L’incubatrice

Quando Banco rinvenne sentì le sirene dell’ambulanza. Non aveva nessuna intenzione di farsi ricoverare in ospedale. Dopo tutto non si era fatto troppo male. Si era tastato il corpo e ispezionato i vestiti: nessuna frattura, né sangue. Era indolenzito, ma da qualche tempo a questa parte era abituato a sentirsi così. Buttò un occhio sull’autista. Lui sì era conciato male. Aveva sfondato il parabrezza con la testa e ora era riverso sul cruscotto. L’edicola era semidistrutta. C’era il giornalaio che si stava disperando chiedendosi chi mai gli avrebbe ripagato i danni. Il ragazzo si lasciò cadere sul marciapiede dal sedile della macchina circondata già da curiosi e turisti. Non dovette far molto per uscire da quell’ammasso di ferraglie, perché la portiera si era spalancata per l’urto. Qualcuno cercò di dissuaderlo dall’andarsene in quel modo, senza aspettare i soccorsi, ma Banco non sentì ragione. Voleva allontanarsi di lì a tutti i costi: doveva essere libero di muoversi nelle prossime ore. Un po’ ciondoloni e tenendosi la testa che gli sembrava un’autostrada in un giorno da bollino blu, fece un paio di isolati. L’unico vantaggio che sembrava esser derivato da quell’incidente era che Ai’bargor era scomparso, almeno per il momento. Tornò indietro verso il fast food. Era sua ferma intenzione andare da Gropius, voleva sapere da lui in che modo avrebbe potuto trovare il nascondiglio del Malvagio. Durante il tragitto si dovette però sedere sul gradino di un negozio: la botta che aveva preso al torace forse era stata più forte di quello che si era immaginato. Gli girava la testa e faceva fatica a respirare Se ne stette allora rannicchiato, dondolandosi un po’; doveva avere l’aria di uno sbandato perché la gente lo guardava con aria di compatimento e pareva aver voglia di allungargli una moneta. Il giovane, recuperate le forse, si rialzò e proseguì. Sulle prime non trovò la tabaccheria, ma poi si accorse di aver preso la strada parallela. Era ancora confuso. Alla fine individuò il negozio e vi entrò. Non era un ambiente grande o comunque era più modesto di come sembrava da fuori. Il suo amico però non c’era. «Gropius! Gropius!» fece Banco con una voce un po’ tremolante. ‘Forse è nel retro’, pensò il ragazzo. Girò lentamente il bancone e lo chiamò ancora. Il retro era buio, ma ampio. Trovò l’interruttore della luce e la accese. C’era un po’ di tutto: scatoloni, ramazze, libri. ‘Gropius non vedendomi sarà uscito per venirmi a cercare’, pensò Banco, che però non era molto convinto di questa conclusione. A non lasciarlo tranquillo era il fatto di sentirsi a disagio in quel luogo come se ci fosse stata, poco tempo prima, qualche strana presenza. C’era infatti nell’aria quello stesso odore di alcool, misto a incenso e resina bruciata, che aveva sentito nel laboratorio di Fritzmaster. Temette il peggio. Alzò lo sguardo e vide che sul soffitto, in un angolo, c’era come un grosso bozzolo. Prese la scala che trovò appoggiata a degli scatoloni e salì. Il cuore gli batteva forte. Il bozzolo era attaccato alla parete da una sostanza appiccicosa ed era formato da grosse foglie come quelle che possono vedersi nelle foreste della Amazzonia: erano pressate, una sull’altra, con un lavoro preciso ed accurato, a formare quasi un sarcofago come quelli dei faraoni. Lo tirò giù delicatamente, facendo uso di un paio di corde che aveva trovato sul bancone. Cercò di staccare le foglie l’una dall’altra fino a quando non trovò la conferma alla sua più nera previsione: era Gropius. Era morto, ma aveva gli occhi ancora aperti e c’era del terrore nel suo sguardo; il suo corpo aveva la stessa consistenza della gelatina tanto che, caduto l’involucro delle foglie pressate che lo tenevano insieme, alcuni pezzi si staccarono. Difficile dire cosa avesse potuto ucciderlo: anche perché il ragazzo non aveva mai visto nulla di simile. ‘Ha pagato cara la sua curiosità’ pensò Banco mettendosi in ginocchio e con un nodo in gola. ‘L’essersi messo sulle mie tracce gli è stato fatale. A volte credo di esser circondato solo da persone morte: è davvero sconsolante’. Quello che colpì Banco era che qua e là sul cadavere di Gropius