L’Oceano sovrapposto

Quando arrivarono a destinazione era tutto buio. Non riuscivano a vedere neppure dove mettevano i piedi. Istintivamente allungarono le mani, come dei ciechi, per sentire cosa ci fosse davanti a loro. E i ragazzi finirono per toccarsi il viso l’un l’altro. Il senso di spaesamento era totale. «Ci siete?» chiese titubante Tago. «Io sì» rispose Banco. «Anch’io,» fece Tessa «almeno credo. Ma cos’è questo buio pesto?» «Ho un pessimo presentimento» sibilò tra i denti Tago. «Quando parli così e con questo tono, ho imparato a preoccuparmi» sbottò Banco. Seguirono alcuni attimi in cui si udì come un fruscio leggero, ma insistente. Anche l’eco che si sentiva non era rassicurante: sembrava che tutto l’ambiente circostante, di notevole dimensioni, fosse vuoto. Qualcosa non doveva aver funzionato. Poi di colpo, si udì un glang assordante, che ricordava lo scatto di quelle leve che servono per togliere o inserire la corrente elettrica nei vecchi teatri. Ed effettivamente di li a poco si accese la luce. I tre ragazzi si trovavano in un campo di grano con le spighe mature e gonfie di semi che gli arrivavano fino al naso. «Ma dove siamo?» chiese impaurita Tessa. «Non ne ho idea» le rispose il fratello che verificava la consistenza delle spighe pronte per il raccolto. «E non vedo neppure la Sede da nessuna parte». «Io forse ho un’idea di cosa si tratti. Lo vedete quel signore laggiù?» domandò Tago come se volesse sincerarsi di scorgere esattamente quello che temeva. «Visto così, da lontano…» rispose Banco strizzando gli occhi «mi pare un contadino: non capisco però cosa stia facendo. Cos’ha? Una falce in mano? Sì, sì, ora la vedo! La affila vero?» «Esatto, proprio come pensavo!» Il cielo si oscurò di colpo diventando tetro. Ancora più in lontananza nella distesa di grano, dalla stessa parte verso cui era rivolto il contadino, si potevano ora scorgere delle persone in rapido movimento, a cavallo, che si stavano avvicinando. «Perché tutto questo mi ricorda uno spot pubblicitario?» domandò stupito Banco. «Perché questo è uno spot pubblicitario!» rispose sconsolato Tago. «Stai scherzando, vero?» gemette Tessa. «Magari! È lo spot pubblicitario di non so quale prodotto, l’avrò visto mille volte alla televisione» ribadì il ragazzo moro. «E noi saremmo all’interno di una pubblicità!?!» chiese Banco incredulo, che cominciava ad essere preoccupato per quell’orda di cavalieri che, dopo aver sfiorato il contadino, stava puntando su di loro. «Proprio così!» assicurò Tago «e se non ci buttiamo immediatamente a terra, ci travolgeranno!» La terra stava letteralmente tremando sotto gli zoccoli dei cavalli al galoppo. I cavalieri indossavano una strana e antica armatura e gli elmi avevano un non so che di fiero e di feroce. Il contadino continuava ad affilare la falce e a detergersi il sudore, con flemma e noncuranza. I tre ragazzi si sparpagliarono tra il grano appiattendosi al suolo sperando che i cavalli li avrebbero saltati. E così fu, anche se un cavallo, che vide Tessa nel grano all’ultimo momento, le sfondò, con lo zoccolo di un quarto posteriore, la collana che la ragazza aveva perso nello slancio di gettarsi a terra. Passata l’orda, Tessa era già china sulla sua scarpa maciullata senza riuscire a profferire una parola. Il fratello sapeva quanto ci tenesse alle sue cose e a quelle scarpe in particolare. «Ci è andata ancora bene» la rincuorò Tago, che pensava, in questo modo, di tirare su di morale a Tessa. «La mia collana, la mia povera collana…» andava invece ripetendo quella come ipnotizzata. In quello stesso istante passò nel cielo un aereo a reazione che fece un rumore assordante. I due ragazzi si tapparono le orecchie. Sentito in televisione, il frastuono non sembrava così forte. Tessa però non prestava la minima attenzione a nulla. Continuava solo a ripetere ossessivamente: «La mia collana, la mia povera collana…» accarezzandola come se fosse stata un uccellino caduto dal nido. «E quest’aquila da dove arriva?» urlò Tago facendo il verso di accucciarsi. «Sì, mi ricordavo anche di quella, ma dove l’hanno trovata una bestiaccia con un’apertura alare così grande?» chiese sterilmente Banco, osservandone la vasta ombra correre come un’onda sul grano. «Ehi, ma ci sono altri cavalli in arrivo!» avvisò Tago guardando sempre nella stessa direzione «ma quando finirà questo spot?» Un secondo gruppo di cavalieri avanzava infatti ancora più veloce e con maggiore impeto. Ognuno di loro sembrava essere vestito in modo diverso dall’altro e le loro armature risalivano a epoche