a sua volta ti richiede di scrivere perché ha un’aspettativa nei tuoi confronti, soprattutto quando ti segue con una certa frequenza. Il pubblicare con regolarità migliora poi la capacità narrativa, arricchendo la propria fantasia che è proprio come un muscolo dell’anima. Più la alleni e più la tua dimensione fantastica diventa nitida, variegata e accessibile.

Quale tipologia di blog definiresti letteraria?
Sono letterari quei blog che veicolano una propria originalità intrinseca, che, si badi bene, non deve per forza trovare espressione in un racconto fantasioso o in un romanzo a puntate, bastando anche quelli che descrivono il quotidiano dimostrandosi anzi, proprio per questo, spontanei e genuini.
Siamo ancora però a mio avviso lontani dal realizzare l’equivalenza blog = letteratura. Il mezzo è ancora nuovo e la vecchia generazione di scrittori, quelli che ancora vedono il computer come un soprammobile nocivo da cui stare alla larga, ne rimane al di fuori. Qualcosa però si sta muovendo. Hanno aperto blog molti giornalisti e scrittori molto interessanti con Cugia, Mozzi, Brizzi ed altri ancora.

Quale sviluppo potranno avere i blog per la letteratura?

Penso che il blog abbia avuto il grande pregio di dar voce ad una moltitudine di persone che mai avrebbero potuto, per le leggi di mercato, ma anche per scarsità di opportunità, pubblicare un proprio lavoro. È una sorta di democratizzazione della letteratura dove chiunque abbia voglia di scrivere può raggiungere chiunque abbia voglia di leggere. È stato tolto di fatto un monopolio spesso miope delle case editrici italiane che hanno un incomprensibile timore di investire sulle nuove promesse italiane, preferendo puntare su nomi già collaudati all’estero.

Si può parlare di una “oralità di ritorno”?

Sono sostanzialmente d’accordo con quanto Walter Ong ebbe a scrivere nel suo ‘Oralità e scrittura’; è indubbiamente in atto una rivoluzione strisciante nel settore della comunicazione che vede in prima fila la capacità fagocitante del computer e della Rete di assorbire non solo il libro, reinventato e destrutturato per adattarlo al nuovo mezzo, ma anche tutti gli altri media a cominciare dalla radio, dalla televisione e dal telefono. Ciò che più ora affascina è però avere l’opportunità di vivere e assistere (e perché no?) partecipare a questa lenta trasformazione osservando la ridistribuzione del sapere in modo sempre più diffuso e anarchico.

Che parte ha l’autore nel blog e quanta ne hanno i lettori?
Ne ho già parlato prima. Il blog è una parcellizzazione della scrittura che consente ciò che il libro tutto sommato fa solo in parte: la rapida circolazione della parole, delle idee, degli stili. L’accesso free a questa fetta enorme di ‘sapere’ scardina dal di dentro il ruolo tradizionale della stampa (più che della letteratura). Ben venga quindi la terza fase di Ong, perché sarà anche un modo per avvicinare il giovane anche alla letteratura. L’utente è già sulla Rete per tanti altri motivi, come per esempio fare il download dell’ultimo mp3 o frequentare quella tal chat o per effettuare una ricerca per la scuola: leggere i propri blog preferiti non gli costa nulla in termini di fatica. Il blog inoltre è un prodotto a forte velocità di fruizione come tutto ciò che si trova sul web (si pensi anche solo al diverso taglio che hanno i giornali online). Lo si legge a pezzi, si lasciano commenti, si interagisce in pochi secondi e senza impegno. I blog distano poi l’uno dall’altro un semplice click, consentendo in pochi minuti di passare dall’uno all’altro divertendosi e intrattenendo persino relazioni sociali all’interno di una comunità (virtuale) in cui ci si riconosce e si appartiene. Il tutto assolutamente gratis. Un libro si inscrive invece nell’ambito di un gesto molto più complesso e impegnativo: occorre andare in libreria, sceglierlo, comprarlo, leggerlo.

In che modo possono i blog scardinare il concetto di narrazione?
Da come vivo io il mio blog ritengo che il post, per essere letto, debba avere una sua confezione tipo: deve essere soprattutto breve, con non più di 2.200/2.400 caratteri, deve saper concentrare in poche righe una storia completa, introducendo rapidamente il lettore, appena dopo aver tracciato l’ambientazione e i personaggi, nello sviluppo narrativo, per poi risolversi nelle ultime battute, lasciando il lettore con il desiderio di saperne di più o anche solo con la predisposizione d’animo di voler riflettere sulle immagini che gli si sono venute a creare nella mente durante la lettura.

Quale il rapporto tra la letteratura ed il blog?
Esiste una letteratura di genere nel blog e se sì come viene sviluppata?
Per quanto appena detto il blog, per il suo ‘respiro corto’, introduce necessariamente una letteratura di genere, di nicchia, che si affianca a quella tradizionale anche perché raggiunge una utenza del tutto particolare.

Hai avuto qualche proposta editoriale? Nel senso ti hanno proposto o lo hai fatto , una raccolta di racconti brevi?

Nei tre anni di blog ho avuto diversi contatti editoriali. Un progetto è sfociato in una raccolta di racconti ‘I racconti di Poggiobrusco’ che è stampabile con la tecnica del print-on-demand. Si inoltra cioè la richiesta alla casa editrice online e questa stampa la copia spedendola poi al consumatore.
L’impressione che però ho avuto è che carta stampata e blog corrono ancora su binari paralleli. Le proposte editoriali provengono solo da editori già sul web e che fanno prodotti per il web. La proposta da parte delle case editrici, diciamo, tradizionali, avvengono indirettamente, attraverso cioè lettori che magari ti mettono in contatto con un talent scout loro amico o un editor che conoscono.

E quale è il tuo rapporto con gli editori?
Il mio rapporto con gli editori direi che è moderatamente conflittuale. Nonostante la pazienza e l’umiltà che bisogna avere quando ci si approccia alla scrittura, non bisogna mai dimenticare (purtroppo) che sono sempre loro che detengono il bottone che fa azionare le stampatrici (quelle vere).

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