c’erano delle piccole sfere ovoidali color rosa. Le guardò bene. Non c’erano dubbi: erano uova. Chi aveva conciato in quel modo il suo nuovo amico aveva anche pensato bene di usarlo come incubatrice per ciò che sarebbe dovuto nascere da quelle stesse uova e che al dischiudersi del guscio avrebbe subito trovato l’occorrente per nutrirsi. ‘Forse’ rifletté, ‘queste uova sono il prodotto dell’ennesimo esperimento genetico di quel folle di Fritzmaster, che ha deciso questa volta di usare gli esseri umani come riserva di cibo’. A Banco venne un impeto di rabbia: fece rotolare a terra ad una ad una le uova e le schiacciò con il tacco della scarpa. ‘Almeno queste non produrranno altre creature infernali’ disse tra sé e sé. Richiuse poi, alla bell’e meglio, le foglie larghe che si erano afflosciate umide sul pavimento, consapevole che per Gropius non avrebbe potuto fare niente di più. Rimase in silenzio, in quella posizione raccolta: aveva voglia di pregare anche se in fondo quel tizio lo conosceva davvero da poco. Ma non gli veniva in mente nessuna preghiera. Si alzò in piedi, mettendosi a curiosare tra le carte dell’amico, forse gli avrebbero rivelato dopo avrebbe potuto trovare il nascondiglio del Malvagio. Cercava soprattutto quel taccuino nero, un Moleskine sottile, su cui l’aveva visto prendere appunti mentre al fast food Banco gli raccontava le sue avventure. C’erano diversi scaffali nel retrobottega su cui abbondavano classificatori che raccoglievano fatture, ricevute, bolle: tutta documentazione relativa alla gestione del negozio. In mezzo agli altri, proprio accanto ad un raccoglitore di fascicoli d’arte, ne individuò però uno con una scritta sul frontespizio che gli parve interessante: ‘Nodi Celtici’. Lo prese e lo aprì. Era pieno di appunti sulla Compagnia, sulle malefatte del Malvagio, sui Demoni e sulla Leggenda del Nodo Celtico. Prese a leggere, meravigliandosi con quanta cura l’uomo avesse raccolto tutti quei dati. C’era scritto che nell’antichità un gruppo di Druidi celtici avevano deciso, per contrastare le forze del Male particolarmente attive a quel tempo nel nord dell’Irlanda, di creare un simbolo religioso apotropaico che avesse la capacità di donare, a chi lo possedesse, Poteri soprannaturali. Cinque Druidi Eletti, rappresentanti delle cinque più importanti tribù di allora, si erano allora chiusi in ritiro spirituale per assolvere a questo arduo compito. In una Foresta sacra rimasta segreta, i sacerdoti restarono segregati per dieci lunghi anni: in questo periodo, durante il quale dovettero anche respingere reiterati attacchi della Banda del Malvagio che non voleva venisse creato un amuleto così potente, pregarono, studiarono e meditarono. La forza unita dei cinque Druidi fu alla fine vincente perché una notte, soffiando sul luogo il Vento della Purezza e del Fuoco indomito, posarono l’uno dopo l’altro dei bastoni sulla terra consacrata creando il Nodo Celtico dell’Onore e della Forza. E il Nodo benedetto era stato appena creato che subito s’impresse a fuoco sulla carne del più anziano dei cinque, a testimonianza imperitura del Patto con le Forze del Bene. Fu anche stabilito che il Nodo e tutti i suoi Poteri si sarebbero trasferiti da Druido a Druido solo con morte del custode del Nodo. Dando una scorsa a quelle parole, Banco sentì ancor più forte tutto il peso di quella tradizione. Ne ebbe paura, soprattutto perché sentiva di non esserne degno. Ma vedendo come la Banda dei Malvagi aveva ridotto Gropius giurò che avrebbe lottato con tutte le sue forze affinché Baalzeniah non trionfasse mai. Il ragazzo continuò a leggere, ma non c’era nulla che potesse indicargli il luogo del nascondiglio che lui cercava. Poi, ad un certo punto, sentì il campanellino della porta principale: era entrato un cliente. «Volevo giocare questa schedina» esordì una giovane donna allungandogliela da sopra il bancone «e volevo anche una scatola di cerini». Il ragazzo non sapeva cosa fare. Certo non poteva dire che il negozio era chiuso o che Gropius era diventato un grosso budino informe sotto una coltre spessa di foglie di banana, ma era anche vero che non era pratico di tabaccherie. Preferì la