Una trasmissione non autorizzata

«Lo faranno di nuovo, lo faranno di nuovo!»
«Cosa papà?»
L’uomo riemerse dalla lettura del giornale che stava stropicciando per il nervoso: accanto a sé la sua bambina di cinque anni che lo stava guardando con i suoi occhioni azzurri. La sua faccia era un po’ stupita, non ricordandosi di aver visto il suo papà con la faccia così seria.
«Niente piccina mia» fece lui pentendosi di essersi mostrato a sua figlia così spaventato.
«Volevo dire che lo faranno di nuovo l’albero grande in piazza per Natale, c’è scritto qui, sul giornale.»
Finse un sorriso sperando che la piccola non avesse maturato, in così pochi anni, una perspicacia tale da smascherarlo. Ma la bambina prese a saltellare su se stessa emettendo gridolini di contentezza.
«Evviva, evviva… ci sarà l’albero, ci sarà l’albero anche quest’anno. Mamma, mamma…»
E la piccola andò incontro alla mamma che se ne stava uscendo dalla cucina asciugandosi le mani in uno strofinaccio a quadrettoni.
«Bene, Anaïs, però adesso vai di là a giocare che ti ho rifatto la tua stanza.»
Lui e lei rimasero soli nella stanza. Si leggevano negli occhi l’altrui disperazione, l’angoscia di quanto avevano già patito e non volevano più riprovare.
«Ne sei proprio sicuro?» fece la moglie sperando di sentir dire che lui si era sbagliato, che non era così, che tutto sarebbe continuato come sempre. Ma l’uomo aveva posato il giornale e si stava massaggiando gli occhi da sotto gli occhiali. Sospirò:
«È scritto qui, vedi? Ora lo annunciano anche sul giornale.»
La donna si avvicinò al marito a piccoli passi: non voleva la conferma a quello che sapeva già ma la curiosità fu più forte. Si mise a lato del marito, storse un poco la testa e lesse. In un box di spalla del quotidiano c’era scritto in neretto:

OGGI SARÀ TRASMESSA LA DECAPITAZIONE DEL CITTADINO AMERICANO JOHN CARTWRITE. PREPARATEVI.