diverse. Un riassunto storico che stava cavalcando furibondo contro di loro. Il loro aspetto era inquietante e la sensazione di poter essere travolti da un momento all’altro era concreto. I due ragazzi si ributtarono a terra. Banco fece appena in tempo ad afferrare la sorella per la maglia e a scaraventarla giù: era rimasta infatti in ginocchio a contemplare i pezzi di collana informi. Un cavaliere con l’armatura bronzea e il pennacchio sul cimiero si staccò dalla schiera galoppante e si avvicinò a Banco: lo fissò minaccioso negli occhi tradendo la voglia di colpirlo con la spada appena sguainata. Ma i tempi dello spot erano molto serrati. Quella variazione sul tema non era prevista per cui, facendo una smorfia di rabbia, spronò il suo cavallo dal mantello maculato lanciandolo al galoppo per raggiungere gli altri. Passata la seconda schiera, il cielo si schiarì e il contadino riprese a mietere il grano con calma e serenità. «Ma come è possibile che siamo finiti dentro ad una pubblicità?» chiese Banco all’amico. «La trasmissione televisiva viaggia per l’etere prima di essere ricevuta dalle antenne o dalle parabole delle nostre televisioni. E durante questo percorso le onde elettromagnetiche oltrepassano tutte le Immagini create dai Gator, che, essendo digitali, assorbono la trasmissione stessa come fossero delle spugne. Trovandoci noi in una di queste Immagini, assistiamo alla trasmissione come se ci trovassimo all’interno di una televisione. Da qui l’effettorealtà. Devastante, vero?». Nel frattempo il contadino stava ancora tagliando il grano con la falce, mentre l’aquila era tornata indietro e ora volteggiava su di loro. Banco la stava fissando con qualche preoccupazione. «Questa parte dello spot non me la ricordo!» sbuffò Tago controllando i volteggi del grosso rapace. «Deve essere lo spezzone che non si vede in televisione: quello che passa quando va in onda il marchio, il ritornello e la coda dello spot». L’aquila stava roteando sempre più in basso. Non c’era dubbio. Li aveva presi di mira. «Non mi piace affatto quell’uccellaccio!» fece Tessa che si schermava gli occhi con una mano. «Presto, corriamo verso il contadino» esortò Banco prendendo per mano la sorella «potremo difenderci con la sua falce». I tre ragazzi, senza allontanare lo sguardo dal volatile incombente, iniziarono a camminare con passo svelto in direzione del contadino che se ne stava ancora impassibile a mietere il grano. L’aquila, che nel frattempo si era accorta che le sue prede stavano scappando, prese a scendere in picchiata verso di loro. La sua apertura d’ali era imponente, il batter delle piume contro il vento ricordava le pale di un mulino. I ragazzi sentivano oramai persino lo spostamento d’aria dietro di loro e il pericolo che stava sovrastando alle spalle aveva un qualcosa di inevitabile. Il rapace lanciò un grido acutissimo che piegò la testa dei giovani proprio nel momento in cui i suoi artigli grossi come uncini da macelleria si stavano stringendo sul collo della maglietta di Tessa. Poi un glang potente, simile a quello che aveva acceso la luce e dato il via allo spot, riempì l’aria e tutta l’Immagine, fece tornare il buio impenetrabile. «E adesso cosa deve succedere ancora…» fece Banco reso inquieto da quell’oscurità. «Almeno ci siamo liberati dell’aquila» sospirò Tessa. «Con quegli artigli mi ha trapassato la camicetta. Anche questa adesso è da buttare via». «Probabilmente dovremmo arrivare a destinazione tra non molto» rispose Tago a Banco ancora fiducioso. «Anche se a quest’ora dovevamo già essere in Sede, secondo i miei calcoli. «Per cui?!?» domandò Banco temendo la risposta. «Ci stiamo mettendo troppo, amico mio. Lo spot pubblicitario è finito da un po’. Proprio non capisco…» La voce di Tago, al buio, sembrava ancora più carica di preoccupazione. Anzi, Banco, la sentì vibrare. «Voglio tornare a casa, non ne posso più» si sfogò Tessa. «Ma perché ho voluto seguirti?» aggiunse rivolta al fratello dirigendo la testa nel punto in cui pensava si sarebbe trovato. «Me ne potevo andare tranquilla a fare shopping con le amiche e ora starei a scegliere qualche bel vestitino piuttosto che trovarmi qui, da nessuna parte, rischiando di essere calpestata o di fare da pranzo ad un’aquila famelica». Banco non rispose. Forse perché quella della sorella non era una vera domanda e perché si era abituato da tempo ai suoi brontolii. La luce tutt’attorno sfarfalleggiò rapidamente, come se facesse fatica a tornare. Erano flash intermittenti che lasciavano intravedere una dimensione senza contenuto. Si