soluzione più semplice: prese la schedina e la inserì nell’apposito slot della macchina come aveva visto fare tante volte dal tabaccaio dove si serviva suo padre. Poi premette due o tre pulsanti a caso. Sulle prime la macchina sembrò brontolare, poi ingoiò la schedina sputando la ricevuta. Quindi si girò verso gli scaffali, alla ricerca dei cerini che tuttavia non riusciva ad individuare. «Guardi, sono laggiù» fece la donna paziente. Banco li prese e si schermì: «Scusi sa, sono nuovo…» poi consegnò ricevuta e cerini. «L’avevo capito» fece la donna con un sorriso dolce. Il ragazzo digitò sul registratore di cassa e diede il resto. Poi chiuse il cassetto, ma si accorse che forzava. Nel frattempo la donna era uscita. Banco andò subito alla porta e la chiuse a chiave dal di dentro mettendo il cartello ‘torno subito’. Poi ritornò dietro al bancone, levando il cassetto del registratore: c’era proprio l’agendina che stava cercando e che Gropius aveva sistemato lì sotto. La prese e la lesse. C’erano gli appunti che l’uomo aveva annotato durante la loro ultima conversazione al fast food, ma aveva anche diligentemente riportato orari delle giornate precedenti e relativi a controlli e appostamenti. Per esempio era scritto: ● lunedì, ore 10.22; tornato sul posto, notato via vai sospetto; ● martedì, ore 14.00; prete passato dalle casse con molta merce, ma non ha pagato e la cassiera, che pure ha conteggiato tutti i prodotti del carrello, non gli ha dato scontrino; ● martedì, ore 18.01; una signora ha fatto la fila, ma nel carrello non aveva nulla. Alla cassa la signora ha consegnato un biglietto che la cassiera ha spedito con il servizio interno per posta pneumatica. ‘Dunque’, pensò Banco, ‘Gropius ha individuato un negozio, dove succedeva qualcosa che non gli era chiaro. Forse varrebbe la pena saperne di più. Il posto oltretutto non deve essere neppure tanto lontano se lui lo poteva raggiungere durante l’orario di lavoro’. Banco si mise in tasca l’agendina, diede un ultimo estremo saluto all’amico e uscì. Batté tutta la zona, palmo a palmo, alla ricerca del negozio con più di una cassa (sull’agendina Gropius si era espresso al plurale) che potesse attagliarsi alla descrizione. Il ragazzo girò a lungo, ma non c’era nulla che facesse al caso suo. L’unico esercizio commerciale vicino alla tabaccheria era un ipermercato: ma non poteva essere quello, pensò, perché era troppo grosso. Il posto che sarebbe andato bene come nascondiglio doveva essere necessariamente di piccole dimensioni, per non dar nell’occhio. Riprese a camminare. Oramai aveva setacciato tutta la zona. Era lì, in piedi, che si stava ancora massaggiando il torace nel punto in cui aveva sbattuto durante l’incidente quando, sull’altro marciapiede, vide passare quella donna che aveva notato uscire dal cancello subito dopo aver parlato con la ‘famigliola felice’ che aveva fatto picnic sull’erba. Solo che adesso la donnademone era senza buste della spesa. Banco chiuse gli occhi per accertarsi che fosse davvero la creatura infernale che aveva visto. Ne ebbe la conferma. Prese allora a pedinarla. La donna fece dei giri un po’ inconcludenti, come se volesse far perdere le proprie tracce. Entrò in un negozio di borse, ma non comprò nulla; entrò in un bar, ma ne venne fuori subito dopo utilizzando l’uscita sul retro senza aver consumato. Entrò persino nel portone di un palazzo da dove uscì subito dopo tramutata in una signora molto più anziana e più bassa di statura, come Banco si era accorto chiudendo gli occhi per meglio seguirne gli spostamenti. Trovò curioso quell’eccesso di cautela da parte del Demone: faceva pensare che volesse recarsi in un luogo che doveva rimanere segreto. La signora anziana procedette dritto senza ulteriori digressioni. Voltò a destra, voltò a sinistra e poi fece ingresso finalmente nell’ipermercato che Banco aveva già individuato, usando però una porticina per gli addetti ai lavori interdetta al pubblico. ‘Allora era davvero questo il posto giusto’ pensò Banco scuotendo la testa. Cerco di entrare anche lui da quell’ingresso secondario, ma era chiuso. Facendosi coraggio, entrò dalla porta principale.

Lasciami un tuo pensiero