I MARTIRI DI AL RAWAMI

Non c’erano dubbi. Sarebbe accaduto di nuovo. Dopo che tutta la comunità internazionale si era battuta per vietare queste trasmissioni non autorizzate per il loro alto contenuto raccapricciante, i paesi arabi in lotta avevano accondisceso a una moratoria. Era prevalsa l’idea che mostrare al mondo intero di quali crudeltà fossero capaci i musulmani non giovava alla causa di liberazione dell’area orientale. Poi frange estremiste avevano preso il sopravvento e le trasmissioni erano continuate. Quel che c’era di peggio era che la divulgazione planetaria dei filmati era diventata a sua volta un’ulteriore arma altrettanto devastante. Grazie infatti alle recenti conquiste nel mondo tecnologico, i terroristi erano stati in grado di potersi inserire nei satelliti occidentali e trasmettere a sorpresa i loro filmati, riuscendo a sovrapporsi alle normali trasmissioni televisive. Molti network avevano cercato di difendersi spegnendo immediatamente i satelliti, ma i terroristi, forti dei nuovi ingegneri informatici arabi, avevano trovato il modo di riaccenderli dando comunque il via alla trasmissione. Erano stati in grado anche di accendere i televisori, non solo quelli oramai numerosissimi piazzati sulle facciate delle case, da migliaia di pollici utilizzati dalla Sistema Pubblicitario Internazionale, ma anche quelli di casa. Il volume, durante la trasmissione veniva anche notevolmente alzato sicché le urla prima dei terroristi che procedevano al loro macabro rituale e poi del giustiziato che stava per essere decapitato, potevano essere ascolto ovunque, per le strade.
Era per questo che molte città si erano dotate di un sistema di allarme. Quando veniva percepito l’arrivo delle trasmissioni incriminate si diffondeva per la città il suono di una sirena in modo che tutta la popolazione potesse prendere le precauzioni più opportune. C’era così chi si chiudeva in casa, in uno sgabuzzino, con una cuffia sulle orecchie e lo stereo a tutto volume. C’era chi si chiudeva nella propria macchina insonorizzata viaggiando in autostrada e c’era chi, come i genitori della piccola Anaïs, sfruttava il vecchio rifugio antiatomico costruito negli anni cinquanta proprio sotto la casa. L’angoscia era sempre grande, anche se loro, più fortunati di altri, potevano contare su di un simile nascondiglio: si conosceva il giorno dell’esecuzione, ma mai l’ora, sicché era meglio stare nei pressi del bunker per non farsi trovare impreparati. E i terroristi, proprio per amplificare la portata già di per sé dirompente di quella divulgazione, giocavano sull’incertezza dell’esatto momento di trasmissione. Era come vivere l’intera giornata in attesa spasmodica di quell’evento mediatico, non per poterlo vedere, bensì per potersi finalmente liberare dall’idea di doverlo aspettare. Occorreva che la bambina ne rimanesse fuori. Immagini così truculente sarebbero state devastanti e bisognava fare in modo che continuasse a non vederle. Sia lui che lei telefonarono in ufficio avvertendo che non vi sarebbero andati. Rispose, sia nell’uno che nell’altro caso, la segreteria informando di non preoccuparsi che infatti non era venuto nessuno. Oramai si era diffusa questa pratica di autodifesa e ognuno reagiva come poteva. Del resto gli uffici non avrebbero potuto lavorare vista la capacità massivamente diffusiva delle emissioni anche sui computer, sui cellulari, sui palmari, sugli elettrodomestici computerizzati. Le ore in casa trascorrevano lentissime. Non volevano trasferirsi subito nel bunker per non agitare la piccola. Solo Anaïs giocava tranquillamente in sala a fare il tè con la sua minicucina giocattolo. I genitori erano seduti sulla poltrona, in silenzio, in attesa. Il televisore era ovviamente staccato, come anche i cellulari e qualunque altra cosa avesse un microchip. C’era la convinzione che meno apparecchi fossero rimasti accesi e più sarebbero potute aumentare le probabilità che la trasmissione li avrebbe miracolosamente saltati.
«Come lo volete il tè, signori?» fece la bambina rivolgendosi ai suoi genitori. «Abbiamo il latte fresco, il limone e l’aranciata…»
La madre sembrava pietrificata tanto era tesa.
«Allora, signora?» ripeté la bambina sorridente, del tutto ignara della situazione «come lo vuole lei il tè, con l’aranciata?»
«Non… ci puoi mettere l’aranciata nel tè, tesoro…» fece la madre con un fil di voce.
«Ah no? E perché?» fece la piccola mettendosi le mani sui fianchi.
La madre stava per rispondere quando il suono della sirena lacerò l’aria. I due genitori impallidirono mentre la figlia all’improvviso si mise a piangere per il frastuono.
«Presto andiamo giù» fece l’uomo prendendo Anaïs per la vita «non perdiamo tempo.»
«Sì, sì» ebbe solo la forza di dire la donna sbarrando gli occhi «devo prendere però il gatto…»
«Lascialo stare… saprà badare a se stesso.»
«Lo sai che ha paura… si spaventa per quel volume così alto.»
Ma il gatto non si fece prendere. Atterrito dal suono dell’allarme era salito sul tavolo della cucina e quindi sul pensile.
«Vieni via, vieni via» incalzò il marito che si stava dirigendo verso la veranda da dove si dipartivano le scale per andare al rifugio.
«Ho lasciato la mia bambola» fece la bambina «voglio la mia bambola.»
«La prenderemo dopo cara, la ritroveremo quando torniamo. Vedrai che nel frattempo avrà preso il tè.»
L’uomo stava già scendendo quando la moglie lo raggiunse:
«Poverino sta tremando tutto» fece lei accarezzandolo.
«Non devi aver paura bel micetto» fece la bambina con un po’ di cantilena mentre il padre la posava a terra.
«Su entrate» esortò l’uomo con apprensione aprendo la porta del rifugio. Il gatto, però, spaventato forse dal buio di quel posto, piantò le sue unghie nel braccio della donna che perse l’equilibrio cadendo dagli ultimi due gradini. La moglie era riversa per terra.
«Elena, Elena…» fece lui urlando. Corse allora a prendere dell’acqua dal lavandino del bunker. Nel frattempo giungeva dal primo piano il vociare attutito della trasmissione, facendo filtrare a mala pena un brusio e della musica araba in sottofondo. L’uomo fece bere l’acqua alla moglie che a poco a poco riprese i sensi.
«Dov’è Anaïs?» disse lei aprendo gli occhi.
L’uomo si volse attorno: la bambina, in quella confusione era tornata indietro attirata dalla musica e da quel vociare. Salirono entrambi le scale di corsa, affannosamente, chiamandola più volte senza ottenere risposta. Poi la trovarono davanti al televisore, immobile, con in mano la sua bambola tenuta per i lunghi capelli. Gli occhi erano sbarrati dal terrore, mentre stava vedendo il filmato dell’esecuzione nel suo momento più culminante.
La bambina, da allora, non parlò mai più.

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