vedevano, qua e là, dei quadratini sfocati frammisti a quell’effetto neve che fanno i televisori quando non sono sintonizzati su nessun canale; infine, nuovamente, si fece scuro. Tessa istintivamente allungò la mano ad afferrare quella di Tago: sentire il suo calore l’avrebbe fatta sentire meglio e le avrebbe dato un po’ di coraggio. Ciò che ora disorientava, infatti, era la sensazione di sentirsi sospesi in un nonluogo, di avvertire la propria identità dilatarsi nell’aria, di galleggiare come polvere portata via dal vento. Persino i pensieri sembravano non avere senso e non appartener loro. Trascorse un quarto d’ora in cui non accadde nulla. Poi un nuovo glang terribile squarciò l’aria prendendo allo stomaco i ragazzi, tanto era grave e vibrante. All’improvviso apparve, accecante, una distesa infinita d’acqua che, dall’odore, doveva essere di mare. I giovani, smarriti, si scoprirono su di un gruppetto di scogli affioranti dall’acqua che formavano un’isoletta di un metro quadrato scarso. Dovevano rimanere pigiati l’un all’altro per non cadere in mare. «Cos’è, un nuovo spot?» chiese ironico Banco. «Sarebbe meglio!» gli fece da sponda Tago. «Come sarebbe meglio?» sbottò con aria rassegnata Tessa, accorgendosi con disappunto di aver preso per mano il fratello. «Non mi spaventate, vi prego, cos’altro c’è adesso?» «Il mio apparecchio aggiustaGator è riuscito a sintonizzare i navigatori della Sede. E mi dice che si trovano tutti a una cinquantina di metri da qui» sentenziò Tago consultando il display del suo rilevatore per trovare una conferma. «Ma io non vedo niente» sospirò Tessa mettendosi la mano sulla fronte a mo’ di visiera per proteggersi dalla luce del sole e guardando in lontananza. «Tago vuol dirci che il Gator è a una cinquantina di metri da noi, ma non in linea d’aria, bensì sott’acqua». Tago annuì esplorando il mare in ogni direzione come per trovare una via di uscita. «Come?!?» sbalordì Tessa «e la Sede della Compagnia?» «Sott’acqua» confermò Tago. «E il salone delle feste, le statue, gli stucchi e gli arazzi e tutte le persone che erano lì?» «Sempre sott’acqua» ribadì il fratello. «E… sono anche tutti morti?» si amareggiò la ragazza. «Nelle Immagini non si muore mai» rivelò Tago. «Il Malvagio deve aver in qualche modo saputo che ci eravamo liberati dalla nostra condizione liquida e, per non correre il rischio di far saltare la copertura di IT e di chissà quanti altri Demoni infiltrati nella Compagnia, ha semplicemente sovrapposto l’Immagine dell’Oceano a quella della Sede. Non ha fatto altro cioè che assegnare a queste due Immagini lo stesso numero progressivo di creazione, con l’effetto che la Sede si è fusa con questa distesa di mare che evidentemente apparteneva all’Immagine numericamente successiva». «E di Franz, Nora e di tutti i Soci della Compagnia che ne è stato?» insistete Banco avvilito. «Non ve lo saprei proprio dire. Certo è che il Gator è là sotto e non possiamo raggiungerlo. Il navigatore installato nel bar dell’ostesciatore, quando si è accorto che non poteva ridisegnarci nella toilette della Sede, perché si trovava cinquanta metri sotto il pelo dell’acqua, ci ha depositati qui, tracciando rapidamente questi scogli. Il Gator è infatti abilitato anche a creare, all’occorrenza, per motivi di incolumità del viaggiatore, aree di sicurezza. Se ci avesse trasferiti là sotto saremmo annegati. Sono dispositivi molto evoluti: Fritzmaster sa il fatto suo». «E come torniamo indietro, ora?» chiese disperata Tessa «tutto attorno a noi c’è solo mare, mare e mare. E il sole picchia». «Spero che almeno faccia notte presto, così ci riposiamo» mormorò Banco. «Il sole non tramonta mai nelle Immagini» disse Tago. «O meglio, il tempo è fermo al momento in cui l’Immagine è stata creata. Se è giorno rimane per sempre giorno, se è notte rimane la notte». «Quindi rimarremo qui su questi scogli di un metro per un metro, senza cibo, né acqua, con un sole che non calerà mai?» chiese Banco, che stentava a credere di trovarsi in una situazione simile. «È proprio così». «Ma sei proprio sicuro che non si possa morire in un’Immagine?» si informò ancora Tessa, niente affatto convinta. «Morire no… ma soffrire, e tanto, senza morire mai, sì. Una specie di Inferno, insomma, per chi ci crede, ben inteso». Passò diverso tempo da quell’ultimo scambio di battute, almeno il tempo che sarebbe passato se si fossero trovati fuori da quell’illusione senza età e senza fine. Ma non sapevano che il peggio doveva ancora arrivare.

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